Giovanni TURRA ZAN – Minimi esodi ad Albion road

Creato il 24 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da Giovanni Nuscis su gennaio 24, 2012

“Mi piaceva totalmente l’enuresi diurna alla fermata
del 38. Lo scarico della sera prima
nelle brache e la pace del dopo.
Pochi passi e si annuncia il barbiere
a due sterline, che rimpiange i tempi
di un’ordinata segregazione.
Il sabato in Columbia road che compera e
ve ne vendo tre per una cinquina,
poi quei pomodori tigrati nella terrina
più crescione più cannellini e la signora borderline”.

*

Poi i compagni con plastiche e maschere
e visitarti nei cinque giorni all’Homerton;
tu dalla paura non consegnavi più le feci
agli infermieri ripetenti, né ai tre medici
e alle loro tre verissime diagnosi.
Gli avvisi in busta marrone per dodici mesi,
si ripresenti non abbiamo ancora capito
lei potrebbe avere un’infezione piuttosto strana;
isolandoti tra i vecchi, tu, amavi la birra e i topi,
e rimanevi legato a un letto a costruirti
un tuo sistema sanitario intimo.

*

“Ho una sorella senza sangue,
ella è una magnolia che cede;
non si dimentica neanche se ingerisce
una lager più tachipirina e mi semina
un seme buono nel taflon consunto dove cucina
quel poco che urla, quel tanto che illustra.”

*

Il Vento. Eccolo. Un mantello
di libellule è così lovely quando
scorrevi i rettangoli al suolo
sul ponte che naviga al Globe.
I baci erano poco sonori,
pistole senza proiettili, e i cappi
solo dal vento avevano carne.

*

Ecco. Noi siamo il nostro andarcene,
tra l’acusia di una sillabazione delle proroghe
e la fuga dal divelto, dai lontani insoluti
fattisi pensiero che non satura.

Stiamo a dirci del partire come promessa,
come celebrazione di un contratto che
ci provi a vita. E in fondo ci basterebbe
la rinuncia al verso, una pioggia che asciughi il varco
tra le rughe, un solo punto di misura del contorno.

*

Giovanni TURRA ZAN
Minimi esodi ad Albion road
Constable Publications – London, 2011

*

Voci. Più voci, venti che dialogano e s’incrociano, o corpi che si sfiorano o s’addensano in un luogo preciso dagli inconfondibili toponimi: Londra. Forse non a caso la più multietnica delle capitali europee. Modernità e apertura, avanguardia e tradizione, globalità e insularità.
Un io esordisce, a inizio di raccolta, e dice: “Mi piaceva totalmente l’enuresi diurna alla fermata/del 38. Lo scarico della sera prima /nelle brache e la pace del dopo.” Chi parla: un anziano incontinente? Un affiorante ricordo dell’infanzia? Piacere, rimpianto, resa – per metafora – di un/nel “lasciarsi andare”.
Poi altre voci frammentate, allusive, a spezzare/comporre una coesione impraticabile/possibile dentro una storia indicibile o fattibile, affidata a lacerti in emersione da una coscienza-memoria narrante. La lingua allora batte e sillaba, descrive e delinea fisionomie probabili e reali almeno quanto le cosiddette “reali”: “più si raschia più s’intorbida/la consistenza, diviene/tinta tutta di terra.”
Riaffiora di nuovo il corpo malato e degente: “Poi i compagni con plastiche e maschere/a visitarti nei cinque giorni all’Homerton;/tu dalla paura non consegnavi più le feci/agli infermieri ripetenti, né ai tre medici/e alle loro tre verissime diagnosi.” Malattia-sgretolameneto che ha smesso da tempo di stupire, lasciando indifferenti; e che, anzi, accomuna, ovunque ci si volti: “Ho una sorella senza sangue,/ella è una magnolia che cede;”. Alcuna compassione, finanche cinismo se: “Ti risolvi a canzonare i sepolti/e chiedi asilo al tentacolo/di una minuscola strada che/ti esilia nel lago; a fagioli/e pancetta ti sfama e ti offre/l’acconto per l’acquisto del sepolcro.” Porzioni fedeli, in scala, dell’intero: “E veniamo alla pienezza del discorso/sull’invenzione di una National Lottery/che vince i sussidi ai vecchi;”
Cosa sono dunque i “Minimi esodi” se non “il nostro andarcene,/tra l’acusia di una sillabazione delle proroghe/e la fuga dal divelto”? La nostra cosmica, biologica stanzialità di composti chimici che muoiono e rinascono da sé stessi; eppure lontani, lontanissimi da ciò che in essi (e in noi) è preesistito. gn


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