Giovani marmotte crescono, ma non gay!

Da Psicologiagay
 

L’omosessualità “è un problema“, consentire l’adozione a coppie omosessuali è paragonabile al considerare la “tortura come pratica lecita”, e, pur ammettendo che “l’omosessualità non ha nulla a che vedere con la pedofiliaè giusto sottolineare che le relazioni tra persone omosessuali “sono gravi depravazioni. Per questo, le persone omosessuali sono chiamate alla castità“.
Queste ed altre affermazioni altrettanto inverosimili, sono trascritte negli atti del seminario (resi pubblici da qualche giorno) organizzato dall’associazione Agesci, l’associazione degli scout cattolici, tenutosi nel novembre 2011: “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità dei capi. L’educazione tra orientamento sessuale ed identità di genere”.

Relatori del convegno sono stati padre Francesco Compagnoni, membro dell’Ordine Domenicano e Assistente ecclesiastico nazionale del MASCI, docente di teologia morale nelle Facoltà di Teologia e di Scienze sociali della Pontificia Università S. Tommaso di Roma, e due psicoterapeuti: Dario Contardo Seghi, psicologo e psicoterapeuta, ad orientamento analitico, intersoggettivo/costruttivista, e Manuela Tomisich, psicologa-psicoterapeuta, formatrice e mediatrice familiare e comunitaria.

L’obiettivo del convegno era quello di tracciare delle linee guida nei confronti dei capi scout omosessuali, e le conclusioni sembrano essere che i capi scout omosessuali non dovrebbero dichiarare il loro orientamento sessuale, per evitare di “turbare e condizionare i giovani”. Inoltre i giovani omosessuali dovrebbero essere mandati da uno psicologo, visto che si ritiene possibile educare i ragazzi e le ragazze all’eterosessualità.

Padre Compagnoni nel suo intervento ha espresso una serie di affermazioni basate su pregiudizi e convinzioni errate travestite da assunti teorici di buona prassi in campo educativo. Afferma : “È evidente” [? a chi?]che una persona omosessuale da sempre, con la tendenza profondamente radicata, si trova generalmente in difficoltà con il proprio sesso corporeo e non soltanto con il sesso a livello genitale. [Non starà facendo confusione con la disforia di genere?] Infatti, come voi sapete, il primo dei sessi è quello genetico, quello delle cellule, quindi c’è tutto il problema molto complicato del rapporto fra la struttura corporea, la struttura celebrale e la struttura ormonale. È una questione complessa ed è per questo motivo che in linea generale la persona omosessuale ha dei problemi non solo sul piano sociale ma anche con se stessa. Può trovarsi ad avere un’autocoscienza di un certo tipo e il corpo di un altro tipo” [GULP! Sembra proprio confondere identità di genere e orientamento sessuale. Guarda caso come fa in tutti i suoi testi Nicolosi].

Da tali dichiarazioni balza agli occhi proprio la confusione del concetto di identità di genere con il concetto di orientamento sessuale (le persone omosessuali non hanno generalmente alcuna difficoltà con il proprio sesso biologico), e inoltre, la letteratura scientifica ha dimostrato che la popolazione omosessuale non soffre di disturbi o problemi psicologici in maniera differente  da quella eterosessuale, ad eccezione dei problemi relativi all’essere appartenenti ad una minoranza, che comunque non rende le persone omosessuali passive, prive di risorse o incapaci di reagire allo stress.

La cosa che più colpisce è che, nonostante le evidenti scorrettezze insite nelle affermazioni di padre Compagnoni, i due psicoterapeuti presenti al convegno non hanno fatto alcuna rettifica, e pur sottolineando che l’omosessualità non è un malattia, non hanno messo sullo stesso piano educatori eterosessuali e omosessuali, suggerendo a quest’ultimi una grande prudenza nel dichiarare il loro orientamento. Un tale suggerimento è in evidente contrasto con gli studi teorici e clinici più recenti che ritengono la visibilità in ambito familiare, lavorativo ed educativo delle persone omosessuali un fattore di protezione da problemi psicologici e, quindi, una condizione di benessere, sia personale che comunitario.

Addirittura, il dottor Contardo Seghi, rinforza le affermazioni di padre Compagnoni, sostenendo che l’omosessualità non è sempre una condizione permanente, e che alcune persone “diventano” omosessuali in seguito a un trauma o seguendo alcune loro errate convinzioni:  “Molto spesso alcun donne lesbiche avevano incontrato maschi brutali. In queste situazioni per la ragazza o per la donna è facilissimo tornare affettivamente a situazioni precedenti, soprattutto se quella dimensione materna (omo-affettiva) è stata positiva e appagante. In questi casi, può facilmente svilupparsi una dimensione omosessuale perché il pensiero inconscio è: ‘se il maschio è brutale io trovo più facilmente soddisfazione affettiva con un’altra donna‘”.

Il collega ignora che molte lesbiche non hanno mai provato attrazione sessuale per maschi, nè brutali, nè dolcissimi, tanto da escludere qualunque contatto affettivo o sessuale. E che molte donne abusate e violentate restano eterosessuali nonostante il trauma subito.

Contardo Seghi parla anche di coming out affermando “Accennavamo prima al coming out, cioè al bisogno che a volte un capo ha di manifestare ed esprimere i problemi della sua identità. [Magari di genere?] Un capo di questo tipo – dice lo psicoterapeuta – , affetto da protagonismo [? cioè esibizionista? istrionico?], se omosessuale, nel percorso di rafforzamento della propria identità può sentire di dover passare attraverso l’espressione pubblica del suo orientamento sessuale. Questa situazione può non essere opportuna in riferimento al percorso di crescita dei ragazzi“.

Dal canto suo la dottoressa Tomisich ritiene che l’omosessualità sia “un tema che ha a che fare con la scelta [Non è mica omofobia. Quella si che si può scegliere]. È sempre frutto di un processo di costruzione della propria identità molto complicato, che le persone vivono, in un percorso lungo.” E poichè in questo percorso di costruzione dell’identità i giovani cercano dei modelli e andrebbero guidati per “maturare quelle capacità di analisi d’introspezione di attenzione e di conoscenza necessarie a definire la propria identità”, un eventuale coming out dei capi scout potrebbe essere sconveniente. [Quindi un modello omosessuale è sconveniente?]

Del resto, sottolinea la Tomisich “una eventualità questa, che porta l’omosessualità a porsi non come una modalità di espressione della propria identità sessuale, ma piuttosto come una modalità di sottolineare la differenza tra omosessualità ed eterosessualità in maniera forte, negando così la specificità dei diversi percorsi. Vale a dire che ci si propone all’altro ponendosi “contro” e non dicendo della propria fatica a costruire la propria identità“. In pratica, la Tomisch parla come se davvero si potesse scegliere di essere omosessuali perchè è di moda, o per mandare un messaggio sociale di rivolta, o addirittura per simpatia nei confronti di una persona omosessuale.

Concludendo, è doverosa l’osservazione che, per l’ennesima volta, un’occasione di confronto aperto sul tema dell’omosessualità, si è trasformata nella divulgazione di inesattezze, quando non di palesi e ingiustificabili errori, su tale argomento, con il beneplacito di esponenti che dovrebbero invece farsi testimoni della “verità” scientifica.

Pare che l’Agesci abbia replicato più volte al tam tam mediatico su questi atti affermando di essere aperta al confronto e al dialogo su queste tematiche.

Di certo di strada da fare ce n’è ancora molta, soprattutto all’interno degli ordini professionali e nelle università.

A cura delle dott.sse Valeria Natali e Paola Biondi


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