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Giulio Maffii - L'odore amaro delle felci

Da Ellisse

giulio maffii - L'odore amaro delle felciGiulio Maffii - L'odore amaro delle felci, prefazione di Elio Pecora - Edizioni della Meridiana, 2012
Un libro che rende al termine "lirico" il suo risarcimento:  una forma di espressione ancora estremamente vitale, feconda, capace di fini corrispondenze tra autore e lettore, e soprattutto plastica, flessibile, rinnovabile.  Sembrerebbe la cifra principale di questo libro di Giulio Maffii, vincitore del Premio Sandro Penna 2011, ma naturalmente c'è altro. Qui non ci sono certi ripiegamenti, almeno dal punto di vista - canonico, soprattutto novecentesco - che generalmente si ha della lirica. Quel molto che c'è di émpito lirico è felicemente "impuro", esposto come è ad una meditazione serrata sulle cose e sul mondo che non ammette linguaggi ermetici o allusivi, o ricorsi ad eccessi simbolistici. "Una poesia che non grida né incendia - dice Elio Pecora - piuttosto con parole chiare arde di un fuoco mite e durevole". Per Maffii il discorso poetico è eloquio, nel senso più nobile del termine. Esplicitazione cioè di un pensiero che, prendendo le mosse da quelle (apparentemente) semplici constatazioni che solo il poeta sa cogliere, egli sviluppa con una lingua articolata e ricca che indica al lettore significati ineludibili e insieme ne suggerisce altri più segreti. Maffii non "constata" semplicemente, non si limita a registrare, per quanto poeticamente, il suo stare nel mondo. La sua, direi, è una poesia reattiva.  Dice Pecora giustamente, "non si addice la condizione di perenne deluso", a lui come a tutti i poeti. A tutti i poeti veri, aggiungerei, nei quali l' "inquietudine" non è, se mi si passa il bisticcio, quietismo poetico o lamento, ma ricerca di  "soluzioni" o risposte.  E' questa una della ragioni della mobilitazione della poesia, di quella "resistenza" di cui spesso si parla a vanvera. Anche in questo a mio avviso risiede la cifra umanistica di questa poesia. In uno come Maffii anche le parole rare o desuete (v. più sotto "nella colza") non sono selezionate, magari al fine di stupire, in un postmodernariato consunto, ma rimandano a una civiltà dell'uomo, ad un umanesimo "brace", mai - per fortuna -del tutto spento. Così tutto, in questo bel libro, si trasfigura in esperienze di humanitas: la riflessione sul tempo, il pensiero della morte futura e passata, il semplice attraversamento di un campo, il volo della mente dal mero evento naturale alla speculazione sull'esistere oppure, sulla scorta della poesia di Margherita Guidacci posta in esergo, la coscienza della responsabilità di chi tenta con qualche sforzo di preservare la bellezza in questo mondo di "telchini", gli antichi demoni della mitologia greca, cui "la loro ignoranza li ravvolge / di fittissima nebbia".

da In mezzo ai Telchini
Nel telaio dei riti quotidiani
passano cani a strappi e padroni
si chiudono portoni
in queste vie d'esilio
I giorni i solchi gli abiti d'organza
il cuore è una danza che non ha
mai ucciso nessuno in poco tempo
lo sciame dei discorsi
si perde dentro gli attimi
nelle scelte dei tessuti
fare disfare
disseminare accumuli di poco
sgretolati i loro opachi sguardi
È tardi?
Qualche volta è tardi
c'è polvere nel telaio
gemme pulviscolo
eppure c'è un'altra via
nel suo ordito
all'esterno del formicaio
... nel telaio dei riti...
***
I morti rispondono alla vita
pur se invisibili
camminano sul filo
della bocca e dello sguardo
nessun traguardo o cambiamento
Come osservano gli occhi chiusi?
È un fermento in cui debordo
e trascina i miei piedi nell'asfalto
Tu chiedi alla tua controfigura
il gesto folle dell'amato
ma subito trasformi
la carne in sale
oppure nel niente della dissolvenza
e di un'altra fine
E il crine che si spezza
il potere che ci attraversa
che ci fa preda
che tutto nega
... i morti rispondono...
***
Ma quella che tu chiedi e che tu chiami
è la mia domanda
la mia certezza, sconosciuta  
la voce stessa è soltanto un caso
un'ipotesi tra tante inafferrabili
Si spegne si ravviva dentro noi
ogni caduta ogni sprovveduta
trepidazione tra capire ed andare
La destinazione della ragione
la ragione del destino
Non riesco ad abbandonare
questa terra di omicidi reciproci
a licenziare le parole in atti
a suicidare l'addio che puntualmente brucia
e che ci trova vivi
nel precoce istante del bisbiglio
... ma quella che tu chiedi...
***
Così potesse in noi restare un segno
ma sarebbe soltanto uno stampo
il residuo di rosa sul muro scrostato
Fermati ascolta
inumidisci le tue richieste
non essere pietra rigida
non darmi pietà quando cerco amore
È un altro segno quello che domina adesso
non c'è più niente che ritorna
Ognuno piange la sua piccola o grande rosa
il profumo si frange nel fondiglio
una gemma sale
dal nascondiglio e di nuovo s'apre
... così potesse in noi...
***
In principio è la brezza
l'odore amaro delle felci
che sgorga e piega e bilancia
ogni altrui rinuncia
Rigonfia gli astanti la ventata
la traiettoria dell'asprezza
Cosa importa chi siamo
se non apparteniamo a questo luogo
a questo fuoco
che la pelle rende vizza
Qualcuno frana insieme ai giorni
nei tormenti delle pietre
il nostro apologo si riscrive invece
al di là delle indicazioni
delle circostanti dedizioni
tempo a tempo
non cede non crolla non dissesta
dove tu sei dove io sono
tempo a tempo
ama finché ce n'è
ama fino a che è possibile
tempo a tempo
... in principio è la brezza...
da Pietre di confine
A volte contano solo le tregue
le pause da trincea
tra il pieno e il vuoto
A volte contano solo i fili
la panacea che non vediamo
la polvere che s'accatasta
attraverso gli abiti e le povere
abilità del parolaio saltimbanco
Sgoccia tra le nubi e gli occhi
nella colza che schiaccia
il brontolio di una nuova danza
Nel centro della lessora s'appiccica
quello che non sai di avere perso
un passo verso il grimorio aperto
un taglio inferto alla tua burbanza
... nella colza...
***
Come vedi non sono più bambino
non ritrarre la punta delle dita
che fatica farsi accogliere
adesso qui non dopo
recidere la mica sbriciolata
l'alone esausto delle spalle
leggo ti leggo rileggo
sulle labbra proprio quelle
che si esprimono a gesti
tutto si arena nei fondali
nei barbazzali piantati nella gola
s'invola questo o qualcos'altro
cosa credi cosa vuoi da me
quale regola dobbiamo infrangere
per esplodere in questo mondo
Tu che rasenti l'asola nel fondo
delle cose e delle lontananze
raccogli quel poco dalle circostanze
Quanto dobbiamo pagare ancora
quanto scotto nel respirare giorno
a giorno nel tuo nel mio girone
cosa vuoi cosa cerchi in me
ho solo debiti aperti
e qualche goccia d'arsura
ora qui non dopo
qualcosa di simile a un confine
o questo millimetro di pelle
o forse meno
un ex voto appeso in forma umana
Mi chiedo chiediti
se è questo o qualcos'altro
Mi tormenta pure la quiete
.. distensione...
***
L'insazietà del tempo
neanche piantare un quadro
so fare altre cose
agganciare le illusive disparità
nel cerchio che si chiude
le attese le esperienze accese
quale direzione prende
questo silenzio inappellabile
Inseguì lo squarcio
lungo la fragilità d'ombra
che l'amore nasconde nel suo interno
Il senso dell'equivoco
ci inonda senza forma
perché la luce filtra
tra il vetro e il vuoto
si stampa dove la parola
si arresta e non giunge
e il muro cede
poiché non so piantare un quadro
poiché la croce non ha spazio
per altri chiodi e tace
Qualcuno alle mie spalle
o forse il suo plagio
si chiede quello che avrebbe fatto
ma anche ciò che è stato
non cambia incunaboli o l'adagio
Il passato non ha occasioni
né oboli da offrire
è soltanto un calicanto
nel giardino di gennaio
... fioriture...
***
Il tuo viso distolto dalla luce
che sopravvive alla condanna
Era un momento
un momento di passaggio
"sono giorni passeranno"
quanti giorni anno dopo anno
a grappoli a mazzetti
Ti vedo e dondoli ancora
eccomi qui vedovo magnanimo
mi è restato addosso il colpo
inferto per poche briciole
Sgorga a flotti il destino
inesistente che ognuno porta
è quell'istante di rabbia o gioia
il peso insopportabile della nebbia
il versoio attaccato all'aratro
il solco pieno o semivuoto
Qualcuno parla alle mie spalle
mentre spingo estraggo la lama
e conto i passi
... semina...
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 Note redazionali al testo:


Léssora: ragnatela, in dialetto lucchese
Grimorio: in genere libro di magia, contenente istruzioni per incantesimi, invocazioni, ricette per pozioni ecc.


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