Giovanni Giraldi: La morte di Bàrel

Creato il 17 ottobre 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Ecco il secondo dei tre racconti che pubblichiamo settimanalmente per ricordare Giovanni Giraldi. Il terzo e ultimo verrà pubblicato il prossimo Venerdì: iscriviti alla newsletter o al feed per non perdere l’ultimo appuntamento

Bàrel era vecchio, ed era anche invecchiato (vecchiaia non comporta sempre vecchiezza). Salì, precedendomi con passo buono, fin sul più alto dorsale dell’Isola di Dèlvin. Di fronte trepidava il mare, denso, profondo. Sedemmo sotto gli alberi, che lì erano folti e ci davano una loro protezione quasi violenta. Bàrel ne ebbe spunto alle sue riflessioni; a me rivolto diceva:

– Nei primordi del mondo, gli uomini vissero nelle ombre nere delle foreste; dopo, fu preferito il Sole, per giocondare la compiaciuta nudità del corpo; ma subito idearono altre foreste; nere erano le loro dottrine, scompaginate dure, cementate da una loro crudeltà pia. Su quelle foreste ho gettato il fuoco, non mite, della Ragione. Essi ancora mirano a sopprimerlo con antiche acque malinconiche. Tutte queste vicende, se pure pesanti, al tuo compagno ultimo Bàrel, o dolcissima Hélène, non recano neanche la noia d’un insetto oramai … Ecco: ogni giorno, anche questo, muore col tramonto che gli è destinato … Quando si percepisce che il declino estremo non è lontano, gli occhi della mente, e un poco anche quelli del volto, vedono in un modo nuovo, e diverso; gli antichi Sapienti favoleggiarono bene su le Porte dell’Ade. Colui che varca quelle Porte si trova altrove autenticamente. Quelle sono porte diverse da tutte le altre, e sono diverse anche le porte per le quali si accede ad un Tempio, gremite di simboli: le aquile, lì, non sono aquile; i grifi non sono grifi; per le porte della Fede e della Morte non si passa eguali due volte. –

Una lunga pausa. Poi disse con voce profonda: – Hélène dolcissima, io sono la figurazione sua ultima, dico di Edipo, l’infelicissimo tra gli infelici; eccolo: si avvia, solo, a morirvi, al bosco d’argento di Colono … Edipo più non udiva cantare usignoli. Né udiva le parole della fanciulla Antigòna: lo videro entrare, solo, nell’ombra lontana; il passo lento, sicuro; lui, il cieco oramai non più cieco; per incontarsi con la Morte non occorrono gli occhi; a lui, che va, soltanto gli alberi sono presenti; ma gli alberi non parlano. Il cielo ebbe un sussulto; forse un fulmine, fulgido di fuoco, rigò la tenebra da occidente ad oriente; anche ora, adorabile Hélène, il Sole ha scagliato una lunga lama di luce tra questi alberi – tu hai chiuso i tuoi occhi lustri di lacrime … –

Anche noi due andremo in un altro punto di questa isola; i nostri passi ultimi ci sono comandati; mite e inflessibile, il Tempo ci muove ora per questo terreno declinante … Ecco: incontriamo l’albero dell’alloro, sempre caro … Verde un tralcio venga ad ingemmare la tua mano lieve; verde un tralcio sia nella mia mano dura; tu, Sibilla dagli occhi attoniti di Futuro, mi guidi ancora un poco; hai passi gentili; movendo eleganze armonioso il nostro alloro offriamo all’Idea, che tutto è; suo è anche l’alloro della Morte … Fato buono è che tu, Hélène, dotta e dolce, tu sola intendi la scrittura unica nella quale è chiusa la mia anima unica. Ricorda: Tristezza, Amore, Poesia, Pensare profondo … i quattro elementa della mia essenza; andando per ciascuno di essi tu ritroverai intera la mia verità. L’Idea-dio mi ha fatto non intellegibile dai molti; consustanziali, tra di loro, sono i molti; non consustanziale ad altri questo tuo Bàrel, Hélène, dotta e dolce … Nella piccola conca delle tue mani unite conserverai l’acqua pura di Mnemòsine; le tue labbra gentili sentiranno meno aspra la sete del Desiderio … –

Volle adagiarsi su di una grande lastra di pietra, che sporgeva sul vuoto. Taceva. Respirava disteso; le palpebre grandi erano calate sugli occhi grandi. Poi riprese a parlare:

– Le Porte dell’Ade non sono porte …

Neanche Bàrel è reale. Io sono soltanto una immagine, un’immagine che va, che va; con me viene, lenta, muta, una folla di immagini altre, adorate, abiurate … –

Qui Bàrel ebbe uno scatto di energia nella voce:

– Ma che cos’è mai tutto questo vostro reale, o Uomini!? –

Tacque ancora. Riprese a parlare, per proposizioni, scandite bene, isolate da pause atroci:

Ad sublimia pergas: tangere sublimia!

– L’Essere, identico alle Determinazioni …

– L’Essere è morto; aveva ereditato tutto da Dio, anche il Nulla; ed è morto anche lui.

– Le Determinazioni hanno succhiato il latte di due nutrici scellerate: Necessità e Indifferenza.

– Le Determinazioni si stritolano a vicenda.

– Sì, il padre ti ha abbandonato; e chi altri no?

– Io, Bàrel, io sono la coscienza infelice di Dio infelice …

Tacque dinuovo, a lungo. Ancora parlò, sillabando parole che mi sforzavo di imprimere nella memoria:

Kéraunos pyrfòros –. Pausa.

Tetélestai –. Pausa.

Ghilga-méskou nàys –. Pausa.

Cessò di respirare.

PS. In questo mio diario ho trascritto per prime queste parole ultime; delle quali, sul momento, non avevo compreso il senso, però avevo intuìto che erano di lingua greca; in seguito ho potuto identificarle, seguendo ipotesi di ambiente religioso. Ecco quanto ho potuto acquisire:

Kéraunos pyrfòros = il fulmine fulgido di fuoco. È nell’Edipo Colonéo di Sofocle.

Tetélestai = tutto è al termine. È la parola ultima di Gesù morente.

Ghilga-méskou nàys = la nave di Ghilgamesh. Il poema dei Sumeri narra la navigazione di Ghilgamesh veso il regno degli Immortali.




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