Silvia Medeossi 17 luglio 2013
Duecentesimo anniversario dalla nascita di un nome che è entrato nella storia della musica classica e che rappresenta a suo modo una figura italiana d’eccellenza. Giuseppe Verdi viene così celebrato in un tripudio di festeggiamenti lungo tutto lo stivale in un riecheggiare di atmosfere che di certo non abbracciano solo il mondo delle sette note, ma anche la storia ed il vissuto degli italiani e delle loro tradizioni. Sì perché Giuseppe Verdi italiano lo si può considerare per antonomasia ed in tutte le sue sfaccettature sia per la cornice storica in cui nasce, sia per indole e inventiva quanto per capacità di reinventarsi. È per certo un artigiano della musica, in quanto non spiccando come genio, seppur mosso da attitudini e passione, è soltanto con tanta dedizione, perseveranza e sacrificio che riesce a far sì che la musica sia un sogno che abbracci tutta la sua esistenza. Quasi un artista contemporaneo vista la sua stessa esistenza divisa fra un’attività imprenditoriale che gli permette di “campare” e la estatica, operosa, instancabile e martellante passione per l’opera, tanto che in seguito ne sarà l’illustre rappresentante nel panorama nostrano, baluardo degno di stima e caratura anche all’estero. Un Verdi che diventa personaggio storico rilevante anche perché contribuisce a suo modo a creare quell’amor di patria che tanto fomentava i cuori degli abitanti dello stivale, suoi contemporanei. Egli infatti non rimane estraneo alle lotte per l’unificazione d’Italia e con Nabucco, I Lombardi alla prima crociata ed il Macbeth diventa per certo una bandiera risorgimentale che nella diplomazia affonda le sue radici per la costruzione di un unico Stato. Un Viva Verdi che, sotto mentite spoglie adulatorie dei fan del compositore, veniva utilizzato per appoggiare con un acronimo Vittorio Emanuele quale re d’Italia (Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia).
È così che sono rimasta colpita leggendo lo stesso slogan su un manifesto pubblicitario, non resistendo alla tentazione di immergermi in un concerto teatrale che celebrasse Giuseppe Verdi. È toccato ancora una volta a Udine, Teatro Palamostre, accogliermi in questo piacevole dondolio di gorgheggi melodiosi quali solo i suoi spartiti ispirano. Tre artisti sul palco, la nuda voce del piano ad accompagnarli e, fra Macbeth, I vespri siciliani, Il trovatore, Un ballo in maschera ed Otello, il baritono Andrea Cortese, il tenore Federico Lepre e l’eclettico soprano Silvia Felisetti mi coccolano per un’ora e mezza, senza farmi mancare nemmeno Croce e delizia da La traviata. La toccante soddisfazione di spettacoli come questi galleggia sulle note immortali di compositori unici nel loro genere, che sono in grado di riempire ed impreziosire anche la più scarna delle rappresentazioni sceniche, facendotela apprezzare proprio per questa sua peculiarità in cui la qualità della scrittura riecheggia più che mai. Assaporare Verdi però vuol dire senza dubbio immergersi nell’ascolto dei cori che egli ha composto, i quali rappresentano il marchio di fabbrica con connotazioni storiche inequivocabili e che val la pena di assaporare in cornici magiche grazie alle varie messe in scena che l’anniversario consente, come ad esempio le famosissime Noi siamo zingarelle o il Va, pensiero. Da Palermo all’Arena di Verona, dal Concerto di Capodanno a Venezia alle celebrazioni parmensi, anche chi non sembra apprezzare il genere avrà modo di ricredersi, avvicinandovisi senza rimpianti grazie ad un personaggio che farà riconoscere a pelle la sua vivace bravura, sempre attuale a dispetto dei secoli alle spalle.