(Law Abiding Citizen)
F. Gary Gray, 2009 (USA), 108' (118')
uscita italiana: 25 agosto 2010
voto su C.C.
Nelle pagine del prezioso libro firmato da François Truffaut Il cinema secondo Hitchcock, il cineasta inglese ha modo di far notare all'autore in una delle loro lunghissime interviste-confessione che «un critico che parla di verosimiglianza è una persona senza immaginazione». Si tratta di una massima probabilmente condivisibile, ma in alcuni casi viene da dire, continuando con le citazioni, che «ogni limite ha una pazienza». Perché nel caso di film come Law Abiding Citizen, ad un certo punto della storia viene da chiedersi cos'altro le brillanti menti degli sceneggiatori siano state in grado di inventarsi, in un preoccupante climax di follia machiavellica ed iper-tecnologica. Due individui discutibili uccidono brutalmente moglie e figlia di un apparentemente pacioso average-man americano (mr. This is Sparta! Gerald Butler). La cinica giustizia (incarnata dal procuratore Jamie Foxx), più attenta alle statistiche che al giudizio morale, concede ad uno dei delinquenti una pena ridotta in cambio di una certa condanna (a morte) per l’altro. Il pacioso uomo medio ovviamente non la prende bene, e trascorre i successivi dieci anni ideando un piano diabolico e complessissimo da mettere in scena teatralmente, in modo da poter rendere nota al mondo intero la sua posizione riguardo il sistema penale americano.
Il filone dei film sulla vendetta privata fa indubbiamente parte della storia del cinema d’azione moderno ed è per questo assolutamente rispettabile e degno di considerazione, così come lo sono le pellicole thriller, gli splatter e tutte le altre che tentano di rinverdire i fasti del Grand guignol; il problema nasce però quando un discreto regista di videoclip (F. Gary Gray, segnalatosi in precedenza per il remake di The Italian Job) decide insieme ai suoi incoscienti sceneggiatori di mettere in scena un potpourri che comprenda tutti i generi elencati in precedenza, assortiti in ordine sparso e senza alcun criterio logico. Così, pur volendo lasciar stare la succitata “verosimiglianza”, ciò che resta della storia diventa confuso, con gli attori a fare da marionette (o meglio da pupazzi, considerata la fissità preoccupante che caratterizza le espressioni del protagonista) in un improbabile teatrino dell’assurdo. La storia inizia infatti come una promettente ed originale nuova edizione del “giustiziere della notte”, ma si trasforma ben presto (ed incomprensibilmente) in un violento thriller psico-tecnologico nel quale la vittima diventa carnefice. Si viene così a conoscenza che il personaggio interpretato da Butler oltre ad essere un patito del fai-da-te è anche una sorta di contractor del ministero della difesa americano (!), in grado di uccidere oscuri personaggi nei modi più originali; sembra esserci insomma una traumatica collisione tra due film che non hanno nulla in comune se non il nome dei protagonisti. Paradossalmente, proprio in virtù del fatto che la narrazione è rappresentata semplicemente da uno sconclusionato continuum di sequenze d’azione, il film riesce lo stesso a catturare con efficacia l’attenzione dello spettatore; ognuno dei difetti quindi si trasforma quasi in un pregio e molte delle scelte grossolane degli sceneggiatori (clamorose soprattutto nella parte finale) finiscono col passare inosservate. Chiassoso.