Ogni film che faccio capisco qualcosa di più della vita, il mio lavoro in televisione è diventato la scuola che non ho fatto". La confessione arriva verso la fine dell'intervista Orgoglioso del suo ultimo personaggio, l'inviato di guerra di "L'angelo di Sargjevo", la miniserie andata in onda su Raiuno e seguita da oltre sette milioni di spettatori, Giuseppe Fiorello toma per un momento ai ricordi della gioventù. "Ho iniziato a fare il primo anno di scuole superiori in un istituto tecnico, ma mi sono fermato subito". La televisione, e in particolare la fiction, si è così trasformata in un corso di recupero, è stata per lui liceo e università. "Mi ha dato molto in termini di conoscenza, di studio, di approfondimento. Per ogni personaggio che interpreto imparo sempre qualcosa di nuovo".
Che cos'ha imparato, quindi, sulla figura del giornalista?
"Era un ruolo che inseguivo da anni. Ne avevo già fatto uno ottocentesco in "Lo scandalo della Banca Romana", ma mi interessava molto la figura dell'inviato di guerra di questa epoca. M'incuriosiva l'uomo che va dentroun conflitto sapendo di rischiare. Volevo indagare quella spinta che gli parte da dentro, il suo senso civile. E poi mi premeva ricordare una guerra atroce come quella di Sarajevo, che mi sembrava fosse un po' caduta nel dimenticatoio". Sbaglio o tutte le sue fiction contengono un messaggio?
Non sbaglia Cerco sempre di mettere la mia arte al servizio del Paese. Da attore vorrei raccontare storie utili. L'anno scorso c'era il degrado del quartiere di Scampia (si riferisce alia fiction di Raiuno "L'oro di Scampia", ndr), quest'anno Sarajevo".
Lei interpreta più o meno una miniserie all'anno, i "Con Raiuno ho un bellissimo rapporto di fiducia, tanto da essermi trovato un spazio personale. Ogni anno intorno a gennaio-febbraio va in onda una mia storia. Proprio 9 così: non vado in onda io, va in onda una mia storia E spero che il pubblico si sia affezionato a questa sorta di incontro annuale. 1 Anche perché ogni volta cerco di raccontare qualcosa di diverso". Quanto c'è di Franco Di Mare, rinviato che ha ispirato "L'angelo di Sarajevo", in Marco De Luca, il giornalista protagonista della fiction?
"Il carattere non è esattamente quello di Franco. All'inizio della storia, per dare un tocco di drammaturgia, l'ho fatto un po' più burbero e introverso. Mi sono comunque E documentato al massimo, gli ho chiesto tante cose, volevo proprio diventare lui. Solo che a un certo punto mi sono fermato perché volevo farlo mio. Con i personaggi reali cerco sempre di usare anche la mia immaginazione. Un po' studio e un po' immagino, poi mischio le due cose. Ho lavorato allo stesso modo per la fiction su Domenico Modugno".
Che in questi giorni è tornato a ricordare in teatro.
"Sto girando l'Italia in tournée con "Penso che un sogno così...". Fino al 1° febbraio sarò a Roma, all'Ambra Jovinelli. Sta andando benissimo, fa ovunque il tutto esaurito. In realtà il protagonista è mio papà, che di Modugno era un grande estimatore. Allora in famiglia nessuno poteva immaginare che un giorno lo avrei interpretato in tv. Sul palcoscenico racconto mio padre che cantava le sue canzoni e insieme me stesso, la mia vita È un racconto a tratti psicanalitico ma universale, infatti alla fine mi capita di vedere molti occhi lucidi".
Perché ha abbandonato gli studi?
"La scrittrice Patricia Highsmith diceva la vita preferisco viverla che leggerla Più o meno pensavo la stessa cosa anch'io. Sbagliavo. E mi sono pentito di aver lasciato la scuola così presto. Dopo, per colmare le mie lacune, ho dovuto studiare il triplo, fare salti mortali, leggere tutto quello che potevo".
Ha deciso di fare l'attore quand'era ragazzo?
"Faceva parte dei miei sogni, ma ero un ragazzetto fin troppo timido per confessarlo anche a me stesso. Pensavo che il mio carattere fosse un po' in conflitto con le caratteristiche dell'attore. Poi invece ho scoperto che la timidezza fa parte degli attori. Anzi: deve fame parte. Perché è nel silenzio della timidezza che si studia e si osserva".