Giovanni Catalano - L'amico di Wigner o della poesia empirica

Da Ellisse

Come sappiamo l'amico di Wigner, il fisico di origine ungherese premio Nobel nel 1963, è il protagonista dell'omonimo paradosso, a sua volta costruito su quello del gatto di Schroedinger. Troppo lungo da spiegare qui. Diciamo, in soldoni, che è l'osservatore che determina lo stato effettivo delle cose e ciò non accade finchè l'osservazione non si verifica. Comunque sia, Catalano continua a riconoscere nella fisica quantistica il suo nume tutelare poetico. Maturando alcune convinzioni che avevo già rilevato (v. qui) da cui forse potremmo ripartire, e facendone uno stile, se non proprio una maniera.

Se c'è qualcosa da aggiungere a quanto dissi a proposito di "Immaginate la ragazza" è la notazione che, cosa importante, l'epigrafe della prima sezione del libro viene dall'autore astutamente rovesciata. Si potrebbe dire, in termini popperiani, che viene confutata, o falsificata. "La semplicità delle leggi naturali - afferma Wigner - è generata dalla complessità del linguaggio che usiamo per esprimerle". Catalano agisce esattamente al contrario, assume come impegno e progetto un costante understatement della parola, l'utilizzo di forme sintattiche semplici, colloquiali, partendo dal minimale, dal quotidiano, per determinare e dipingere la fattuale complessità della vita. Se dovessimo perseverare nella metafora scientifica potremmo dire che tale complessità nemmeno è rilevabile finchè non interviene il poeta. Ma del resto, qual è il poeta che non lo fa? Qual è l'artista che con la sua "coscienza" non fa collassare il reale, non lo fa precipitare in un "testo", in un'opera? Leggendo queste poesie, quindi, non è infrequente avere l'impressione di fatti, eventi, incontri casuali, pene d'amore, nature morte, trionfi dell'ordinario, frammenti del presente, fortuiti incroci baudelairiani che avrebbero potuto accadere indipendentemente dal nostro esserci (nostro di lettori e dell'autore insieme) e che tuttavia, esattamente come accade nell'osservazione sperimentale, il nostro esserci intercetta e in qualche modo devia, influenza, costringe a una diversa realizzazione, perfino ipotetica. Una realtà, insomma, che diversamente da quella borgesiana, non sparisce nel momento in cui cessiamo di credere in essa. E se a volte si ha anche l'impressione di una scrittura a tratti assiomatica, aforistica, tuttavia l'irruzione di questa realtà (quasi sempre urbana) determina - specialmente nelle poesie più lunghe - come i rimbalzi di sassi sull'acqua, una specie di "sovrapposizione" ovvero interessanti testi nei testi che possono essere letti quasi a due voci, come un  dialogo leopardiano.

Restano fermi gli assunti, anche molto positivi, che credevo di aver individuato nell'opera prima di Catalano: rivelazioni, agnizioni, epifanie, fenomeni ed epifenomeni di una esperienza che può essere però soggetta (come avverte Debora Pioli nella postfazione) a una "ricerca testuale su un coefficiente di ripetizione infinita". Il che significa, a mio avviso, che sia l'esperienza empirica sia la descrizione  di essa possono essere frantumate, parcellizzate e riprodotte ad libitum. Ovvero resta da vedere se questo "metodo" Catalano avrà ulteriori sviluppi, di quante altre variazioni sul tema potrà darci conto.


Giovanni Catalano - L'amico di Wigner - Lampi di stampa 2011


La sedia da regista
Siamo
quello che manca.
Inganni,
saranno poche,
due o tre
fermate di metropolitana.
Siediti pure e leggi,
io preferisco stare in piedi
— anche se stanco —
per non rischiare
d'abituarmi alle cose,
tenere la borsa a terra
come un figlio
tra le gambe.
Saranno in pochi
con la tracolla,
a togliersi la borsa.
Ad aspettare
(piccoli seni rosa
dietro una maglia chiara)
mentre uno parla
e per partito preso
l'altro aspetta di parlare.
E si tengono il vestito
a fiori, la gonna troppo corta
hanno qualcosa
tra i capelli
una farfalla sulla spalla,
una macchia scura
come una voglia
e cantano
(oltre recinti di ferro spinato
fiori viola di buganvillea
sai, fanciullo, ho pianto all'idea
che al vento poi volino via)
coi giornali di oggi
sempre gli stessi
seduti ancora
e ora che il parco
chiude. E piove
senza miracolo.
Si può dire: piove
anche prima della pioggia,
quando può piovere
da un momento all'altro.
Questo discorso
di non voler sentire,
ogni cosa
ha il suo tempo.
Infatti poco prima
almeno noi eravamo a letto
e ci scoprivamo continuamente
erano anni che non bevevo
e non dormivo così bene
coi vestiti ancora addosso.
E gli ombrelli chiusi
come fiori
dentro un vaso
accanto alla porta.
Alcuni si sentono legati
ad un giardino
come cani, legati a un albero.
Si salverà chi è
nel giardino, dicono,
era una quercia
e una quercia vive cent'anni,
c'era poco da capire.
Ma io che passo lento
devo tenere.
Il mio posto è l'equilibrio
di queste case a picco.
Che a volte sedersi,
stare seduti,
è come essersi appena lasciati
cadere al sole, casa sul lago
un fine settimana.
Dopo tutto
ci dividiamo
in piccoli gruppi
e lei si scioglie
i capelli.
Non proprio lei,
è soltanto lei in un film.
O scegliere dei tanti
proprio questo:
la gente che ha cominciato
ad andarsene
e che si alza e va
nella sola direzione
in cui doveva.
Un futuro di vento
e di gerani senza ossa,
di sedie e tavoli in giardino,
posaceneri pieni di pioggia.
***
L'elastico del costume
allentato dalle spalle
per non lasciare il segno,
il sole ti apre i denti.
Ci salverà la reticenza,
l'educazione.
E una buona parte del tempo
io non ti ho detto niente,
era il nostro ponte di Mostar
e a bordo piscina
aspettavo.
i ciechi nuotano,
anch'io chiudo gli occhi.
Come se da altre cause
dipendesse la mia vita
e non da quel boato
in cui tu, prima d'entrare,
chiudi la bocca.
***
Tutti abbiamo
commesso un errore
nella vita. È questo il senso
di un errore:
che è stato commesso
da tutti
o prima o poi.
E, niente, fuori c'è
una grande fotografia.
Fuori dalla nostra testa.
No, non siamo contemporanei
siamo piuttosto come Luglio e Agosto
e devi scegliere
dove vorresti andare quest'estate
(una capitale europea
o un'isola greca, un piccolo posto
di mare).
Quante altre volte
dimenticheranno il giorno
del tuo compleanno.
Se ti dicessi
che il carattere di una persona
si vede anche dal modo
in cui piega la carta
dei cioccolatini.
Tutto ha sempre avuto per me
un certo sapore zen
(la farfalla di Chuang Tzu,
le monete dei Ching
ad esempio).
È il limite di ogni analogia.
Ti fai una doccia ed esci, te ne vai
ma che vuol dire (per sempre)
hai lasciato un pettine d'osso,
uno specchio appannato, la spugna.
È questo il senso di andarsene?
***
L'ultimo miglio
Ma quello che vediamo
sono le cose di ieri,
prese un po' per come siamo,
un po' per come siamo stati.
E anch'io allungo le mani
nella speranza che le scelte
possano cambiare.
Ma ieri è ieri, mi guardi,
la morte è morte.
Così ti cade per tre volte:
una moneta, un anello, la chiave.
Un rumore del genere,
una disattenzione.
E ci inchiniamo entrambi
per raccogliere da terra
quell'ultima benedizione
che qualsiasi cosa
ci venga tolta,
ci verrà data un giorno.
Qualsiasi cosa.
***
Caffè della stazione
Se a colazione
un invisibile vento
lava via la gente
e la richiude nelle case,
nelle automobili.
Solleva la polvere
fuori le porte dei bar.
E poi ci soffia a dosso
il primo velo di zucchero.
Nel freddo dei ciechi
appoggiati ai bagagli,
al buio di chi ha amato
ed è rimasto aperto.
Per accidente può accadere
— smarriti ad un lampione —
d'essere presi
e gettati più in là.
Non era un buon motivo
per partire, pensai.
Hanno lasciato le impronte
sui banconi d'acciaio,
i loro caffè sugli scontrini.
La gente muore e i bar
restano aperti.
***
I cambiamenti climatici
Se i pensieri fossero visibili
li vedresti camminare,
rialzarsi e di nuovo cadere,
rincorrersi felici come i figli
la prima volta al mare.
Perché un ragionamento sta in piedi
se è una replica esatta di noi.
Quando entriamo
nelle grandi librerie
dei centri commerciali.
siamo d'accordo,
non sono luoghi.
Dovremmo semplificare:
un comportamento rimane
un comportamento,
il mondo una visione
del mondo.
O i ragazzi che eravamo torneranno
a giocare nei campi rom.
Non sono luoghi.
E oggi che Auschwitz
non è né vicina né lontana,
chi è tornato ha detto
che adesso ne hanno fatto un museo
per fermarsi a pregare e dire grazie,
essere grati, dicono,
di non essere stati
la soluzione e non la spiegazione,
cambiare idea ci rende liberi.
Eppure sono sicuro, ci sta sfuggendo
qualcosa, riprendiamo
da dove c'eravamo lasciati.
La memoria è un gas che si espande,
che tende ad occupare lo spazio
a sua disposizione.
Ma un ricordo sta in piedi
se è una replica esatta di noi
di tutto ciò che avevamo
cominciato a costruire o distruggere
nel sonno.
Di tutto ciò che eravamo.
O se fosse
un fraintendimento, un modo
di dire, la libertà?
Noi a casa non ci siamo mai,
gli altri già convivono,
un appartamento.
È così che va: dividono
un problema in tanti quadrati
più piccoli ma prima
o poi dovranno
dimostrare il contrario.
Noi che siamo una coppia di quelle
che richiedono continue energie.
Uno è stanco anche solo
d'alzarsi dal letto
e andare in bagno scalzo,
metà uomo e metà specchio
e quel che rimane da dire,
figurati, è questo. Se è questo
il paradiso terrestre, la sorpresa
di non saper distinguere
il bene dalla miseria.
O il sabato uscire,
fare un giro all'Ikea
come una prova
d'amore — le economie
di scala, i parcheggi,
le code — ma vedi
la verità non è due cose.
Io lo so non può funzionare.
Se ci pensi, chiunque
è sostituibile e questo dovrebbe
renderci più liberi, spero
meno facilmente ricattabili.
Ogni cosa si trasforma
ma il calore si conserva.
E tutto di colpo si riflette
in ciò che non facciamo
o ci assorbe totalmente
come un'idea
che non abbiamo avuto.

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