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Gioventù suonate

Creato il 09 novembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Bob-Marleydi Umberto Scopa. Scoperchio e riordino per i curiosi un baule mentale di aneddoti riguardo ai personaggi del mondo della musica a me più cari. So che la cosa potrà disturbare i biografi seri, quelli che non vanno su wikipedia, ma il mio scopo è solo quello di passare un po’ di tempo in compagnia di questi personaggi fuori dalle righe dei loro pentagrammi e dalle copertine dei loro dischi.

C’è un momento in cui ognuno di noi si è chiesto se poteva diventare un’icona in qualche campo (che non fosse la cronaca nera naturalmente) e si sarà chiesto in quale momento un bambino che non è diverso dagli altri esce dal coro della normalità, cacciato o volontario fuggitivo, visto che questo sembra un passaggio ineludibile per spiccare il volo verso il mito. Detto in tempi in cui un talk show può portare alla celebrità la cosa può sembrare discutibile, tuttavia ognuno di quei ragazzi delle migliaia in fila per i casting in fondo pensa come uscire dalla fila e farsi notare rispetto agli altri.

A differenza di quanto avviene oggi per i casting televisivi i genitori di ogni epoca molto raramente si sono mostrati indulgenti verso i propositi artistici dei figli, quando tali propositi aspiravano a diventare professione o scelta di vita, anziché semplici passatempi. Questo almeno se i genitori stessi non erano già artisti.

Qui si incastra alla perfezione una frase dello scrittore buonanima Kurt Vonnegut il quale afferma una regola senza tempo da scolpire nel marmo: dice Kurt che se qualcuno vuole fare del male ai propri genitori, e non intende diventare omosessuale, è sufficiente confidar loro seriamente l’intenzione di voler dedicare la propria vita all’arte.

I genitori a questo punto possono svolgere un ruolo propulsivo il più efficace dei quali è sempre quello di opporre resistenza e boicottare con ogni mezzo i propositi dei figli che disdegnano una carriera da medico, avvocato, bancario e così via per intraprendere quella artistica.

Bruce Springsteen racconta che quando era ragazzo nella sua famiglia le due cose più impopolari erano lui e la sua chitarra.

Uno dei boicottaggi più fantasiosi che mi vengono in mente è però quello messo in atto dai genitori del grande trombettista Bix Beiderbecke, al quale i fratelli Avati hanno dedicato un libro dal titolo “Bix un’ipotesi leggendaria” e poi un film. I genitori sono così contrari alle propensioni trombettistiche di Bix che gli nascondono a tradimento il bocchino della tromba. Soluzione davvero fantasiosa. Senza il bocchino un trombettista è perduto, mentre non lo sarebbe senza il resto della tromba perché un bravo suonatore è in grado di suonare anche col solo bocchino. Ma i perfidi genitori glielo nascondono così il giovane Bix deve arrivare ad una soluzione altrettanto drastica: farlo saldare con la tromba in modo che non sia più asportabile. La cosa però non finisce lì, perché una tromba col bocchino saldato non entra più nella custodia. Proprio così, ecco perché il giovane Bix è costretto a portarsi dietro la tromba dentro un sacchetto. Invito i curiosi a mettere su un suo pezzo e immaginarselo il giovane Bix che gira per strada con la sua fidata tromba in un sacchetto.

A volte le preoccupazioni dei genitori non sono del tutto aliene al buon senso. Quando Joan Baez impara i suoi primi 4 accordi su un ukulele i suoi genitori hanno un pensiero fisso. Che la musica possa condurla al mondo della droga. Joan Baez dichiara oggi di non averne mai fatto uso e -stando a quanto lei racconta in un’intervista – saranno proprio le divergenze sull’argomento droga a segnare la fine della sua relazione con Bob Dylan. Non c’è motivo di non crederle naturalmente, ma che faccia avranno fatto i genitori vedendola sul palco di Woodstock (che la consacrerà appunto come “l’usignolo di Woodstock”) dove dal raduno oceanico di spettatori avranno visto sprigionarsi esalazioni di sostanze “inebrianti” come funghi atomici?

In ogni modo non è contro questi funghi atomici che ancora oggi Joan Baez chiede scusa pubblicamente per quello che il suo paese ha fatto al mondo, per stare alla lettera delle sue incisive sempreverdi parole.

Che la musica popolare abbia trovato nell’avversione alla guerra un suo motivo dominante è un fatto indiscutibile. Non parlo solo dei personaggi della musica a me cari, ma di un fenomeno più ampio, anche perché non mi risulta che qualcuno sia mai diventato popolare cantando in modo sofferto le ineluttabili ragioni di un intervento militare. Se il sentimento popolare, che i governi non interrogano mai, è da sempre così ostile alla soluzione bellica si impone alla nostra intelligenza e alla nostra coscienza una doverosa scelta: dobbiamo decidere se esiste una saggezza popolare, magari calpestata, che deve imporsi prima o poi sulla ragion di stato o se sulla nostra testa servono davvero governi che prendono necessarie decisioni impopolari, espressione di una saggezza inaccessibile alle masse e per via non democratica. La musica ha fatto la sua scelta, ma non basta, vedremo. Come dice Joan Baez cantare una canzone non comporta rischi, quindi non basta, non bastano scelte senza rischio, sulla propria pelle.

Ma non sono pochi i grandi della musica che sulla propria pelle hanno espresso ostilità verso le divise militari, addirittura affrontandole fin dalla più tenera età perché le avevano in famiglia come autorità paterna.

Jhon Denver era figlio di un ufficiale dell’aeronautica americana e Jim Morrison aveva come padre un comandante di marina. Quest’ultimo rimproverava al figlio di non avere nessun talento e pretendeva che seguisse la carriera militare. Dall’età di 22 anni Jim Morrison non vede più i suoi genitori, taglia definitivamente i ponti con loro e arriva perfino a dire che sono morti. Forse potrebbe essere proposto come il prototipo giovanile dell’anti bamboccione da quei politici nostrani ingordi di risentimento popolare che hanno coniato questa infelice figura.

Anche Bob Marley ha un padre militare. Si chiama Norval ed è un capitano della marina. Sposa una diciottenne giamaicana nera la mette incinta, poi abbandona madre e figlio. Un altro è Elton Jhon che è figlio di Stanley Dwight un pilota della Royal Air Force. I litigi violenti col padre segnano la sua vita giovanile.

In tutti questi casi, e altri se ce ne sono, voglio concedere a quella disciplina autoritaria che pretende di insegnare la sottomissione – nella quale non mi  riconosco- almeno un ruolo non indifferente nella generazione del suo contrario.

Prendiamo Chet Baker che conosce la disciplina militare non attraverso la figura paterna, ma per sua scelta quando a 16 anni si arruola e viene spedito a Berlino con la 298ª Armata. Qui, e come dargli torto, spende gran parte del tempo a esercitarsi con la banda del reggimento. La vita da soldato, si conclude quando, dopo una serie di test psichiatrici, viene dichiarato inadatto alla vita militare e congedato. Bisogna riconoscere un certo talento della caserma in questo caso nel mettere in luce un talento del tutto inadatto alla vita da caserma. Anche alcune carceri sapranno fregiarsi di meriti analoghi verso altri artisti. E’ il caso di Billie Holiday e Luis Armstrong.

Se i padri arruolati di cui ho parlato poc’anzi hanno segnato la vita di alcuni dei miei artisti preferiti, non posso trascurare però i casi di diserzione. Parlo di disertori particolari però, che sfuggono a quella guerra silenziosa di una vita familiare difficoltosa, dismettendo le responsabilità paterne, per non sfidare le convenzioni correnti, nemico questo più insidioso di ogni altro. Non so se queste evanescenti figure paterne siano state fondamentali con la loro assenza per la formazione di alcuni grandi campioni del mondo musicale. Quanto la cosa influisca sullo sviluppo psicologico del nascituro è materia che esula da questo scritto, qui mi limito ad annotare quanti e quali artisti dei miei preferiti nel campo musicale hanno avuto alle loro spalle questo tipo di trascorso familiare.

Oltre a Bob Marley già citato, ci sono Charlie Parker, Louis Armstrong, Billie Holiday, e John Lennon. Trascrivo queste parole di Lennon; “il dolore più grande è non essere desiderati, renderti conto che i tuoi genitori non hanno bisogno di te quando tu hai bisogno di loro….. l’unico motivo per cui sono diventato una star è la mia repressione. Nulla mi avrebbe portato a questo se fossi stato “normale”.

La totale esposizione alle percosse della vita dovuta all’assenza di una protezione familiare segna la vita di alcuni grandissimi artisti. Ecco una vera galleria degli orrori subiti. La storia di Billie Holiday è tra le più terribili. Il padre non si occupa quasi mai di lei e abbandona la figlia. Billie, abbandonata dal padre, subisce uno stupro a dieci anni e in seguito è destinataria di altri tentativi di violenza. Ancora bambina raggiunge la madre a New York e comincia a procurarsi da vivere prostituendosi in un bordello clandestino di Harlem. Per questo Billie viene arrestata e condannata a quattro mesi di carcere. In carcere ascolta la musica di Luis Armstrong. Rimessa in libertà, decide, per evitare di tornare a prostituirsi, di cercare lavoro come ballerina in un locale notturno. All’età di 15 anni inizia la sua carriera di cantante nei club di Harlem. E che dire di Luis Armstrong che sembra seguire un percorso simile? poi le due strade si incroceranno, curiosamente, come vedremo, nel 1947. Il padre William Armstrong abbandona la famiglia mentre Louis è ancora neonato e se ne và con un’altra donna. Sua madre Mayann lascia Louis alla nonna, Josephine. Luis finisce in un riformatorio per ragazzi neri dove impara a suonare la cornetta. Se la pena detentiva riesca davvero a realizzare finalità rieducative non credo, ma nel suo caso qualcosa di buono lo dobbiamo riconoscere. Nel 1947 poi, come ho anticipato, il caso vuole che Luis incontri Billie: recitano l’uno accanto all’altra nel film-musical New Orleans. E pensare che Billie in riformatorio ascoltava proprio la musica di Luis.

Poi c’è la storia di Lou Reed, una delle più truci. I genitori preoccupati dal suo atteggiamento indisciplinato decidono di rivolgersi ad un centro psichiatrico specialistico per farlo curare.  Sono tempi in cui si attribuisce una certa fiducia terapeutica al famigerato l’elettroshock. Per due settimane viene sottoposto a scariche elettriche intensive che, come lui più volte ricorda, gli fanno perdere completamente senso dell’orientamento e memoria. Il trattamento radicale lascia nel futuro artista traumi indelebili difficilmente immaginabili.

Dunque mi viene una curiosa ed arbitraria associazione. L’esercito vede nell’indisciplina di Chat Baker segnali di pazzia e lo restituisce alla società civile che si disinteressa di lui anche perché Chat è uno di quei soggetti già avviati verso l’autodistruzione, per contro, quando la società civile vede nell’indisciplina del giovane Reed segnali di pazzia si adopera per friggergli il cervello. Da questo inferno, come da una madre immonda, scaturisce la canzone Kill Your Sons”, scritta da Reed nel 1974 per denunciare l’esperienza subita. Oggi i tempi sono cambiati e chiunque è libero, assolutamente libero, senza scomodare autorità aguzzine, di friggersi il cervello spontaneamente in una discoteca, dove la droga forse non è più un divertimento, ma serve per sopportare il bombardamento sonoro.

Più fortunato di Lou Reed è il giovane Bono non ancora “Vox” e non ancora leader degli U2, ma già contrassegnato con il nomignolo di “anticristo” dai suoi genitori. Non risulta che siano stati praticati su di lui esorcismi. Quanto alla pazzia fortunatamente i tempi sono cambiati e viene attribuita in modo molto più rigoroso; così non viene scambiato per sospetto segno di pazzia neppure il fatto che al primo anno di scuola presso la St. Patrick il giovane Bono viene sorpreso a tirare escrementi di cane alla sua professoressa di spagnolo. Me ne rallegro. Come direbbe Bob Dylan “the times they are a changin”.

Featured image, Bob Marley in un concerto nel 1980, author Eddie Mallin, source Wikipedia.

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