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Giovanni Antonio Colicci maestro di legname (Parte prima)

Creato il 22 agosto 2011 da Cultura Salentina

di Maura Lucia Sorrone

G. A. Colicci, Sant’Antonio da Padova, part. della pedagna con firma e data

G. A. Colicci, Sant’Antonio da Padova, part. della pedagna con firma e data

Recentemente, gli studi sulla scultura in legno, sostenuti da  numerosi interventi di restauro, ci hanno permesso di aggiungere ulteriori tasselli allo sterminato e immenso patrimonio di opere presenti sul territorio salentino; ed è proprio grazie a ciò che altri nomi si aggiungono a quelli dei più conosciuti artisti del legno, svelando intrecci e legami che i documenti finora conosciuti avevano solo suggerito.

Giovanni Antonio Colicci maestro di legname (Parte prima)

Nardò (Lecce), Cattedrale, G. A. Colicci, Madonna Assunta, 1714 (foto V. Giorgino)

È proprio il restauro delle opere che può compensare le lacune documentarie, permettendo, spesso a distanza di molto tempo, di chiarire importanti vicende stilistiche.

Negli ultimi anni, si è cercato di utilizzare al meglio le nuove tecnologie nel campo della diagnostica, ma quando ciò non risulta possibile, anche solo un corretto intervento di restauro può permettere una lettura omogenea dell’opera e il più delle volte salvarla dall’incuria e da metodi di scarsa manutenzione utilizzati di frequente in passato.

Seminario Diocesano, G. A. Colicci, San Filippo Neri, 1714

Seminario Diocesano, G. A. Colicci, San Filippo Neri, 1714

Tra i casi più noti ci sono le vicende artistiche di scultori come Nicola Fumo e Giacomo Colombo, ai quali spesso, vengono attribuite opere sulla base di una  somiglianza stilistica con opere certe, dimenticando però che tale somiglianza è frutto di restauri poco corretti. Ciò ha portato ad accrescere inevitabilmente il catalogo di alcuni artisti a scapito di altri, ancora poco conosciuti, che meritano le dovute attenzioni.

È il caso di Giovanni Antonio Colicci, scultore di origini romane, documentato negli anni 1692 – 1740, autore di due opere in legno custodite ancora oggi a Nardò, negli ultimi anni recuperate e ripulite da interventi che ne occultavano il valore.

Prima di soffermarci sulle due opere in questione è necessario spendere alcune parole sul Colicci e sulle vicende che lo avvicinarono all’ambiente napoletano.

Nardò, Cattedrale, G. A. Colicci, Madonna Assunta, 1714,  prima del restauro

Nardò, Cattedrale, G. A. Colicci, Madonna Assunta, 1714, prima del restauro

Il nostro artista, sembra appartenere ad una famiglia di intagliatori romani, che negli anni Novanta del XVII secolo, lavorano nell’Abazia di Montecassino collaborando alla realizzazione del coro ligneo della  basilica.

In questi anni i lavori nel cantiere cassinate impegnano importanti artisti napoletani, tra cui Luca Giordano, Francesco Solimena e Francesco De Mura; dunque la famiglia Colicci era già ben inserita nell’ambiente   artistico napoletano, infatti come ha evidenziato Filippo Aruanno, già nel 1699, Giovanni Antonio Colicci realizza due angeli che reggono uno stemma per la Chiesa degli Incurabili di Napoli.

I documenti pubblicati da Gian Giotto Borrelli testimoniano, inoltre, Giovanni Antonio attivo a Napoli a partire dal 1712 come scultore de legnami, perfettamente inserito nella società napoletana.

E dalla sua bottega sita ante largum Archiepiscopalis Ecclesia due anni più tardi, nel 1714, partirono le due belle statue, quella della Madonna Assunta e il busto di San Filippo Neri che giungeranno a Nardò per volontà del Sanfelice. Dunque un’ incarico illustre per il Colicci, al quale, proprio in questi anni, verranno commissionati arredi lignei per monasteri e chiese, e diverse statue, tra cui quella di San Benedetto per la badessa del monastero di San Giovanni a Capua.

Tutto questo mentre Antonio Sanfelice aveva già dato inizio all’opera di restyling dell’intera diocesi salentina.

Scontato ricordare l’attività di grande mecenate che il vescovo intraprese, i cui segni, ad ogni modo, sono tuttora visibili. Interessante porre attenzione sui rapporti del vescovo – committente con gli artisti che da Napoli inviavano le proprie opere nella provincia salentina. A tal proposito, ricordiamo che intenso doveva essere il rapporto del vescovo Sanfelice, tramite il fratello, con Francesco Solimena o comunque con artisti della sua cerchia, che fruttò alla città di Nardò diverse opere. Proprio questa potrebbe essere la stessa strada che ha portato Giovanni Antonio Colicci, a ricevere degli incarichi da parte del  vescovo Sanfelice, mediante l’intervento, anche in questo caso, del fratello architetto, al quale forse, come ipotizza Borrelli, spetta il disegno delle due opere neretine.

Purtroppo le sostanziose visite pastorali sono avare di notizie riguardanti i nomi degli artisti, ma è indicativo ricordare che proprio al 1714, anno di commissione delle due statue, risale il rifacimento dell’altare maggiore e l’intero presbiterio della Cattedrale che verrà dedicato alla Vergine Assunta mentre a San Filippo Neri, già da tempo venerato in città, fu intitolato il Seminario diocesano.

Questi segni testimoniano l’intenzione del vescovo di attuare un vero programma politico, che anche per la scultura sembra seguire la stessa linea che Galante ha ipotizzato per le pitture dell’Olivieri nella chiesa della Purità.

Chiarito a grandi linee il clima culturale e accennato ai proponimenti del Sanfelice, possiamo ora soffermarci sulle statue oggetto della questione.

Le due opere sono state di recente restaurate, e ciò ci permette di avere una lettura omogenea dei manufatti.

L’intervento effettuato sulla statua dell’Assunta ha ripristinato quella che sembrerebbe essere la policromia originale dell’opera la tunica rosso – arancio con piccoli motivi floreali, il manto blu che dalla spalla sinistra scende sulla figura, il copricapo color avorio a strisce rosse, che dalla spalla destra scivola con un delicato movimento sulla sinistra.

Prima del restauro la statua si presentava completamente modificata nella cromia, al rosso della tunica era stato preferito l’avorio, mentre uno spesso strato di sporco e vernice ossidata ricopriva l’intera superficie.

Per realizzare l’opera lo scultore ha utilizzato diversi masselli di legno, lavorati e poi assemblati insieme; con il restauro, è stato possibile constatare la situazione compromessa di tutta la struttura e capire in quali punti sono stati assemblati i pezzi.

L’intera figura, piuttosto grande, presenta la Vergine assisa su una nuvola circondata da teste alate di cherubini, ha le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto.

Il pessimo stato in cui versava l’opera aveva finanche nascosto completamente la delicatezza dell’intaglio, alquanto profondo nelle pieghe del vestito e più dettagliato e minuzioso  per ali dei puttini.

(leggi la seconda parte)


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