Giotto, il pittore che rinnovò l’arte italianadi Pierluigi Montalbano
Come Dante, suo contemporaneo, è ritenuto il padre della lingua italiana, così Giotto influenzò non solo le scuole pittoriche del Trecento, ma anche gli artisti del Rinascimento. La leggenda più nota fiorita intorno a Giotto di Bondone, nato nel Mugello nel 1267, è quella che narra di quando Cimabue vide il giovane pastore Giotto mentre ritraeva su una roccia una pecorella del suo gregge. Lo introdusse nella sua bottega e divenne suo maestro, accompagnandolo a Roma per mostrargli i cicli pittorici antichi e paleocristiani e le opere dei più importanti pittori romani della fine del Duecento. Dal 1296, Giotto iniziò l'opera destinata a dargli fama eterna: gli affreschi della basilica superiore di Assisi con le “Storie di San Francesco: 28 riquadri, che descrivono la vita del santodalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi ufficiali a quelli della leggenda popolare. Gli ultimi affreschi furono terminati dai suoi collaboratori, perché Giotto fu chiamato dal papa a lavorare a Roma per il giubileo del 1300. Per capire la portata rivoluzionaria di Giotto, si può partire da quello che di lui scrive con entusiasmo Cennino Cennini, pittore e scrittore d'arte vissuto nel Quattrocento: "Giotto mutò l'arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno". Giotto abbandona le immagini fisse e gli ori dell’arte bizantina, dedicandosi alla realtà e alla natura, costruendo lo spazio del racconto pittorico in maniera illusionistica e tridimensionale, con una precisa prospettiva delle architetture, come si osserva nel “Presepe di Greccio”del ciclo di Assisi, dove i personaggi si inseriscono con equilibrio nell'ambiente che li circonda. Le figure sono concrete, reali, come si vede dalle pieghe morbide e naturali degli abiti sotto cui si percepiscono i corpi. Quando Cennini scrive che Giotto "ridusse al moderno la pittura” intende dire che il pittore riesce a trovare un contatto con la società contemporanea, con i suoi usi e costumi. Nell’opera “Omaggio dell’uomo semplice”, un personaggio stende ai piedi di Francesco il suo mantello. La scena si svolge lungo una strada reale di Assisi, tra il Palazzo comunale e il Tempio di Minerva, inoltre, la presenza di borghesi dell'epoca che commentano il fatto favoriva l'identificazione dello spettatore nella storia, annullando le distanze tra la pittura e il mondo reale. Nella “Rinuncia degli averi”, è rappresentata l'ira di Bernardone, padre di Francesco, quando il figlio gli comunica la rinuncia agli agi e sceglie la povertà. Si riconosce la piazza del Vescovado di Assisi. Dopo aver soggiornato a Roma, Giotto va a Padova per realizzare tra il 1303 e il 1305 la cappella privata di Enrico degli Scrovegni, figlio di un usuraio di Padova, inserito in un girone dell’Inferno di Dante, che eresse l'oratorio religioso per espiare i peccati familiari. Giotto affresca le pareti con “Storie della Vergine”, Storie di Cristo”, “Vizi e Virtù”nel basamento e uno straordinario “Giudizio Finale” in controfacciata, dove compare anche il ritratto dello Scrovegni. La naturalezza e la ricerca espressiva dei protagonisti, la ricchezza dei colori, la capacità di costruzione architettonica e prospettica dello spazio mostrano la piena maturità dell’artista. L’amorevole abbraccio della Madonna al figlio nel “Compianto su Cristo morto” e gli sguardi tra Gesù e Giuda in “Cattura di Cristo” nel momento del tradimento, mostrano un realismo di livelli altissimi. La maestria di Giotto si nota anche nei “Coretti”, due piccole cappelle vuote dipinte sulla parete, con finestrelle da cui si vede il cielo, un capolavoro di prospettiva che anticipa la pittura rinascimentale. Giotto si cimentò anche con i soggetti tradizionali della pittura del Duecento, ad esempio nel “Crocifisso” realizzato per la Chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, supera quei legami ancora esistenti tra Cimabue e la pittura bizantina, realizzando un'immagine realistica. Anche nella “Vergine con Bambino in trono”, oggi agli Uffizi, pur attenendosi all'immagine tradizionale, tralascia l'atteggiamento distaccato e la stilizzazione lineare e conferisce solidità di forme alla Vergine e al Bambino e un senso di umana partecipazione alle vicende del mondo. Oltre ad Assisi, Roma, Padova e Firenze, fu attivo a Rimini nei primissimi anni del Trecento favorendo la nascita di una scuola pittorica. All'apice della sua fama Giotto fu conteso dai grandi committenti del suo tempo, a Napoli da Roberto d'Angiò e a Milano presso Azzone Visconti per affrescarne il palazzo. L'ultima opera è del 1334, quando fu capomastro per la Repubblica fiorentina per realizzare il celebre campanile del Duomo, di cui gettò le fondamenta e diresse personalmente i lavori fino al primo ordine dei rilievi. Morì a Firenze nel 1337.
Nell'immagine: La Cappella degli scrovegni