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Giuseppe catozzella, scrivere dentro i mali italiani

Creato il 07 giugno 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Giovanni Agnoloni

Giuseppe Catozzella3 255x170 GIUSEPPE CATOZZELLA, SCRIVERE DENTRO I MALI ITALIANI

Giuseppe Catozzella (da passeggiatedautore.blogspot.com)

Giuseppe Catozzella, scrittore, giornalista ed editor Feltrinelli (e già Mondadori), è un autore che scende senza ritrosie o reticenze dentro i mali d’Italia (e non solamente d’Italia). In questa intervista cerchiamo di affrontare i punti salienti del suo percorso di narratore, che tocca problemi drammatici come la ‘ndrangheta e il traffico di organi. Tentiamo inoltre di offrire un’istantanea della temperie culturale del nostro paese, in confronto a quello che succede nel resto del mondo.

- La tua è una scrittura che non prova pudori né si ritrae davanti agli aspetti più corrotti della nostra società, come dimostra la trama di Alveare (Rizzoli, 2011), focalizzato sulla diffusione della ‘ndrangheta nel Nord del nostro paese. Perché questa particolare vocazione letteraria?

Il perché non so dirlo esattamente, so soltanto che finora è stato così. Ho sempre interpretato i tempi attuali dell’Italia come tempi molto negativi e pericolosi e, come scrittore, non sono mai riuscito a tirarmi indietro dal cercare di far coincidere la letteratura con l’inchiesta o il reportage, o anche soltanto con il racconto di fatti che si vuole lasciare al contrario coperti da silenzio. Le mie storie sono sempre state sul confine del Male.

- In precedenza, con Espianti (Transeuropa, 2008), avevi affrontato un altro drammatico fenomeno criminale dei nostri tempi, il traffico di organi dall’India. La tua è principalmente una volontà di denuncia sociale o, in misura prevalente, un’indagine dell’animo umano e della sua parte più oscura?

Nella mia scrittura denuncia sociale e indagine dell’animo umano e del Male coincidono. In questo mi sento fortunato come scrittore, perché vivo in un Paese che mi fornisce continuamente materiale in questo senso. Se fossi danese o finlandese, non credo che sarei stato così tanto attratto dal confine sottile che lega legalità e Male, ciò che la società per rimanere in vita riconosce come Bene comune e ciò che l’uomo invece riconosce come forte attrattiva deviante.

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- Hai un blog su “Il Fatto Quotidiano”, dove ti occupi anche di politica. Che cosa pensi della situazione in cui versa l’Italia oggi, e vedi una via d’uscita dalla crisi, non solo economica ma sociale, etica e, appunto, politica?

Io per natura sono ottimista, ma non posso dire di credere che dalla crisi italiana, economica, sociale, culturale ed etica si possa uscire in fretta. Ci vorranno generazioni. Ma per farlo è necessario iniziare a denunciare, raccontare, indagare, guardare il Male nel posto in cui è radicato e farne partecipe più gente possibile, in modo che possa riconoscersi. È una questione di generazioni, appunto. Anche se qualcosa sta già cambiando, anche solo rispetto a qualche anno fa. Il livello del cambiamento per ora è condensato sul piano delle Associazioni. Sono i ragazzi delle Associazioni e dei movimenti che danno ossigeno al Paese.

- La tua esperienza di editor per Mondadori e Feltrinelli, e in particolare il gran numero di opere straniere lette e selezionate, che idea ti hanno fatto maturare dello “stato dei lavori” della narrativa italiana e del livello del dibattito culturale nel “Belpaese”?

Lo stato della narrativa italiana in certo modo rispecchia quello generale del Paese. Siamo in una fase di drastico cambiamento, nel mezzo della mutazione. Come un bambino che sta rapidissimamente diventando adulto. Vediamo segni del cambiamento - peli improvvisi, voce differente -, ma non ne comprendiamo il senso. Si sta al guado, pronti a nuovi orizzonti. Il livello del dibattito culturale è fermo, ahimè, a un’impostazione di molti decenni fa. Impostazione che oggi è del tutto fuori norma, e non risponde al mondo attuale. Anche questo deve cambiare, ma ancora non ci sono i mezzi a livello di consapevolezza, e neanche la volontà, in molti casi. Questo vorrebbe in parte anche dire lasciare spazio ai più giovani, cosa che nel Belpaese, come lo chiami tu, è utopia.

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- Hai anche avuto modo di tenere conferenze in varie università nel mondo e di confrontarti così con altre realtà. C’è un motivo principale per cui l’Università italiana è ormai la 138ª del pianeta?

Credo che uno dei motivi possa essere quello che ho cercato di dire sopra in poche righe. Un’impostazione eccessivamente burocratizzata, datata e vecchia nelle mani di uomini di più o meno potere, attempati, che tutto desiderano tranne che ritirasi in collina in pantofole.

Alveare diventerà presto un film, e il tuo prossimo romanzo uscirà in autunno per Feltrinelli. Ci puoi anticipare qualcosa?

Alveare è stato opzionato da Wildside per diventare un film, ma a ora non credo ci sia niente di concreto. C’è un altro giovane e talentuoso regista, Michele Rho, che mi ha manifestato il sogno di portarlo sul grande schermo, ma temo che l’industria (è industria?) cinematografica italiana non sia ancora pronta. Sul prossimo romanzo non posso ancora dire niente! Se non che è una storia potentissima, la più potente che abbia mai raccontato, che uscirà all’inizio dell’anno nuovo con Feltrinelli e che di certo, come Alveare, farà parlare di sé.

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