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Giovannino guareschi: "chi non trova un biografo deve affrontare la sua vita da solo"
Creato il 20 agosto 2014 da Bernardrieux @pierrebarilli1Dalle colonne Guareschi aveva combattuto le sue battaglia, come quella per la monarchia in occasione del referendum istituzionale del 1946 o quella contro il Fronte democratico popolare alle elezioni parlamentari del 1948.
E aveva creato nell’immaginario italiano la figura del trinariciuto, l’iscritto al PCI con una terza narice utile per mettere il cervello all’ammasso del partito e protagonista di una delle rubriche più fortunate, “Contrordine compagni!”. E sempre sulle pagine del Candido venne pubblicata alla vigilia del Natale ’46 la prima puntata di Don Camillo.
Ma nel ’61 ormai non c’era più spazio per un Guareschi in circolazione. L’Italia si stava preparando al boom economico e ai governi di centrosinistra e Giovannino era diventato scomodo, tanto che l’allora presidente del Consiglio, il democristiano Amintore Fanfani, concesse un incontro all’editore del Candido, Rizzoli, a patto che questi chiudesse la testata.
Il pretesto giunse quell’autunno, quando il 17 settembre e il 15 ottobre vennero pubblicati sul settimanale due articoli sulla “variante aretina” dell’autostrada A1: una sorta di omaggio di Fanfani agli amici di casa, con tanto di casello incorporato. Così, con uno scarno comunicato sotto il solito editoriale di Guareschi, il 22 ottobre fu annunciata la cessazione delle pubblicazioni, cominciate alla fine del 1945, in quella che Guareschi definì “Italia provvisoria”.
Sono trascorsi 50 anni, ma per i figli Alberto e Carlotta (rispettivamente Albertino e la Pasionaria nei racconti domestici che Guareschi infilava sotto la voce “Le osservazioni di uno qualunque” o “Corrierino delle famiglie”) il ricordo è più che mai chiaro. Oggi custodiscono la memoria del padre a Roncole Verdi, dove Guareschi inaugurò nel 1964 un piccolo ristorante, oggi sede dell’archivio dell’autore nato il 1 maggio 1908 a Fontanelle di Roccabianca.
“Di questa cosa non ne parlava in casa”, ricordano i due. Dopotutto, “in famiglia parlava di cose serie, non di politica”, aggiunge Alberto. Mentre è Carlotta a ripercorrere i momenti più difficili: “Pochi mesi dopo la chiusura del Candido, ha avuto un infarto. Oggi come oggi si direbbe che aveva avuto un esaurimento nervoso. E di fatto ha trascorso le sue prime vacanze all’ospedale, dove è stato un mese dopo l’attacco di cuore”.
Il Guareschi infaticabile lavoratore, che di notte si rinchiudeva nello studio per raccogliere il materiale da mandare in stampa tenendosi sveglio a caffè, bicarbonato e sigarette, era un uomo deluso: “Ha fatto un periodo in cui era molto triste. C’è di buono che in quel momento stava lavorando per progettare il ristorante e quindi riusciva a perdersi un po’ via”, racconta Alberto.
Nella sua Bassa, quella che fa da sfondo alla saga del “Mondo Piccolo” dove don Camillo e Peppone riescono a strappare un sorriso anche di fronte alle vicende più drammatiche, Guareschi riusciva a trovare se non la serenità, di certo un po’ di normalità tra gli amici e la gente comune, senza portare rancore per nessuno, nemmeno per i nemici.
L’altra faccia della medaglia la svela Carlotta con il groppo in gola: “E’ morto dentro con il suo giornale”. La morte vera arriverà poco dopo, il 22 luglio 1968 mentre si trovava in vacanza a Cervia.
Non era stata la prima volta in cui la politica italiana era riuscita a rovinargli il fegato: tra il ’54 e il ’55 trascorse 409 giorni in carcere a Parma per diffamazione a mezzo stampa nei riguardi di Alcide De Gasperi, dopo aver pubblicato alcune lettere che si ritenevano redatte durante la Seconda guerra mondiale e firmate dalle stesso De Gasperi mentre si trovava in Vaticano come rifugiato politico, nelle quali il futuro presidente del Consiglio chiedeva agli inglesi di bombardare Roma nel tentativo di creare una sollevazione popolare. Al processo la perizia calligrafica della difesa non fu ammessa.
“In un buco, in una cella, come se avesse ammazzato chissà chi”, afferma ad alta voce Carlotta. Poi la fine del Candido, con le lettere degli affezionati lettori per manifestargli sostegno. Una in particolare ricordano i figli, scritta da Nino Nutrizio, direttore de La Notte, giornale con il quale Giovannino iniziò a collaborare: “Il giornalismo era il suo lavoro, senza era perduto. Ha sempre detto che voleva morire con la penna in mano. Sarebbe difficile ora, per ipotesi, avere un giornale disposto a concedergli”, dichiara sicuro Alberto.
A scrivere i due famosi articoli fu un giovane Giorgio Torelli, conterraneo di Guareschi che poi sarebbe diventato una delle firme più note del giornalismo italiano. Ancora adesso lo ricorda come uno “che non si è piegato nei lager tedeschi da internato militare e che non si piegò nel carcere San Francesco di Parma”.
“Rizzoli si sentiva scomodo con il Candido in quegli anni, anche perché era impossibile intervenire su Guareschi”, continua a raccontare Torelli. “Giovannino – prosegue - aveva una sorta di scontentezza interna, non da sconfitto, ma da sorpassato perché la sua Italia ormai stava andando da un’altra parte”. Da ex inviato della prima ora del Giornale, rispolvera un altro ricordo: “’Guareschi è più testone di quanto fossi io’, disse una volta Montanelli. E chissà, magari sarebbe venuto anche lui con noi…”.
E chiude con una vena di malinconia: “Anche prima della fine del Candido, era rimasto originale e mai scontato. Poi credo si ritrovò molto solo, abituato ad avere un giornale che ora non c’era più”.
Quel Candido che ebbe poi modo di disegnare in una vignetta, sotto i piedi di Fanfani, e accompagnato dalla battuta: “Sbagli di grosso Amintore, se credi d’essere cresciuto molto di statura”. Per fare satira occorre un certo stile.
fonte: http://goo.gl/GLn2M
di Dario Mazzocchi http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane
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