Girotondo, giro attorno al mondo

Creato il 14 maggio 2013 da Eraserhead
Personaggio periferico Davide Manuli, il regista nostrano che non ti aspetti con una gavetta oltreoceano al fianco di un peso massimo come Al Pacino e forte di una amicizia stretta con Abel Ferrara, salito alla ribalta, si fa per dire, con La leggenda di Kaspar Hauser (2012) terzo lungometraggio di fiction per una carriera a latere che inizia con un paio di cortometraggi, i primi sono compresi nel biennio ’96-’97, e che arriva con Girotondo, giro attorno al mondo (1998) al debutto, sofferto, definito da Manuli stesso clandestino, girato in Francia con trenta milioni delle vecchie lire, montato in Italia e distribuito in qualche sala da dove ben presto è sparito; dieci anni dopo la Millennium Storm lo ripropone in DVD fino a che al Festival di Venezia ’12 non viene nuovamente proiettato alle Giornate degli Autori accompagnato da un libro che tra le altre cose contiene l’intera sceneggiatura.
L’emersione storica della pellicola appare la traslazione di ciò che viene raccontato al suo interno: è una storia da oblio, film non identificato dove i suoi protagonisti sembrano, sono fantasmi erranti, quindi morti: non c’è pace, l’estasi allucinata risiede nella musica a 140 bpm, non c’è luogo, le cartoline da mondi paralleli, e che siano discariche o cessi di bar di provincia poco importa, non c’è parola, inglese francese italiano, l’identità è incerta, multiculturale, spaccata, volatilizzata, eppure, sorprendentemente, c’è amore: sincero perché fra gli ultimi, fra due che hanno pestato il proprio passato, di lividi divenuti tatuaggi, trip lisergici, tipi psichedelici, ingenui (come ingenuo è l’ultimo dialogo) che però trovano l’amore, riemergono, e il dramma assurdo costellato da maschere pasoliniane sotto effetto di LSD diventa fiaba, sporca, fetida, laida, ma comunque, in qualche modo, con un lieto fine.

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