Nella primavera scorsa, durante i miei viaggi verso Agrigento, città nella quale tenevo un laboratorio teatrale, lessi un testo di Adriano Sofri, “La notte che Pinelli”. Un resoconto giudiziario intenso e difficile, impregnato di dubbi: l’anarchico Pino Pinelli in strane circostanze vola dalla finestra della questura di Milano: un’immagine inquietante se si pensa alla questura come luogo nel quale la privazione della libertà temporanea dovrebbe comunque sposarsi con l’idea di uno spazio di tutela; quasi una angosciante metafora della storia degli italiani vista come ricerca di spazi di autonomia e libertà sempre più ampi. Non un paragone perfetto, ma da Giulio Cesare in poi il nostro Paese ha visto un succedersi di uomini forti al governo, esperienze che si sono quasi sempre concluse con importanti movimenti di ribellione stroncati poi da nuovi cesarismi ancora più energici dei precedenti.
Nel nostro spettacolo il “cesarismo” rappresentato è quello dei nostri tempi. I congiurati non potevano quindi che essere donne, cortigiane di notte e senatrici di giorno. Tra loro è Bruto il personaggio con il più elevato senso dello Stato. Tormentato dall’idea di uccidere l’affezionato Giulio Cesare e istigato dallo stratega e fine politico Cassio, Bruto diventerà presto il vero capo della congiura.
“ pensiamo a Cesare
come all’uovo di un serpente che, covato,
diventerebbe per sua natura pericoloso
e uccidiamolo nel guscio. “
Bruto non ragiona. Bruto metaforizza.
Così come in Amleto (l’omicidio del re si fonda su un’allucinazione, il fantasma del padre), e nel Macbeth (sono profezie di streghe a guidare l’uccisione di Duncan), Bruto assassina Giulio Cesare solo sulla base di una “figurazione” (l’uovo di un serpente). Gli mancano le prove di un concreto ”abuso di potere” da parte di Giulio Cesare (l’accusa non ha prove). La parola del Bardo ha un potere immaginifico che non ha eguali nella storia della letteratura mondiale. Bruto ne è impregnato a tal punto che le sue azioni scaturiscono da quella forza fantastica.
Di contro per i ruoli di Antonio e Ottaviano, fedelissimi del dux romano, ho scelto due giovani attori che l’unica forma di potere che hanno conosciuto e sperimentato giorno dopo giorno è il cesarismo moderno in chiave italiana.
La necessità di rappresentare questo straordinario dramma politico è del tutto evidente: raccontare il cesarismo è indispensabile perché urgente è capire i meccanismi della politica di oggi.
da un’intervista di Giuliana Buzzone a Nicola Alberto Orofino
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