Se Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte avessero oggi vent’anni e abitassero a Brooklyn probabilmente sarebbero ciò che più si avvicina alle protagoniste di Girls, nonostante Lena Dunham, attrice, sceneggiatrice e regista, non accetti il paragone. Il confronto è sicuramente azzardato, sebbene i rimandi alla serie che ispirò e fece sognare decine e decine di donne siano evidenti, perché Girls è figlio della sua generazione, è un prodotto giovanile targato 2012. Bisogna però chiarire la questione: con giovanile non si intende destinato esclusivamente a un pubblico adolescenziale, ma creato da una mente poco più che ventenne, in questo caso Lena Dunham, che potremmo ormai definire «una delle voci» della sua generazione, come il suo alter ego afferma nella prima puntata della serie. Girls ha un ampio respiro sociologico, come ogni fenomeno spettacolare che si rispetti, e i dati che fornisce non sono certo rassicuranti. Dentro l’occhio del ciclone troviamo i ventenni di oggi e le loro difficoltà, speranze e aspirazioni, ma soprattutto idiosincrasie e velleità. Il ritratto di una delle generazioni più complesse e problematiche che siano mai esistite, complice il disastroso periodo storico in cui viviamo, non è certamente bonario. I figli di una crisi economica che ne ha dimezzato possibilità e sogni, ma che ne ha accresciuto ego e desideri, sono la generazione dei cosiddetti geni incompresi, e in tal caso la scena iniziale in cui Hannah / Lena Dunham, aspirante scrittrice, viene a sapere dai genitori del taglio dei finanziamenti per la sua vita a New York, è emblematica. In un’epoca in cui, grazie al progresso tecnologico e ai nuovi media, ogni opinione è considerata importante, o addirittura sacra e necessaria, e in cui ogni individuo ha il diritto di parola, al di là della conoscenza in merito alla materia trattata, si è assistito al proliferare di artisti bisognosi di esternare a tutti i costi la propria visione del mondo. Probabilmente Lena Dunham corrisponde alla descrizione.
Viziati egoisti con velleità artistiche e sentimentali, è questo il ritratto che esce fuori da Girls. L’analisi potrebbe apparire dura e cinica (e vorrei ricordare che chi parla appartiene alla stessa generazione), soprattutto se consideriamo che la Dunham non ha creato la serie per denigrare i suoi coetanei, ma per dargli una voce. E questo, in linea con quanto è stato precedentemente detto, è dannatamente narcisistico, così come è egocentrico e vanesio il comportamento e l’atteggiamento di Hannah. Per tale motivo Girls, per chi ha vent’anni, è disgustosamente ammaliante e magnetico, perché fotografa una generazione e i suoi più insopportabili difetti. È chiaro che non bisogna cadere nella trappola di fare di tutta l’erba un fascio o di condannare a priori l’autrice del telefilm, poiché la stessa Dunham, consapevolmente o inconsapevolmente, possiede pregi, difetti, velleità e idiosincrasie dei suoi stessi protagonisti. I geni incompresi di un’epoca che vorrebbe farli scendere a compromessi, e ai quali la realtà sociale dà poche possibilità di riscatto, sono gli stessi geni incompresi che non macchierebbero mai il proprio cammino rigorosamente scelto. Sono i cosiddetti choosy, per dirla alla Fornero. A dispetto di quanto si possa immaginare, non c’è niente di negativo nelle mie parole. D’altronde potrei davvero essere così cattiva con me stessa?!
La mitomania è una costante della nostra epoca e della nostra generazione, siamo abituati a vedere case editrici e programmi tv dare spazio e privilegi ai non esperti e ai mediocri, per cui è naturale cercare il proprio posto nel mondo senza il minimo sforzo. Nell’era dei 15 minuti di celebrità di warholiana memoria e del «tu puoi diventare chiunque vuoi», i mitomani si sono moltiplicati. È un processo mentale ormai divenuto naturale quello di essere ambiziosi e velleitari non considerando la gavetta o lo studio sul campo. Questo ci insegna l’epoca del tutto e subito e della vanagloria. Per chi è rimasto intrappolato in questa rete e vorrebbe uscirne, Girls è ricattatorio e infido, ma dannatamente affascinante. È un’istantanea perfetta che divora quel poco di buono che gli aleggia intorno. Lena Dunham, con i suoi chili in eccesso, la sua spigliata parlantina e la sua pungente ironia, è in pieno la sua generazione, è lo specchio perfetto in cui tanti possono riflettersi e adularsi, ma anche biasimarsi. E solo il tempo ci darà se questa generazione, la mia generazione, sia stata la peggiore mai esistita. Quello che so è che Girls è un tassello importante nell’analisi sociale dei giovani oggi, per cui non rimane che aspettare gennaio per la seconda stagione della serie e constatare fin dove vuole portarci questa volta l’autrice.