Gli adolescenti italiani bevono di meno e cominciano più tardi, ma sono scarsamente avvertiti dalle loro famiglie dei rischi che il bere comporta. Il dato emerge dall’indagine presentata oggi dall’OPGA (Osservatorio Permanente Giovani e Alcool), presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Pavia, in occasione di un seminario.
(news.fidelityhouse.eu)
Gli adolescenti italiani bevono di meno ed iniziano con l’alcol più tardi. La SIMA (Società italiana di medicina dell’adolescenza) che ha condotto l’indagine, mette in evidenza che il 16,6% dei giovani intervistati non ha mai provato una bevanda alcolica, con una diminuzione di 7,2 punti percentuale dal 2012. Inoltre il primo assaggio di una bevenda alcolica viene ritardato: per il 37,8% dei ragazzi avviene dopo i 10 anni (-3,8% rispetto al 2012). Il contesto relazionale del primo assaggio permane conviviale e guidato da figure familiari nel 76% dei casi (soprattutto genitoriali). Solo l’11% fa la prima esperienza in sola presenza dei coetanei.
I primi consumi avvengono in prevalenza ai pasti (39,8%) ed in concomitanza con circostanze speciali, feste (11,6%) o celebrazioni (28,7%). Le sensazioni del primo assaggio rinviano a niente di particolare per il 47,3% dei rispondenti, mentre la sensazione di un evento gradevole è alla pari con la sensazione sgradevole (26,5% e 24,6% rispettivamente). Scende il numero dei giovanissimi che si ubriacano: dal 6,8% del 2012 al 4,8%.
Tuttavia, afferma la ricerca “l’argomento del consumo/abuso di alcol non sembra particolarmente presente nelle discussioni familiari“: solo il 16,6% delle famiglie (una su sei) parla frequentemente con i figli dei problemi legati all’eccessivo consumo di alcol. La grande maggioranza dei genitori lo fa raramente e in modo occasionale (52,9%) e vi è anche una quota cospicua di genitori (28,9%) che non ha mai affrontato la questione. Perchè i giovani bevono? Le risposte più gettonate sono da una parte “adeguarsi al gruppo” dei pari (46,8% contro il 45,1% del 2012), dall’altra per “divertirsi” (43,3% contro il 59% del 2012). Non una via di fuga, quindi, per la gran parte o di “isolamento”, ma una sorta di rito di appartenenza. Emerge anche la dimensione esistenziale il 37,9% sostiene, infatti, che il consumo si giustifica per “dimenticare i problemi”. (AGI)