Niente da fare, ci sono ricascato. Quando mi dico che devo smetterla di guardare cinema francese, perché odio i francesi, esce una pellicola che mi fa tornare la voglia di guardala. E’ il caso di Giovane e Bella, di François Ozon, uno che pare abbia il chiodo fisso della sessualità e in questa pellicola non è da meno, analizzando a fondo l’esplosiva sessualità e sensualità di una giovane diciassettenne. Inutile dire che il film conferma tutto quello che pensavo sulle francesi e forse anche di più, ma alla fine la pellicola è molta buona, nonostante quello che reputo una caduta di stile sul finale che non va da nessuna parte. Non mi aspettavo una svolta decisiva o qualcosa ad effetto, ma almeno un finale vero e proprio. Sembra quasi, infatti, che il regista sia arrivato fino a quel punto e senza sapere come chiudere la storia, abbia messo lì un momento strano tanto per metterci qualcosa.
Isabelle è una studentessa a cui non manca nulla: bella, solare, una famiglia abbastanza abbiente da sostenerla e tutto il resto. Durante le vacanze estive perde la verginità in spiaggia e tornata a Parigi decide di diventare una prostituta d’alto bordo sotto le pseudonimo di Lea. Trecento euro a botta. L’attività viene interrotta bruscamente dalla morte per infarto del suo cliente più affezionato e durante le indagini, la polizia rivela alla madre di Isabelle cosa fa quando esce la sera.

Il film è completamente concentrato su questa dualità e nei suoi quattro capitoli, divisi come le stagioni di un anno, Ozon racconta la doppia storia di Isabelle. La pellicola sembra fare l’occhiolino a Bella di giorno, uno dei capolavori di Luis Bunuel, ma non riesce a raggiungere lo stesso livello artistico. Altra nota dolente è la noia costante. Nonostante la pellicola duri un’ora e mezza, la lentezza delle scene sembra farlo durare come minimo 3 ore. Il finale, però, rimane il punto più disturbante. Se ci si aspetta una minima svolta nella vita di Isabelle o qualcosa che mette la parola fine alla storia…beh, non c’è. Il film rimane sospeso, senza dare alla sua protagonista neanche una maggiore consapevolezza di se stessa o del mondo che la circonda.
