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Giovani Prospettive: Gianguido Oggeri Breda – Omaggio di parole

Creato il 07 gennaio 2015 da Wsf

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Gianguido Oggeri Breda ha frequentato l’Istituto d’Arte, conseguendo il diploma nella sezione arredamento, per poi occuparsi di grafica e design. Influenzato da un’idea di lavoro più vicina all’artigianato che alla pura espressione artistica, i suoi progetti sono sempre indirizzati alla possibilità di riproduzione, necessità che ha trovato nello scanner anche un prezioso mezzo di “trasfigurazione” e reinterpretazione dell’opera. La sua attenzione, dopo le prime esperienze pittoriche, si è rivolta proprio all’utilizzo di questo particolare strumento come mezzo improprio di ritratto, alla ricerca della zona di penombra tra visione e inquietudine.

 

Gianguido O. Breda

Friday Evening di Alba Gnazi

Affréttati a questa porta, amore mio
A questa soglia affréttati, nell’uscio non
Sostare, batti i piedi, scampanella una volta,
Poi due, poi tre finché non apro;
nella luce di falene i tuoi occhi arrossati
disfan la grazia della sera, l’uggiolio del cane
dietro alla porta – ti ha sentito arrivare, e
già scoda aria con la coda e col collo nero, lappando
il tuo sentore – e le foglie consunte dai
passanti inoltrati al loro buio.

Mòstrati come un’effigie di tetto
diafana di crepuscolo; affianca il muro col fianco
grave di stanchezza che sgnaula al par di gatti
affacciati alla tua ombra grigio novecento,
e scalpita al mio piede alto sul rosso
che l’avvolge – mi vedi e ancor non m’hai visto,
la tua mano accompagna disperazione alla soglia
cinerea che tra noi s’oppone, e col capo chino
tu sospiri.

M’affretto ad aprire questa porta, amore, ché
Troppi istanti ho sfiorito, stropicciandoli
Tra i denti neri di sangue e fame;
i semi porpora chiaman melograno
il padre che li sputò, e già dal bianco
t’ho atteso.

M’affretto a questa porta, che maledico e bacio.
Più non resisto.

***

La trasparenza dura di Patrizia Sardisco

oltre gli occhi ogni attesa
resta a vedetta _ vitrea

questa infine è la notte
la trasparenza dura
infrangibile al tatto

e il fiato non ha bocca
ad ansimare fuga
e non si appanna l’alba

viene in luce barocca
corporea la distanza

***

Lettera scritta sul tuo profilo di Rosaria Iuliucci

Ho lasciato le mie impronte sul tuo volto di bambino mancato , quasi come fossero sgraziate carezze per non fartele dimenticare .
Di madre e figlio siamo appartenuti ad una tempesta di tempo che ancora oggi accolgo con ostinazione chiedendomi quale sarebbe stato il tuo profilo e quale il mio se non avessimo eretto al cielo questo futuro tinto di oblio.
E’ una notte fatta d’inchiostro questa in cui ti scrivo, e di petrolio che ancora annuso per disfarmi completamente da quella linea nera sottile che mi avanza contro la faccia e si fa spettro d’ombre care per citarmi di tutto quello che ancora non è stato mio ,e mai sarà tuo .
Questo silenzio è una leggera agonia , una parola che non mi lascia andare via .
E’ un morso morbido sul cuore , incessante rotolio stridente di un chiaro canto che si fa battito contro il petto .
Non è più dolore quello che sento , non lo dico con illusione .
E’ un corpo sacro fatto d’amore esteso fin oltre quello che sono .
E’ foglio di carta bianco che prepotente si posa sulla mia estesa memoria.
E’ una tasca vuota che non scandisce più il tuo nome .

2

un fiore
più un fiore
e un altro ancora
non fa un prato

una lacrima
più una lacrima
e un’altra ancora
non fa un pianto

incorniciami
e non credere
mai
alle mie parole

Immagine

di Carmen Morisi

***

Rosărosaerosaerosămrosărosā di Emilia Barbato

anche il passo più piccolo
e la più piccola sua impronta
smentisce l’origine svelando
l’inganno, dall’aula magna
di economia fino alle trasferte,
tutta la storia nella spocchia
di un curriculum; ma un passo,
un passo inavvertito, rischia
di cancellarti tra lo sdrucciolo
di un ufficio e la fauna
feroce dei servitori,
un inferno che porta
dal tabacco sulla lingua
alla fame degli ammortizzatori,
è di questo ormai
che si parla;
la rosa languisce,
la mia rosa è sfiorita,
mi sfioriscono,
i padroni tagliano la rosa,
la rosa che fioriva
in giardino,
la stessa rosa che appassisce
allo spuntar del giorno.

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Rouge foncé
le rouge grouillement
La maglie della vita
scorrono diseguali
fremendo nelle pause
c’è del buono anche in questo?

Come scomporre il tempo per fermarlo
e spezzare il dolore
il rugginoso impero delle furie
ardente metalinfa e desiderio?

Shit and flowers
various ways of the bloom
ça suffit
only a different gate
per rovesciare un mondo
blown up – blown up

Et la bête se plonge
sur la poitrine empoisonnée
quale Horlà calerà
dal tuo cervello acceso
affollato di sogni
only dots only dots
de tranchante finesse
solo questo vedrai
mentre attendi il verdetto
Wie ein Hund!
Wie ein Hund!

di Guido Mura

4

Che tu sia maledetto, che sia maledetta questa immagine che mi toglie il sonno.
Che siano maledette quelle mani, quel viso nascosto, siano maledette per sempre quelle ciocche di capelli arruffati, proiettate per l’eternità in un movimento incerto, maledetta pure la bocca nascosta che mi direbbe tanto, l’interrogativo delle labbra in un morso o un bacio, la potenza o la delicatezza con cui le dita avvolgono il naso.
Che succede, qui?
E’ lo spasmo beato dell’amplesso, e posso immaginare la bocca di lui sulla nuca ad accompagnare il movimento del ventre che compie l’unione dei corpi?
O piuttosto uno stupro in cui l’onta subita richiede la sparizione del viso.
E’ viva, sta godendo dell’attimo, o siamo di fronte alla serialità di un omicidio?
Dove si trovano?
Questo buio, questa seppia scura, questa luce che proviene da sinistra, questa lampada accesa, che vogliono raccontare?
Da quanto dura, da quando sono fissi in questa immagine, quanto ancora si muoveranno prima di consegnarsi allo sfinimento.

Dio se c’è sesso, calore, amore, passione, ferocia, voluttà, violenza, cura, voglia, tenerezza, spregio, vita e morte in questa foto.

Lo so, lo sai, non me la toglierò più dalla testa.
Che tu sia maledetto, maledetta sia l’immagine in cui vorrei le mani fossero mie.

di Rosario Campanile

7

appartengo al pensiero in-solido
cospirazione è questo contraffare elevazioni del mio stesso
essere diabolica
una pelle che qualche volta si disegna come organo arrossato
un disdegno temporale – una bocca parlata
nel gesto spinato di una mano povera d’aria
(il mio innamorarti si spezza solo se parli)

di Antonella Taravella


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