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Giulio il Mozzo torchiato da Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Creato il 29 aprile 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Giulio il Mozzo torchiato

da Iannozzi Giuseppe aka King Lear

(*) intervista raccolta e sbobinata alla vecchia maniera

Giulio il Mozzo torchiato da Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Giulio il Mozzo torchiato da Iannozzi Giuseppe aka King Lear
- Buongiorno Signor Giulio Mozzo.
- I miei salamelecchi!
- Cominciamo bene.
- Niente comincia, niente finisce.
- Come vuole lei.
- Ovvio che sì. Mica come vorrebbe lei.
- Signor Mozzo, lei che fa nella vita?
- Adesso prendo un caffè.
- Non intendevo in questo momento.
- Non l’ha specificato.
- D’accordo… di solito lei che fa nella vita?
- Tutti i giorni?
- Per la maggior parte dei suoi giorni nell’arco dell’anno, Signor Mozzo, lei a quale attività si dedica?
- Visto che non era così difficile fare la domanda esatta! Però… però…
- Può rispondere ora?
- Sto bevendo il caffè.
- Dopo che avrà bevuto il suo caffè.
- Lei fuma?
- Ho smesso, grazie al cielo.
- Io no. Dopo il caffè mi piace fumare.
- Vorrà dire che mi risponderà mentre fuma. Io ascolterò.
- No, non è possibile.
- Perché mai?
- Lei è un ex fumatore e io no.
- E con questo?
- Non intendo invadere il suo spazio vitale con il fumo della mia sigaretta. E’ una questione di rispetto. Adesso mi lascerebbe bere il caffè in santa pace, nel nome del reciproco rispetto?
- Certo. Beva.

45 minuti dopo

- Le chiedevo prima…
- Prima quando?
- Prima prima.
- Non capisco. Sia più chiaro.
- Mentre si stava accingendo a bere il caffè.
- L’avevo già assaggiato il caffè?
- Non ci ho fatto caso. Ma è così importante?
- I particolari fanno la differenza.
- Comunque non ho prestato attenzione a questo particolare, a mio avviso insignificante.
- Se mi ha disturbato mentre già stavo centellinando il caffè allora non è un particolare di poca importanza.
- D’accordo, le chiedo scusa per l’eventuale disturbo che forse le ho arrecato poc’anzi.
- Io non ho detto che mi ha disturbato.
- L’ha fatto intendere.
- Mi citi dove e quando, e poi perché e come mi avrebbe disturbato. Iannozzi, non mi metta in bocca dichiarazioni che non ho fatto.
- Mi perdoni…
- Il perdono è divino.
- Sono d’accordo. Però uno ci deve credere a quel tipo lassù, altrimenti il perdono non può essere divino ma solo umano.
- Il perdono è divino, punto e basta, non c’è niente da discutere. Lo sanno anche i sassi. Iannozzi, non è colpa mia se lei non ha letto la Bibbia.
- Ma io non ho scagliato nessuna prima pietra!
- E invece l’ha fatto.
- Io volevo soltanto sapere che fa nella vita.
- Invasione della privacy.
- Ma lei è un consulente editoriale…
- E chi gliel’ha detto?
- E’ scritto.
- Dove?
- Sull’enciclopedia libera Wikipedia: “Giulio Mozzo è uno scrittore italiano, docente di scrittura creativa e consulente editoriale… Dal 2002 al 2009 ha curato la narrativa italiana per la casa editrice Sirene, dal marzo 2008 è consulente di Candida Stile Libero“.
- Vede che non è come dice lei!
- Appunto, “Dal 2002 al 2009 ha curato la narrativa italiana…”.
- Wikipedia non è affidabile.
- Ma io…
- Niente “ma”, qui comando io e solo io.
- E’ scritto pure sul sito che lei cura…
- Io curo, è diverso. Sono Dottore, lo sa?.
- Sì, d’accordo, come vuole lei, Dottor Mozzo!
- Che bel suono, dotto… dotto… dotto… re!
- Dunque, stavo cercando di chiederle che cosa fa nella vita…
- Tutti i giorni dell’anno solare o di quello lavorativo? Iannozzi, la privacy.
- Ma!!!
- Non mi prenda per i fondelli.
- Non mi abbasserei mai a un simile livello, Signor Mozzo.
- Non faccia dello spirito.
- Quale spirito?
- Alludeva alla mia altezza.
- Ma che va mai pensando! Lei è una persona tutta d’un pezzo, nonostante il suo metro e cinquanta scarso.
- Vede che fa dello spirito. L’ho colta sul fatto. Mi chieda scusa.
- Ma…
- Niente “ma”. Mi chieda scusa.
- Non posso, non sono all’altezza.
- Vuol farmi forse credere che non sa porgere delle sentite scuse?
- Per l’appunto: non mi sento in dovere morale di porgere delle scuse per aver detto la sacrosanta verità, quindi non lo farò.
- Iannozzi, lei non mi piace.
- Signor Mozzo, se la cosa la può rendere in qualche modo felice anche a me lei non piace affatto.
- Perché?
- Sono due ore che cerco di avere una banalissima risposta a una domanda e lei continua a girarci intorno, o meglio ancora: saltella da un piede all’altro, peggio che se avesse le tarantole sotto i piedi.
- Io non nicchio.
- Non l’ho detto.
- L’ha pensato, ne sono certo.
- E come fa a essere certo di una cosa che io non ho pronunciato?
- Aristotelismo.
- Credo di non capire.
- La cosa non mi stupisce. Lei è un razzista.
- Cosaaaa?
- Non faccia il furbo. Con me non attacca.
- Io non faccio il furbo e non sono razzista.
- E invece sì.
- E di grazia, per quale assurdo motivo?
- Perché sono io che lo dico che lei è razzista, quindi non può che essere così. Non c’è niente da capire. Lei è razzista e fascista, punto e basta.
- Ma lei è fuori di testa!
- La mia testa è sulle spalle.
- No, è sul collo attaccata. E in ogni caso il fatto che ci sia una testa attaccata al collo non significa che la sappia usare nel modo più conveniente.
- Ecco la prova che è razzista: ce l’ha sù con me perché non sono particolarmente alto.
- Non usiamo eufemismi. Diciamo la verità: lei è basso.
- Razzista.
- Insomma, o risponde o non risponde: che fa nella vita?
- In quale vita?
- In questa?
- Lei ammette dunque di non credere in una vita dopo.
- A lei, scusi, che gliene frega?
- Razzista.
- Mi dica semplicemente una cosa semplice semplice: se uno volesse pubblicare un libro…
- ALT! Non dica più niente.
- Perché?
- Lei conosce qualche assessore, è mio amico, appartiene al nostro club, è un affiliato dichiarato delle mafiette letterarie?
- Niente di tutto questo.
- Allora il libro è sicuramente brutto.
- Ma non conosce l’autore, non l’ha letto, non conosce neanche il titolo, per Dio!
- Non è importante. E’ un brutto libro, poco ma sicuro.
- Ma lei è un consulente editoriale!!!
- Uno, io sono uno che cura la pubblicazione di alcuni libri di mio gradimento; due, il mio è un giudizio di valore, ma non pretendo che lei o chiunque altro lo accetti. Sono dell’avviso che i giudizi di valore non si possano motivare. E questo è quanto.
- Mi faccia capire: se non sono uno delle mafiette letterarie, se non ho un assessore che mi spalleggia, se non sono un suo amico intimo o occasionale, semplicemente non mi devo rivolgere a lei né in prima persona né per conto terzi.
- Io non l’ho detto. Le ho fatto una domanda e gliela ripeto: “Lei conosce qualche assessore, è mio amico, appartiene al nostro club, è un affiliato dichiarato delle mafiette letterarie?” Le sembra che abbia forse asserito che lei deve far parte di mafiette ecc. ecc.? Iannozzi, non metta in giro falsità sul mio conto.
- Ma io non sono riuscito a ottenere risposta ancora alla prima domanda che le ho posto oramai più di due ore or sono, come potrei spacciare notizie false sul suo conto se non ha risposto a una domanda una?
- Questa è già un’altra domanda.
- Poi dicono che i giornalisti si drogano!
- Che bofonchia? Guardi che la sento, Iannozzi. La sua voce arriva anche qui in fondo in basso da me, se non se ne fosse reso conto.
- Non lo metto in dubbio, la voce si propaga nell’aria.
- Ecco, colto in flagrante: lei sparge in giro voci sul mio conto.
- Io ho solo detto che la voce umana, di chiunque, si propaga.
- Allora non è l’unico a mettere in circolo cattive voci su di me. Ammette d’avere dei complici, ma lo sospettavo. Da un brutto ceffo come lei c’è da aspettarsi questo e altro.
- Giuro che non ce la faccio più. Lei è la persona più stressante che abbia mai incontrato in vita mia.
- Questo è un suo giudizio.
- Di valore.
- In che senso?
- Nel senso che è un giudizio di valore, e ci aggiungo pure che lei è una persona pericolosa per la cultura italiana, per l’editoria e anche per chi le sta accanto durante i suoi tanti viaggi in treno.
- Prenoto sempre due posti, uno per me, l’altro sempre per me, così sono sicuro di non venire scocciato da personaggi non pertinenti e impertinenti.
- Povere zecche di Stato, dev’essere una vera sofferenza per loro esser costrette a viaggiare sù di lei.
- Porco. Maiale. Infame. Stronzo. Bastardo. Pezzo di merda secca. Io ci sputo addosso ai razzisti come lei.
- E riesce a prenderla bene la mira dalla “sua” altezza?
- Che insinua?
- La verità: che è alto due mele o poco più, quanto un puffo.
- I puffi sono blu e comunisti. Io sono bianco e democristiano e cattolico fondamentalista. Iannozzi, lei è un razzista di merda, mi fa solo schifo. Schifo, schifo, schifo…
- La sente?
- Eh?
- La canzone?
- Quella che sta passando.
- Dove?
- Alla radio.
- Siamo in un bar.
- Sì, però il barista ha la radio accesa in filodiffusione e adesso sta passando quella famosa canzone di Gino Paoli.
- Mai piaciuto quello, un anarchico. Io sono fondamentalista.
- Ascolti!

Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca
si parlava con profondità
di anarchia e poi di libertà
tra un bicchier di coca ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e
proponevi i tuoi farò…

- Brutta.
- E perché mai?
- E’ un giudizio di valore. E poi se lo pronuncio io ha più valore ancora.
- Vada a farsi friggere. Passo e chiudo!

* Eventuali ambigui refusi sono stati lasciati vivi durante la sbobinatura e il riversamento dell’intervista su foglio di scrittura elettronico, per tener fede a una declinazione artistica à la Andy Warhol, come nel suo famoso romanzo “a”.

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