Standing ovation per Giovanni Allevi al concerto barcellonese del 9 marzo 2015 al Palau de la Música
Barcellona, ore 21:00 di lunedì 9 marzo. In compagnia di un’amica mi appresto ad assistere alla tappa spagnola del Piano Solo Tour 2015 di Giovanni Allevi.
La sala dello splendido Palau de la Música non ha un posto vuoto. Il pubblico è giovane e soprattutto italiano. Sul palco soltanto un pianoforte.
Quando l’artista fa la sua comparsa, saltellando come un furetto con il suo casco di capelli neri e ricci, è quasi un boato.
«Sembrava l’applauso finale, grazie di cuore», dice un emozionatissimo Allevi. Venticinque anni di concerti in giro per il mondo e uno svariato numero di riconoscimenti non sembrano averlo vaccinato contro l’ansia da prestazione.
Sempre sorridente e con un filo di voce, il pianista, prima di eseguirlo, spiega come è nato ogni brano del suo ultimo album, Love che sta promuovendo in tutta Europa (qui tutte le date del tour).Durante l’esecuzione di uno dei pezzi finali la voce di un neonato sovrasta la musica e Allevi, senza interrompersi né scomporsi, gli manda un bacio che fa sorridere ed emozionare tutta la sala.
Raccontare un personaggio come Allevi, pianista, compositore e direttore d’orchestra, due diplomi al conservatorio, una laurea in filosofia con lode e un curriculum di dischi d’oro e di platino da far invidia ai cantanti rock, non significa parlare soltanto di musica. La sua vita appare in costante tensione tra anticonformismo e disciplina, estro sregolato e senso del dovere.
Nel 2012 Allevi è stato nominato Cavaliere della Repubblica. Cosa che non è piaciuta a molti detrattori, in genere musicisti classici, che si sono affrettati ad etichettarlo come un prodotto di marketing privo di spessore culturale. Una sorta di ibrido adatto a pubblico di basso profilo.Da anni i critici più feroci si impegnano nel ripetere che il fenomeno Allevi è una moda destinata a finire, ma stando al successo dei suoi dischi e al tutto esaurito dei suoi concerti si direbbe che le previsioni nefaste gli portino fortuna.
Per capire che cosa c’è dietro questo originale personaggio, autore anche di alcuni libri, tra cui il vincitore del premio letterario Elsa Morante 2012, La musica in testa, pubblicato da Rizzoli, ho voluto incontrarlo.
L’appuntamento è per la mattina dopo il concerto nell’hotel in cui il Maestro e il suo staff soggiornano e fin dalla prima stretta di mano ho la sensazione che l’intervista sarà di quelle da ricordare.
Mentre conversiamo davanti a un caffè, mi sembra di scorgere le due anime del personaggio. Quella ribelle, che lo fa parlare senza filtri, attirandosi spesso critiche feroci, la stessa che lo manda sul palco con la T-shirt e le sneakers e quella più timida del padre di famiglia (ha due bambini non ancora in età scolare), a cui manca la tranquillità della routine domestica quando è il giro per il mondo.
Un bel ricordo della nostra chiacchierata.
È da questo contrasto che comincio a farmi raccontare chi è veramente Giovanni Allevi.
Giovanni, hai raccontato che da piccolo i tuoi genitori, una cantante lirica e un clarinettista, ti avevano proibito di suonare il pianoforte chiudendolo a chiave, per timore che la musica ti facesse soffrire, dal momento che loro non erano riusciti farsi una carriera da solisti. Tu, però, avevi trovato le chiavi e suonavi di nascosto. Se non avessi avuto questa proibizione, oggi saresti quello che sei?
No, assolutamente no. Tutta la mia vita è un continuo rompere quel divieto. Quella proibizione ha fatto in modo che la musica fosse per me il desiderio di infrangere una regola e al tempo stesso la paura di essere scoperto nel farlo. Questo desiderio e questa paura ancora non mi hanno abbandonato.
Se i tuoi non si fossero arresi alla tua passione, iscrivendoti al conservatorio, che cosa saresti diventato?
Credo un professore.
Di filosofia?
Magari, sì, mi sarebbe molto piaciuto.
Come mai hai scelto la facoltà di filosofia?
Perché sono stato folgorato da questa disciplina negli ultimi anni del liceo.
Quali sono i filosofi che ami di più?
Kierkegaard, Nietzsche e soprattutto Hegel per la sua teoria dello spirito del tempo.
Tu hai scritto più di un libro. Che differenza c’è tra scrivere musica e scrivere parole?
I miei libri sono dei diari. Nella scrittura c’è la possibilità di riflettere, mentre nella musica c’è l’immersione nell’attimo, nell’irrazionale. Io accosto di più la musica all’idea della follia.
Che cos’è per te la musica?
La musica è immersione nella vita, è la scoperta della poesia e dell’eccezionalità che è nascosta dietro alla quotidianità. Per me la vita quotidiana è misteriosa, poetica e insondabile. Basta togliere quel velo di ovvietà per scoprire la straordinarietà della nostra vita.
Il gesto tipico di Giovanni Allevi al termine dell’esecuzione di ogni brano.
Come mai quando in concerto termini l’esecuzione di un brano alzi le braccia in un gesto che ormai è diventato una tua caratteristica?
Perché sono attraversato da uno spasimo, da un’energia che ho bisogno di modulare. È come se dirigessi un’orchestra immaginaria.
Cosa ami leggere in genere?
Io amo molto la letteratura americana, specialmente John Fante e Bukowski. Fante perché, parte da una desolazione polverosa e fa emergere una straordinaria vitalità, un grande slancio. Bukowski perché descrive il mio possibile alter ego, cioè quello che mi sarebbe piaciuto essere e che non sono. Un ubriacone che ingaggia risse sul Sunset Boulevard. Quando sono stato in concerto a Los Angeles mi sono preso un pomeriggio per ripercorrere le strade del mio scrittore preferito.
Invece sei un papà di due bambini…
(Ride…,ndr) Sì, infatti, sono un papà controllatissimo e rispettoso. Ma è questo il succo della letteratura, la possibilità di vivere altre vite. Mi piace anche molto la letteratura giapponese, specialmente Murakami, che mi è stato suggerito dai miei fan giapponesi. Credo sia la massima frontiera verso cui si possa spingere la fantasia. Non ho mai trovato una mente più fervida della sua.
Hai fatto concerti in tutto il mondo, ce n’è uno che ti è rimasto nel cuore più degli altri e che ritieni indimenticabile?
Di certo non posso dimenticare il concerto di ieri sera qui a Barcellona. Durante l’esecuzione di un pianissimo ho sentito il gridolino di un neonato e ho avvertito la sorpresa e l’emozione del pubblico. Gli ho mandato il bacio e ho continuato a suonare con una gioia infinita dentro. Quando ho terminato l’esecuzione è scoppiato un applauso incredibile. È un ricordo che terrò sempre nel cuore.
Non posso dimenticare nemmeno il concerto più “assurdo” che io abbia mai fatto. Ho suonato in mezzo al deserto egiziano con l’orchestra dei solisti della scala. Sia noi che il pubblico siamo stati portati con delle jeep in questo luogo sperduto. È stato un concerto magico, sotto le stelle.
Hai conquistato riconoscimenti e obiettivi importanti. Ti rimane qualche sogno?
Sì, ce ne sono ancora tanti. Il principale è quello di dirigere la mia sinfonia, che tra l’altro ho scritto proprio nel deserto, ma che è rinchiusa dentro a un cassetto da anni. Temo che non avrò mai l’opportunità di ascoltarla. Il mondo in questo momento va in tutt’altra direzione, c’è spazio per la canzone, ma non per la complessità di una sinfonia e temo che mi toccherà sentirla per sempre solo nella mia testa.
La Nasa ti ha dedicato un asteroide (111561 Giovanni Allevi). Come è andata?
Ho semplicemente ricevuto una mail che mi informava della mia “beatificazione stellare”. Ho scoperto solo in un secondo momento che si è trattato di un’idea del dipartimento di astrofisica dell’Università di Padova, che ha rapporti con la Nasa. Un processo che ha richiesto più di dieci anni.
Tu in Giappone sei un idolo. Come ti spieghi questo grande successo?
Non me lo spiego, come non me lo spiego in Italia. Pensa che a Tokio un gruppo di fan ha persino aperto una “Giovanni Allevi backery”. Si tratta di ragazzi che lavorano nel negozio per finanziare progetti tecnologici avanzatissimi che sviluppano nel retrobottega. Sono andato a trovarli ed è stato davvero bellissimo.
In Italia, da sempre, a scuola la musica viene considerata una materia secondaria. Tu che cosa proporresti per diffondere l’educazione musicale?
Io sono stato per molti anni professore di musica alla scuola media e ho insegnato anche pianoforte nella scuola media a indirizzo musicale. Quest’ultima è davvero innovativa. Chi la frequenta, nel pomeriggio fa lezione individuale di uno strumento. Si tratta solo di tre anni, ma sono sufficienti per scoprire e incentivare talenti e vocazioni. Bisognerebbe applicare il metodo a tutte le scuole medie.
Cosa fai quando non ti dedichi alla musica?
Oltre a leggere, che per me è davvero un balsamo per l’anima, mi piace moltissimo correre. Corro più o meno dieci chilometri al giorno sul tapis-roulant. Aiuta a concentrarmi.
La cosa che ami di più nelle persone?
Quel lampo di disorganizzazione che vedo negli occhi. La bellezza è il risultato di un anima sfavillante. L’anima è luminosa quando si confronta con il buio interiore. Non so se riesco a spiegarmi…
La cosa che più ti da fastidio nella gente?
Il conformismo. Non sopporto la gente che crede di avere delle verità in tasca. Detesto i pregiudizi e le ideologie. Sono socratico, so di non sapere e pretendo che anche gli altri abbandonino le verità precostituite. Questo è anche il frutto della musica, che ha spazzato via tutto. Noi siamo in continuo movimento, crediamo di sapere, ma non sappiamo nulla. Dovremmo invece recuperare l’accettazione del diverso.
Un tuo pregio?
C’è una parte femminile dentro di me. Il maggior pregio dell’anima femminile è quello di avere una grande forza indirizzata verso la mediazione e la soluzione dei problemi. Una donna non è mai distruttiva e soprattutto sa sempre che cosa è giusto fare. Proprio non capisco perché abbiamo costruito una società uomo-centrica. È una follia.
Un tuo difetto?
Mi faccio un sacco di paranoie. Sono molto ansioso e perfezionista. Nel momento in cui sbaglio una nota mi faccio mille problemi. Il mio perfezionismo rischia di mortificare le cose belle che mi accadono. Non sono mai soddisfatto dei risultati raggiunti perché penso che si possa fare sempre di più e meglio. Credo che dovrei imparare a godere di più il presente.
Dal 2013 sei ambasciatore di Save the children. Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
È un impegno non solo ad aiutare l’infanzia, ma anche a trarre ispirazione dall’infanzia, per far riscoprire alla gente il bambino che è in ciascuno di noi. Vorrei far sì che lo stupore incantato nei confronti delle cose, che è proprio dell’infanzia, guidasse sempre di più i nostri passi e rompesse i pregiudizi.
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