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Gli affari del dopo-Silvio. Per la Compagnie delle Opere una iattura.

Creato il 08 dicembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Gli affari del dopo-Silvio. Per la Compagnie delle Opere una iattura.Il nostro primo contatto con i ciellini è avvenuto un secolo fa. Studenti universitari un po’ radical chic, militanti di AO, ci imbattemmo nella macchina da guerra di quelli targati CL. Impressionante fu la loro mobilitazione per le elezioni degli organi collegiali tanto che, nella Urbino degli anni ’70, rimediammo una legnata senza precedenti. Proprio come militari in guerra, i nostri colleghi scendevano dagli autobus e quasi in fila indiana andavano a votare i loro rappresentanti. Gli “anziani” ci dissero che i nuclei universitari del Pci si comportavano allo stesso modo e che, in fondo, la differenza era la croce da una parte e la falce e martello dall’altra cosa che noi, un po’ così, non prendemmo sul serio. Purtroppo. Già da allora però capimmo che CL non era solo la creatura di don Giussani, una sorta di braccio armato secolare, ma un vero e proprio sistema di potere, una specie di succursale dell’Opus Dei nel quale la religiosità assumeva anche i contorni della “clientela” con alla base un’idea malsana di “solidarietà” di gruppo, per cui se eri dei loro molte porte si aprivano, auspice un miracolo molto terreno. Sono passati più di trent’anni e nel frattempo gli allora ragazzi di CL sono cresciuti, sono diventati importanti, hanno occupato e occupano posti di rilievo dovunque, nei consigli di amministrazione delle grandi società, nelle banche, nel partito di Silvio, nel mondo della stampa e dell’editoria, nelle partecipate e perfino all’interno della stessa Chiesa. Per cui se nella loro terra natia per eccellenza, la Lombardia, avvengono fatti come quelli che la magistratura sta scoprendo in questi giorni, la nostra meraviglia e il nostro senso di stupore non subiscono il benché minimo sussulto. Il fatto. Franco Nicoli Cristiani, il barbuto vicepresidente del consiglio regionale lombardo, assurto alle cronache perché voleva passare per le armi i giornalisti che infastidivano Nicole Minetti, viene arrestato con l’accusa di corruzione. A casa gli investigatori gli trovano 100mila euro che, uno dice, saranno una tangente. Macché, le banconote sono solo un acconto. “Ohibò – esclamano i magistrati – e che diavolo c’è sotto?” Sotto c’è un gruppo molto affiatato di imprenditori e di affaristi tout-court che si sbattono affinché il loro faro, il re del riciclo e della monnezza, Pierluca Locatelli, riesca ad avere “cazzi nostri cash”, il denaro dalla Compagnie delle Opere per finanziare le sue attività. Ma non solo. Insieme a Nicoli Cristiani vengono arrestate altre dieci persone. L’obiettivo di tutta l’operazione è la realizzazione dell’impianto per il riciclo dell’amianto a Cappella Cantone in provincia di Mantova e i mezzi per arrivarci li potremmo definire bizzarri anche perché, ovviamente intercettati al telefono, alcuni di questi mischiano il senso religioso a quello molto più prosaico del “cazzi nostri cash”. Su due di loro, che sono poi quelli che hanno portato alla scoperta di tutto l’affare, i magistrati mirano la loro attenzione. Sono Andrea David Oltrati, titolare della Terraverde Srl, una società di consulenza ambientale che lavora per la Locatelli Spa e Luigi Brambilla, vicepresidente della Compagnia delle Opere di Bergamo oltre che procuratore della Custodia srl, società finita sotto inchiesta per truffa ai danni della UE. Prendiamo paro paro da Repubblica il testo della telefonata che i due si fanno il 20 maggio 2011 per chiudere l’affare legato alla discarica d’amianto, da una parte taroccando le analisi ambientali, dall’altra contattando gli assessori regionali Marcello Raimondi e Gianni Rossoni, entrambi del Pdl. Dice Brambilla a Oldrati: “Ti ricordi cosa c’è scritto del ‘Senso Religioso’ di don Giussani? Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore”. “Esatto – risponde Oldrati molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. Figa, è così, il caro vecchio don Gius c’ha ragione. Eh!”. Non andiamo oltre. Potremmo parlare di tutte le pressioni che gli amici di Locatelli hanno messo in opera per raggiungere i loro obiettivi, di tutte le mazzette elargite “cazzi nostri cash” a politici e a funzionari della Regione simbolo della Padania, ma quello che ci ha colpito in tutta questa sporca storia è lo stridente uso della parola “figa” usata come interiezione. È come se Oldrati avesse detto: “Ho pensato a te mio Signore e anche a te, Olgettina” (difficilissimo indovinello cinematografico).PS. Roberto Formigoni ha detto: “Io non mi dimetto”. Ma dai!

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