CON IL Giro d'Italia Letterario, il 30 agosto...SONO A LUINO, Piero Chiara illustra il proprio romanzo Il piatto piange... Questo romanzo ha le caratteristiche proprie del neorealismo, con un’ambientazione della vita di paese, nell’arco temporale fra le due guerre, di rilevante importanza sociologica. E’ un mondo chiuso, direi addormentato: la vita scorre ancor più monotona anche per effetto del regime fascista che tende a impedire ogni novità. In quest’atmosfera di una stasi quasi logorante, gli accaniti giocatori di poker o chemin de fer trovano nel gioco delle carte un’evasione, quasi una forma di "primordiale ribellione". Gli unici eventi, quindi, che si staccano dalla monotonia quotidiana sono le interminabili partite, con le battute nei confronti dei perdenti, oppure le avventure boccaccesche, anch'esse una specie di gioco per rivendicare la propria caratteristica di uomini fondamentalmente liberi.Si entra in un clima ovattato, fra le montagne e il lago, vengono delineate diverse storie, una varietà di personaggi, ognuno con pregi e difetti, ma soprattutto con caratteristiche del tutto proprie.
Troviamo così il biscazziere Sberzi, disposto perfino a giocare se stesso, Mammarosa, la tenutaria del bordello del paese, descritta quasi con tenerezza come una delle istituzioni del luogo, l’anonimo Camola, se pur nell’intimo misterioso, e il Casanova Tolini. E’ tutto un mondo proprio di un’epoca e che verrà spazzato via dalla seconda guerra mondiale e dalla Resistenza, tanto che i due personaggi più tipici e anche più forti, il Camola e il Tolini, moriranno in circostanze diverse, ma in seguito a una zuffa con i tedeschi.
Questo romanzo l'ho riletto a distanza di anni per questa iniziativa del Giro d'Italia Letterario e vi ho ritrovato, come sempre, un’estrema piacevolezza, come riscoprire una diversa civiltà, ora perduta, una specie di archeologia letteraria che Piero Chiara ha saputo e voluto farci conoscere.Egli è narratore autentico con il gusto diretto del racconto ed è rimasto tra i pochissimi scrittori italiani che ha l’impareggiabile grazia del narratore puro: rende semplice e accessibile anche ciò che apparentemente risulta complesso, incanta con garbo il lettore fin dall’inizio, tiene viva la sua attenzione e lo intrattiene piacevolmente per tutta la durata della lettura. Il teatro dei suoi personaggi e lo spazio ideale della narrativa di Piero Chiara è spesso la nativa Luino e dintorni, a lui cara, o i paesini che costeggiano le rive del lago Maggiore, all’estremo nord della Lombardia, vicini al passaggio di frontiera italo-svizzero.
Una chiave universale per le sue opere letterarie? ...per lui scrittore luinese, tutte le cose, gli eventi più banali, che accadono in quei luoghi sono gli stessi che accadono in tutti i luoghi della terra, solo che lì nel suo mondo, insomma, navigando tra le onde e lo sfondo del Lago Maggiore, tra l’affollarsi di storie dopo storie, Chiara li può osservare con l’occhio limpido e curioso della narrativa e diventano “fatti” e in quanto tali sono rigorosamente da raccontare. “Raccontare per me” spiegava Piero Chiara “è una liberazione e insieme una verifica, un modo per rivivere le cose e capirle. Quando non avevo ancora ricnosciuta la mia vocazione alla letteratura, la sfogavo raccontando ai miei amici le mie avventure. Non a caso il mio libro fu ascoltato prima che letto da Vittorio Sereni in un caffè di Luino."
Chiara e il suo laboratorio di scrittura...
Gli amici letterati, scrive Renato Minore, lo avevano spinto, non più giovanissimo, al gran passo del romanzo. In principio esisteva il grande affabulatore di storie, il provinciale adagiato nel suo vitalissimo ozio, il poeta (ma chi non lo è in provincia?), l'intellettuale di formazione libera, capace di molte curiosità e spigolature. Romanzo d'esordio Il piatto piange del 1962 la cui affettuosità critica del lancio è opera di Vittorio Sereni (convinto che il suo amico d'infanzia dovesse saltare il fosso dell'oralità per cui era proverbiale a Luino). Ed emerge il tema di fondo del libro, «il ricantamento, nient'affatto crepuscolare o patetico, della giovinezza», un mondo fra cronaca, saggio di costume e narrazione distesa. E, ciò che più conta, il suo «tono»: un acido leggero, tra riflessivo e giudicante, come «il rendiconto amaro di un tempo perduto, di quello che è mancato a una generazione».
Ed ecco il grande scrittore, propiziato da altri scrittori. E gli esiti sono per una volta anche superiori alle attese: Chiara ottiene subito i tantissimi lettori cui aspirava come naturale allargamento della sua audience da caffè. Tutti compresi nelle atmosfere «lacustri» dei personaggi tratteggiati, nell'affannarsi dei personaggi stessi tra amori furtivamente colti e piccoli intrighi visti sempre con una specie di vigilante bonomia, tasselli dentro una scacchiera dal fondo scuro (la vita, il destino, lo scorrere del tempo e il disordine delle azioni individuali). Una «commedia umana» in cui il narratore entra ed esce con distacco e con libertà, con partecipazione, con ironica disponibilità dando un senso, proprio quello del racconto, dell'«ora ti conto un fatto».
In omaggio a suo padre, il doganiere siciliano Eugenio Chiara, ben vivo pur se ultranovantenne, nella primavera del 1961 il figlio Piero volle compiere un lungo viaggio che lo riportò nel borgo delle Madonie, Resuttano, tante volte visitato nelle estati dell’infanzia. Dagli appunti presi nell’occasione venne fuori un lungo reportage, ricco di ricordi, pubblicato da Vallecchi dal titolo Con la faccia per terra. Dal padre, lo scrittore aveva preso una eccezionale bravura nel racconto orale, che mostrava volentieri nelle riunioni conviviali, sollecitato dagli amici a rievocare i mille episodi vissuti nel corso di una gioventù spregiudicata, trascorsa nelle cerchie più svariate. In una di quelle serate, alla fine del 1957, tra gli ascoltatori figurava appunto Vittorio Sereni (coetaneo e amico di Chiara, come lui nato a Luino), che lo spinse a mettere per iscritto le affabulazioni dalle quali era rimasto stregato. Ne scaturirono due racconti in forma di lettera, pubblicati sulla rivista Il Caffè nel 1958 e nel 1959. Fu questo il primo nucleo del Piatto piange, il primo romanzo di Chiara, stampato dalla Mondadori nella primavera del 1962. ... LA CRITICA..."I suoi personaggi, anche se a prima vista grotteschi, stralunati, intrisi di guasconeria , cialtroni da osteria e dal regno delle bische clandestine, pur allineati non diventano mai macchiette, ma si distinguono e si muovono, anche per poco e per rapide apparizioni in un abile incastro della società popolare lombarda, sulle strade della sua Luino, in paesi più o meno importanti della Valcuvia, sulle sponde del lago Maggiore o nello sfondo di paesi come Laveno, Cannobio, Stresa, Intra e Arona. Di qui i suoi libri, le sue storie di cui parla il romanziere luinese, con accenti spesso brulicanti e vivi con una naturalezza sorgiva di sfumature e di effetti che scandiscono storie universali e comuni a noi tutti. I lettori furono colpiti tra l’altro da una profonda e sorprendente scrittura fluida e godibile, riflessione di storie spesso calibrate, brevi narrazioni di poche pagine, intrecciate a volte vivacemente comiche, ma capace di comunicare anche dei comuni sentimenti.
Va subito detto che sulla scacchiera della provincia, Chiara dispone soltanto pedoni, che muove con precisione, nella convinzione che le vite degli uomini non famosi garantiscano al narratore combinazioni di inarrivabile varietà e interesse. Non soltanto da vicino – come è noto – nessuno è normale, ma tutti custodiscono il loro bravo segreto. In effetti, nelle opere di Chiara si stenterebbe a scovare un personaggio irreprensibile.Il titolo del romanzo si deve all’importanza conferita al tema del gioco d’azzardo: il libro si apre sulle nottate consumate negli anni Trenta al tavolo del poker, nei sotterranei di un albergo affacciato sul lago. Il tema di fondo è lo scandalo, l’umiliazione del perbenismo, sistematicamente incenerito alla fiamma delle frustrazioni e degli istinti, come già lascia intuire il memorabile incipit :
«Si giocava d’azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con accanimento e passione; perché non c’era, né c’era mai stato a Luino altro modo per sfogare senza pericolo l’avidità di danaro, il dispetto verso gli altri e, per i giovani, l’esuberanza dell’età e la voglia di vivere. Nei paesi la vita è sotto la cenere». Si tratterà allora di rimestare le braci con instancabile premura.
UNO STRALCIO SIGNIFICATIVO..
"COSÌ ANDAVA LA VITA"
"A mezzogiorno iniziammo la discesa per i colli verso Luino...Non s'incontrava nessuno né per le strade né per i campi; e passando, onde accorciare la strada, tra filari di vigne spoglie, profittammo della solitudine per accosciarci a qualche metro l'uno dall'altro e far quello che avevamo sempre rimandato durante tante ore di gioco.in quella posizione si vedeva Luino a filo terra e la sponda arquata che si slanciava, leggera e vaporosa, nel lago punteggiato di barbagli. Qualche nebbia saliva d'intorno tra i roccoli. E il Peppino, con la sua voce chioccia da tedesco, e stentata per la posizione del corpo, diceva:'Ma tì, ma tì, guarda come l'è pur anca bel a fa sta vita! Giugum, magnum,un quai danée ghe l'èmm semper, lavurum pok o nagòtt, quant ghè de cudegà cudégum, pàssum l'inverno al kalt, d'està 'ndemm a nodà. E adess semm chì a vardà 'l laag cun la bel'ariéta fresca in sui ciapp!' E dopo una pausa per prendere fiato, la sua risata secca di arpia appollaiata, senza eco nell'aperta campagna. Così andava la vita in quei tempi e così andò ancora per anni, da una guerra all'altra, mentre altri fatti, altre gioie e tristezze venivano a complicare l'esistenza di quei giocatori".da 'Il piatto piange', 1962, Mondadori
...IO LA PENSO COSI'
... a questa mia preferenza verso il romanzo di Chiaracredo non poco contribuisca l’aver scoperto allora come oggi, come sia possibile scrivere di eventi, del tutto normali, in modo semplice, ma efficace.