Ma gli agricoltori non sono operai e il movimento dei forconi non è un sindacato.
Così la rivoluzione sperata viene ridimensionata dal disinteresse generale. Siamo abituati alla (sacrosanta) solidarietà agli operai, all’intervento dei ministri nelle vertenze dei lavoratori dei poli industriali italiani, alle manifestazione degli studenti fianco a fianco con la Fiom o la Cgil, alla società civile che si indigna contro Marchionne e che sostiene i tassisti. Ai giornali e alle tv che seguono le mobilitazioni davanti ai cancelli delle fabbriche.
Ma gli agricoltori non sono operai, quindi niente solidarietà. Non ci siamo proprio abituati. Gli studenti universitari che ricordano (giustamente) di manifestare solidarietà agli operai di Torino dimenticano di salire sul camion con gli agricoltori siciliani. Dai vertici dei partiti, dai governi nazionale e regionale, nessun comunicato sebbene lo sciopero fosse stato abbondantemente annunciato. I sindacati poi, ci sono agricoltori che giurano di non averne mai sentito parlare. Le televisioni, se non quelle locali, non mandano le loro troupe per raccontare quello che succede, e i giornali nemmeno si sognano una diretta twitter per seguire le mosse del Moviemento dei forconi. Anche qui, le testate locali sono utili eccezioni.
Sono soli gli agricoltori, ma ci sono. La sorte ha voluto che stamattina piovesse sul loro capo. Però ci sono. A Gela hanno bloccato la città insieme ai lavoratori della raffineria, ad Avola sono riusciti a convincere i commercianti a chiudere le attività commerciali mentre gli studenti delle scuole li hanno seguiti nei diversi presidi. Gli studenti di Rosolini, invece, hanno scelto l’occupazione come forma di protesta. A Palermo, hanno bloccato il porto e la A 19, code e rallentamenti si verificano in tutte le principali autostrade siciliane. Nel catanese difficoltà per la viabilità ad Acireale, San Gregorio e Giarre. Presidi si contano in quasi tutti i comuni dell’isola.
Chi protesta dice di non volersi fermare, creeranno disagi e se ne scusano, ma vogliono andare avanti. C’è tempo quindi per recuperare, per esprimere solidarietà e accendere qualche riflettore su una parte dell’economia siciliana che occupa oltre un milione di persone.
C’è tempo per dire che se le proteste dei tassisti sono legittime dovevano esserlo anche quelle degli allevatori che hanno prima acquistato a caro prezzo le quote latte e poi hanno saputo che dal 2015 verranno abolite. O per scoprire che le grandi distribuzioni impongono i prezzi dell’ortofrutta, senza che esista un vero mercato che permetta alle aziende di guadagnare e quindi lavorare. Ci dovrebbe essere spazio per raccontare che mentre gli agricoltori siciliani fanno i conti con disciplinari di produzioni molto rigidi, le industrie importano prodotti senza che il consumatore possa conoscerne il luogo di produzione e le tecniche.
Molte sarebbero le cose da dire sul comparto agricolo siciliano. Anche le pecche, come i contributi a pioggia che non generano efficienza o i problemi del trasporto su gomma spesso nelle mani della criminalità organizzata.
Al di là della retorica, che molto spesso avvolge questa protesta, ci sono problemi concreti, risolvibili se solo venissero presi in considerazione. Un primo passo sarebbe un servizio del Tg in meno sulla stagione sciistica che parte con quindici giorni di ritardo e uno in più sugli agricoltori che da quindici anni sono in affanno.
Bisognerebbe affrontare i problemi per il bene di tutti, dell’economia dell’isola in primis e poi dell’Italia intera. Perché gli agricoltori non saranno operai ma i cancelli rischiano di chiudersi anche per loro. Non sono i cancelli delle grandi fabbriche italiane ma quelli di tante piccole aziende che non riescono più ad andare avanti. E questa non è retorica.