TRA LE PERIODICHE INIZIATIVE CHE CONDIVIDO IN RETE NEL BLOG "IL MIO MONDO DELLA LETTURA", UNO DEGLI APPUNTAMENTI A CUI NON MANCO E' il Giro d'Italia Letterario
Non ci si crede: più di un incontro culturale al mese, un luogo virtuale dove scambiare contributi su libri scelti dagli aderenti, e il Giro ci vede radunati ad ogni tappa QUI NELLA PAGINA UN BAULE PIENO DI LIBRI ED IN QUELLA DELL' OMONIMO GRUPPO SU FACEBOOK... gruppo di lettura che si snoda lungo le regioni del nostro Paese. ..individuare libri (che si decideranno tramite votazione democratica) ambientati nella regione che sarà oggetto di trattazione.
PER QUESTO SCORCIO DI SETTEMBRE SIAMO CON BUZZATI IN SICILIA E
"LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA" Come molte volte succede nelle favole anche in questa, bellissima, - 1945 - ci appare un mondo tutto al contrario: gli animali sono protagonisti rispetto agli uomini e i ruoli si invertono. Gli animali governano gli uomini e sarebbero anche migliori, ma come sempre gli uomini producono danni e corromperanno anche i semplici e buoni animali, gli orsi che con loro si erano pacificamente predisposti a convivere.Ambientato in una Sicilia fuori dal tempo, luogo creato dalla fantasia di Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Sicilia è un racconto sull’impossibilità della convivenza tra gli uomini e gli animali (e quindi anche tra gli uomini?), i quali prenderanno saggiamente le distanze dagli uomini, a testimonianza del pessimismo di Buzzati sulla natura umana.
Storia, disegno, favola, tre parole che troviamo nel libro “più citato che letto”. E' un apologo dettato nei tempi cupi della Guerra , sulla conquista del potere, ma sopratutto sulla rinuncia al potere, e sulla ricerca di una felicità che può essere ritrovata, quando l’abbiamo perduta, solo nel ritorno a un vagheggiato, e certamente utopico, stato di natura.Nei tempi dei tempi, quando la Sicilia era una regione dalle montagne nevose e impervie, gli orsi scendono a valle per cercare Tonio, l’orsacchiotto figlio di Re Leonzio, rapito dai cacciatori. Il principe orsacchiotto verrà ritrovato dopo tante peripezie ma la vita nelle città corromperà il modo naturale di vivere degli animali che prenderanno i vizi e le debolezze degli uomini.
Prima di morire re Leonzio rivolgerà ai suoi orsi l’ultimo disperato appello: “Tornate alle montagne… lasciate questa città dove avete trovato ricchezza, ma non la pace dell’animo. Toglietevi di dosso quei ridicoli vestiti. Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le altre diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere! I funghi delle foreste e il miele selvatico vi parranno ancora il cibo più squisito. Oh bevete ancora l’acqua pura delle sorgenti, non il vino che vi rovina la salute. Sarà triste staccarvi da tante belle cose, lo so, ma dopo vi sentirete più contenti, e diventerete anche più belli. Siamo ingrassati, amici miei, ecco la verità, abbiamo messo su pancia”.
L'autore ci conduce nel mondo della fiaba, parlata, scritta, disegnata. Nelle sue pagine l’apologo degli Orsi è pittura popolare, affresco di una civiltà lontana, ormai irraggiungibile, dove i fantasmi e le storie della tradizione, dal Gatto Mammone, al Serpenton dei Mari, dal Veglio della Montagna ai cinghiali volanti molfettani, trovano il loro spazio e sistemazione quasi naturali.
Gli orsi, spinti dal freddo e dalla fame, scendono verso la pianura e impegnano battaglia con l'agguerrito esercito del Granduca accorso per respingerli. Ma il coraggio intrepido dell'orso Babbone mette in fuga i soldati del Granduca. I cinghiali da guerra del sire di Molfetta attaccano improvvisamente gli orsi ma l'astrologo De Ambrosiis con un incantesimo, li trasforma in palloni aerostatici, cullati dolcemente dalle brezze. Da cui la nota leggenda dei cinghiali volanti di Molfetta.
Conquistata dunque la Sicilia, sfilano nella grande piazza le prodi schiere degli orsi. Può assistervi anche l'orsetto Tonio, principino, salvato per l'intervento del mago ma ancora un po' debole per via del sangue versato: in lettiga.Ma Re Leonzio, essendo stata rubata al prof. De Ambrosiis la bacchetta magica, raduna la cittadinanza, spinge il colpevole a restituire il prezioso oggetto e minaccia pene severissime.
A bordo di un navicello Re Leonzio si avventura contro il terribile Serpenton dei mari che minaccia la città. E lo uccide con un colpo di fiocina. Ma la perfidia di Salnitro getta il popolo giubilante nel lutto e nella tragedia.
MISSION
Re Leonzio, prima di morire, farà in tempo a dettare al figlio e ai suoi orsi più fedeli la sua ultima volontà: che lascino la valle e tornino fra le montagne, lontano dagli uomini, là dove gli orsi hanno sempre vissuto in pace e felici:
“Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le altre diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima. Come si viveva felici in quelle erme spelonche aperte ai venti, altro che in questi malinconici palazzi pieni di scarafaggi e di polvere!”
E gli uomini saluteranno tra lamenti e singhiozzi la partenza degli orsi specchio di un modo di vivere che non sanno fare proprio.
IL PROTAGONISTAPrima di iniziare il suo racconto, Buzzati ne elenca i personaggi, alla maniera degli autori di libri gialli: alcuni sono effettivamente dei protagonisti, altri compaiono per una sola riga (un gufo che lancia il suo urlo nella notte) o addirittura mai (il Lupo Mannaro, che nessuno sa cosa possa combinare). In testa a tutti dovrebbe venire dunque Re Leonzio: ma se vogliamo cercare il tipo più straordinario, questi è certamente una curiosa figura di mago, il professore De Ambrosiis, la cui bacchetta magica può compiere soltanto due prodigi. Quest'uomo altissimo e magro, la cui figura è prolungata da un'enorme tuba, tradisce spesso il re e vorrebbe fare i due incantesimi a suo esclusivo vantaggio: ma una volta per salvarsi da un branco di cinghiali, che ha trasformato in palloni, un'altra volta per salvare generosamente il figlio di Leonzio, il professore esaurisce la sua scorta di miracoli. Da ultimo riesce a costruirsi una nuova bacchetta magica: e chissà che un giorno, se gli capita una malattia, non la possa usare.
Buzzati è un narratore diverso da tutti gli altri. Riassumere la sua prosa vorrebbe dire snaturarla, togliendone l'incantevole semplicità. Dovendo quindi estrarre una pagina della storia degli orsi, la scelta più sensata è trascriverla.Ecco, a metà del libro quando Re Leonzio, ha appena ritrovato il figlio, teme di perderlo subito. Infatti il malvagio Granduca ha sparato al suo prigioniero, provocandogli una ferita che ha tutta l'aria di essere mortale. Che fare? Arriva nel salone del castello la colomba della bontà e della pace, ma tutti la guardano male perchè è capitata proprio nel momento sbagliato. Non resta così che rivolgersi al professore De Ambrosiis, egli dispone di un solo incantesimo. Lo sacrificherà per salvare la vita del giovane orso?
....la parola a Buzzati... "Adesso voi naturalmente non ci crederete, direte che sono storie, che queste cose succedono soltanto nei libri e così via. Eppure alla vista dell'orsacchiotto morente, l'astrologo sentì un improvviso dispiacere per tutte le canagliate commesse in odio a Re Leonzio e ai suoi orsi (gli spiriti, il Gatto Mammone), ebbe l'impressione che qualcosa gli bruciasse nel petto e, forse anche per il gusto di fare bella figura e di diventare una specie di eroe, trasse di sotto la palandrana la sua famosa bacchetta magica - ma come gli dispiaceva - e cominciò l'incantesimo, l'ultimo della sua vita. Poteva procurarsi montagne d'oro e castelli, diventare re e imperatore, sconfiggere eserciti e flotte, sposare principesse indiane: tutto avrebbe potuto avere con quell'estremo sacrificio. E invece "Fàrete", disse lentamente, e scandiva le sillabe, "Fàrete finkete gamorrè àbile fàbile dominè brùn stin màiela prit furu toro fifferit".
"Allora l'orsacchiotto riaprì tutti e due gli occhi e si levò diritto senza più traccia del buco fatto dalla pallottola (solo si sentiva un poco debole per la perdita del sangue), mentre Re Leonzio, come impazzito dalla gioia, si metteva a ballare da solo sul palcoscenico. E la colomba, finalmente soddisfatta, ricominciava a svolazzare di qua e di là più allegra che mai. Altissimo si levò il grido: "Evviva il professore De Ambrosiis!".
"Ma già l'astrologo era sparito. Sgusciato fuori dalla porticina del palco, correva a casa stringendo la bacchetta ormai inutile, e non avrebbe saputo lui stesso dire se malinconico o stranamente felice".
Il lungo racconto ambientato in Sicilia, nasconde tra le righe la vera poetica dell'autore. E' un romanzo sul coraggio, sull' ’amicizia e la generosità, sulla necessità di essere se stessi e fare del proprio meglio, comunque vadano le cose, ma anche sulle debolezze umane e sulle fragilità che stanno dietro anche ai più nobili sentimenti