In questi versi di Giuseppe Samperi (che abbiamo già incontrato QUI) persiste ancora, soprattutto in quelli da "Isolandomi di inchiostro", la scrittura o la sua forma o il suo antico emblema, l'inchiostro, nel senso metaforico di cui avevo già parlato precedentemente. Aggiungerei, rispetto a quello che avevo detto, che sembra che Samperi ami pensare di attraversare la vita versando inchiostro. Il che peraltro sarebbe già una bella professione di fede. Quindi è naturale che lui si "tinga" di poesia, che la parola tracciata sia lenitiva come sciroppo per la tosse, l'inchiostro è cercato, scorre in tubature, l'inchiostro isola più di quanto possa esserlo già un isolano. Il tutto sempre in bilico, per dirla con Jakobson, tra metafora e metonimia (o forse la sineddoche), in breve tra l'ampliamento del senso per assonanze e somiglianze e la tentazione di fare dell'emblema (in questo caso l'inchiostro) un totem, una parte per il tutto. Non so quanto perseguibile ancora, ma fatto salvo quanto avevo già detto a proposito de "Il miliardesimo maratoneta", comprese le qualità intrinseche di questa scrittura, a cominciare da suggestione, sintesi e leggerezza.
Negli altri testi, quelli tratti da "Vocativi filiali" il discorso è un po' diverso, trattandosi di poesie differenti per forma e contenuto. La struttura è più compatta e di diverso peso, la versificazione più canonica e forse un po' più spigolosa, l'apostrofe (a differenza degli altri brani in cui scrittura e inchiostro sono immagini di una estensione del sé, di una ruminazione) è rivolta all'esterno, a un "tu", sia esso la madre o altri, la poetica è quella di una insistita negazione, una negatività in cui la carta trascolora, gli idiomi tornano oscuri, il segno prende il sopravvento sul suono, sulla voce. E forse il fido "inchiostro" di Giuseppe non soccorre a lenire. (g.c.)
OLTRE GLI STRAPPI (Vecchi versi inediti e quasi inediti) 1999/2000
da ISOLANDOMI D’INCHIOSTRO
Non può non sa
(girarrosto querulo)
(canditi assenti)
parlerà trobar leu[1]
trobar ric[2]
semisilenziando
motondeggia al fondo.
Avresti mai pensato
navigando interstizi
luce (finestra-tramonto)
avresti mai pensato
– mi dicevo –
di cercare inchiostro?
*
Potremmo andare
Milano Venezia
– oltre screpolature –
tanto TV ovunque
tu non altro
– faccende a parte –
o forse mi faccio
siringa-fantasia e cerco
il non senso,
il non senso
entro nelle tubature
dell’inchiostro
tento
le falde
lascio
che s’apra l’isola
isolano
isolandomi
d’inchiostro.
*
Come improbabile
non riesco
– a malapena –
a rifarmi d’inchiostro
la sera.
*
A sera
illanguidisce l’aria
si stende
s’allarga.
A sera
– se l’imbrunire esplode
tingendomi –
ancora più piccolo
d’un passero
che s’acqueta
non porgo saluti
mi stringo
mi tingo
di stanca poesia.
*
Vacua
non so cosa ma vacua
curveggiando l’ore
iperbole a sonno
vacua.
– tubano in frequenza
colombe e svolazzano,
pigolii d’uccelli
e voci di vecchi –
vacua
la posta dell’arresa
vacua
la non-arresa
se vacua
questa scrittura tesse.
*
Rimane la tenaglia
dei giorni che stringe
se il limone brucia
– disinfetta –
– l’ultima se alla gola
punge il fumo, «l’ultima
sigaretta!» –
la parola è sciroppo
per la tosse
?
*
Dalla scrivania
– sole e tegole –
mi bussano i tempi
«900 FU
ANDATO
rapporto uomo-macchina
SOLITUDINI ... »
2000 auguri
e 2000 di questi schermi
parole a non finire, lettere
e-mail @ piove fuori
collegamenti nell’istanza d’un RE
alla finestra tre telecomandi
telefonino a portata di suono
vibrazione …
(leggo la vita
di Carlo Michelstaedter).
Anch’io avrò il mio mouse
nel girotondo tondo della sera
il sole brucerà la terra alfine
con batter di ciglia
chissà dove
chissà dove
il pensiero negativo in fondo
risucchiato nell’ozono
incerto
chissà dove
senza telecomandi avrà
il mio discendente
il suono
l’immagine
la sera –
isolandomi
d’inchiostro.
da VOCATIVI FILIALI
NON ATTENDERE
Non attendere lamine di Storia
non valori mutuanti di catene sintagmatiche
non casupole-corpuscoli in sfibrante luce.
Il bianco della carta trascolora,
ingialliti idiomi da decodificare
mentre il Verbo che ci nutre ci consuma
nel non sapere a quale tempo strutturale
in sincronia a carponi sfavilliamo.
Non attendere lamine di Storia
sublimarci-vivere il fonema che siamo
in quest’idioma fluttuante di Domanda.
VOCATIVO
Fàtica parvenza di richiamo
non un fonema di periti amori
non il grugnito d’altro non presente
non l’odore di pelle inevocabile …
non puoi nella grammatica di sillabe
non sai nell’ascensione delle chiese
non consonante riporti d’oltre tomba.
Sovrapposta ortografia alla fonetica
immobile scrittura o istante-verbo
non puoi non sai non riporti.
Classe aperta non appelli ritorni.
IN SOLINGHI PERCORSI
In solinghi percorsi vuoti a perdere
beviamo madre confezioni d’inappartenenza
punti da raccogliere per altri ghetti indifferenti
non dintorni di parole non atti estremi
posta non arriva cassettoni arrugginiti.
Ognuno nell’Uno tempera gusci esatti
l’incertezza ha spigoli di lati distorti
il dolore il bisogno informi sgretolati
Tu Tu Io: inesattezza indigesta a matematici.
In solinghi percorsi vuoti a perdere
beviamo madre contenitori di giorni
rintaschiamo nostre porzioni di sole:
Tu Tu Io: inesattezza amante di parole.
[1] Una delle ‘posizioni’ descritta dai poeti del “fine amor” che vorrebbe la poesia comprensibile a più persone possibili: poetare ‘lieve’.
[2]
Altra scuola di pensiero poetico che imporrebbe il nascondimento dei sentimenti e l’oscurità del dettato poetico. Poesia fruibile soltanto da una
cerchia di ‘eletti’.
Giuseppe Samperi è nato a Catania, vive a Castel di Iudica. Laureato in
Lettere Moderne, ha fondato e diretto le “Edizioni del Calatino” (già
“Samperi editore”). Ha pubblicato i seguenti libri (cartacei): Sarmenti Scattiati (Catania, 1999); Alice dell’amore (Catania, 2002); Il miliardesimo maratoneta (Castel di Iudica – Catania, 2011). In ebook ha pubblicato: Genesi e temi di un romanzo “familiare”: ‘La casa in collina’ di Cesare Pavese (2012) e La bottega del non fare & altri racconti (2012).