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Giovanni Giudici se ne è andato, non ci resta che leggerlo

Da Ellisse


Dopo  Luciano Erba (v. QUI) anche Giovanni Giudici, forse l'ultimo dei grandi della poesia italiana, se ne è andato. Ci rimangono  le sue molte memorabili opere. Non ci resta che rileggerne alcune, compresa una delle tante dedicate alla morte:


Una sera come tante
Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissa per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un`altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l'educazione dei preti;
due ore almeno ogni giomo per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
0 dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
0 se nel mio corpo vile io soflra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita piu semplice?
Ha un fine il nosrro subire il presente?
Ma che si viva 0 si muoia é indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
E' nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bonta la paura?
Una sera come tante, ed é la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani...  pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai piu semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C’é piu onore in tradire che in esser fedeli a metà.
Alla beatrice
Beatrice sui tuoi seni io ci sto alla fmestra
arrampicato su una scala di corda
affacciato dal fuori in posizione precaria
dentro i tuoi occhi celeste vetro
dentro i tuoi vizi capitali
dentro i tuoi tremori e mali
Beatrice sui tuoi seni io ci sto a spiare
ciò che fanno seduti intorno a un tavolo
i tuoi pensieri su sedie di paglia
ospiti appena arrivati 0 sul punto di partire
raccolti sotto la lampada gialla
uno che ride uno che ascolta e uno che parla
Beatrice dai tuoi seni io guardo dentro la casa
dalla notte esteriore superstite luce
nella selva selvaggia che a te conduce
dalla padella alla brace
estrema escursione termica che mi resta
più fuoco per me tua minestra
Beatrice - costruttrice
della mia beatitudine infelice
Beatrice dai tuoi seni io vengo a esplorare com’é
la stanza dove abitare
se convenienti vi siano i servizi
e sufficiente l’ordine prima di entrare
se il letto sia di giusta misura
per l'amore secondo natura.
Beatrice dunque di essi non devi andare superba
più che dell’erba il prato su cui ci sdraiamo
potrebbero essere stracci non ostentarli
per tesori da schiudere a viste meravigliate
i tuoi semplici beni di utilità strumentale
mi servono da davanzale
Beatrice ~ dal verbo beare
nome comune singolare
Descrizione della mia morte
Poiché era ormai una questione di ore
Ed era nuova legge che la morte non desse ingombro,
Era arrivato l`avviso di presentarmi
Al luogo direttamente dove mi avrebbero interrato.
L'avvenimento era importante ma non grave.
Cosi che fu mia moglie a dirmi lei stessa: prepàrati.
Ero il bambino che si accompagna dal dentista
E che si esorta: sii uomo, non é niente.
Perciò conforme al modello mi apparecchiai virilmente
Con un vestito decente, lo sguardo atteggiato a sereno
Appena un po’ deglutendo nel domandare: c’é altro?
Ero io come sono ma un po’ più grigio un po’ più alto.
Andammo a piedi sul posto che non era
Quello che normalmente penso che dovrà essere,
Ma nel paese vicino al mio paese
Su due terrazze di costa guardanti a ponente.
C`era un bel sole non caldo, poca gente,
L’ufficio di una signora che sembrava gia aspettarmi.
Ci fece accomodare, sorrise un po' burocratica,
Disse: prego di là - dove la cassa era pronta,
Deposta a terra su un banco, di sontuosissimo legno,
E nel suo vano in penombra io misurai la mia altezza.
Pensai per un legno così chi mai l`avrebbe pagato,
Forse in segno di stima la mia Citta o lo Stato.
Di quel legno rossiccio era anche l'apparecchio
Da incorporarsi alla cassa che avrebbe dovuto finirmi.
Sara meno d’un attimo - mi assicurò la signora.
Mia moglie stava attenta come chi fa un acquisto.
Era una specie di garrota 0 altro patibolo.
Mi avrebbe rotto il collo sul crac della chiusura.
Sapevo che ero obbligato a non avere paura.
E allora dopo il prezzo trovai la scusa dei capelli
Domandando se mi avrebbero rasato
Come uno che vidi operato inutilmente.
La donna scosse la testa: non sara niente,
Non é un problema, non faccia il bambino.
Forse perché piangevo. Ma a quel punto dissi: basta,
Paghi chi deve, io chiedo scusa del disturbo.
Uscii dal luogo e ridiscesi nella strada,
Che importa anche se era questione solo di ore.
C'era un bel sole, volevo vivere la mia morte.
Morire la mia vita non era naturale.


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