Gli abatini del malgoverno

Creato il 11 agosto 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nella canicola agostana si affaccia sgangherato e minaccioso un nuovo sponsor, peraltro non inaspettato, del governo Letta.  E’  il Bortolussi della Cgia di Mstre, che si è sempre tenuto in equilibrio in quelle geografie opache del sindacalismo territoriale tra Lega e Pd e che ora lancia il suo avvertimento, nemmeno tanto trasversale: se il governo  dovesse cadere, per gli italiani arriverebbe un aumento di 7 miliardi di euro di tasse,  calcolando il pagamento dell’Imu sulla prima casa, finora solo rinviato dal governo, l’aumento dell’Iva, spostato per ora da luglio a ottobre, e l’introduzione della Tares, la nuova tassa sui rifiuti, anche questa finora soltanto rimandata. Infatti, lo hanno ripreso meccanicamente, come dei vecchi registratori, tutti i quotidiani,  se il governo, già in precario equilibrio, non dovesse tenere, tutte queste tasse e imposte scatterebbero automaticamente, con un aggravio per le famiglie compreso tra i 149 e i 388 euro.

Faceva prima a dirci che la vera salvezza degli italiani sarebbe un monocolore Berlusconi, l’autentico paladino della sospensione dell’Imu almeno finché non cambiasse nome,  non si mutasse in altro balzello di poveri facilmente ingannabili, non si trasformasse in altra punizione contrabbandata per necessità irrinunciabile.

E faceva ancora prima a dirci che è obbligatorio tenersi un pessimo governo piuttosto che provare con uno nuovo, che la governabilità, sempre cercata come il Santo Graal, mica deve significare buon governo, è sufficiente che garantisca la continuità, quella con compagini che come dei chirurghi perversi minacciano di toglierci ambedue e reni e ci fanno contento levandocene uno solo. Oppure con governi che ci rimbambiscono di magnifiche promesse, che non mantengono, realizzando invece le più fosche minacce. O quelli che risplendono di superba accidia, nullismo e bullismo, agitandosi come topi impazziti durante in naufragio senza trovare la via d’uscita e ingannandosi e ingannandoci con kit di provvedimenti estemporanei, tenuti insieme con spilli che ci infilzano come insetti, tra femminicidi  narrati e non perseguiti, emergenze che si chiamano Tav, una “pace” a suon di F35 scamuffi, una Expo in favore del brand mafioso.

Da più di trent’anni in Italia corruzione e malaffare  si combinano indissolubilmente, lungo il  processo seguito alla dissoluzione delle due grandi ideologie, quella democristiana e quella comunista, nel quale hanno prosperato tutte le possibili forme di uso aberrante della politica: dall’affarismo personalistico democristiano all’avventura  di Bettino Craxi e dei suoi famigli e  sodali, i veri   iniziatori del  neo basso Impero nel quale viviamo, fino all’irruzione di  Silvio Berlusconi, a organizzare sotto forma aziendale con quel mix di  forza finanziaria, potenza  mediatica e  carisma personale  l’uso  della politica ai fini del potere personale e di copertura delle proprie innominabili patologie psichiche e deformità morali.

Ma ci sono anche altre forme diffuse di corruzione, endemiche e epidemiche, che intridono la società, quella di chi – commentatori, osservatori, manutengoli, economisti più o meno improvvisati, Machiavelli de noantri in perenne ammirazione dell’ultimo principe anche il più cialtrone, inetto o sciagurato – sostiene e nutre quel sistema di governo basato su alleanze opache tra poteri, più o meno oscuri, sul mito leggendario e salvifico delle privatizzazioni, sulla perversa imposizione della rinuncia a diritti e garanzie in nome del bisogno, sullo smantellamento dell’edificio costituzionali che li tutelava, sulla cancellazione del lavoro come valore, sulla cessione di sovranità.

Ma c’è anche quella “popolare”, di chi  nella latitanza di una politica alternativa “buona”, delega, si affida, non prospera ma sopravvive all’ombra   di una politica corrotta (sul molteplici piani) e affaristica. Così che quella ha alimentato una  nazione infetta,  la stessa che  manifesta  il suo ampio consenso, e persino la sua gratitudine, alla slealtà, al malgoverno, alla condanna della democrazia.

È a quella che si rivolge il condannato in via definitiva per frode fiscale, con il suo appello alla piazza e alla volontà popolare, e con le sue manovre   eversive contro la separazione dei poteri e contro lo Stato di diritto, cioè contro il nostro assetto istituzionale. Ma è ancora a quella che si rivolgono i Bortoluzzi, gli osservatori e gli informatori ben protetto sotto l’ala di una impunità che non riguarda solo i reati, i crimini fiscali o amministrative, le fosche alleanze con malavita e buoni affari, ma anche le colpe di omissione, le correità oscene, la manomissione della realtà e della verità, il tradimento ai danni dell’interesse generale.


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