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"Non conosci mai il risultato prima di giocare": Richie McCaw comincia così il suo semestre bianco, un periodo sabbatico progettato a lunga scadenza, il 2015, commentando il risultato di Twickenham: 38-21 per l'Inghilterra che pone fine all'imbattibilità della Nuova Zelanda nel sabato che poteva segnare o meno al conquista del regno da parte degli All Blacks. Ma i ragazzi di Stuart Lancaster si radunano a coorte, tengono ritmo e pressione per quasi tutti gli ottanta minuti - quasi perché ci sono cinque minuti che farebbero supporre il contrario - e ottengono un risultato ormai definito storico. Nel migliore dei modi, emozionante: la fuga, l'avversario che si rifà sotto, lo scatto per allungare nuovamente e definitivamente. E se alle latitudini di Christchurch o Auckland non sapevano chi fosse Owen Farrell, adesso un'idea almeno minima se la sono fatta: l'apertura marca diciassette punti e dalla piazzola + un drop fissa il 15-0 che compare sul tabellone di Londra al 43'.
Match che non si schioda fino al 25', con i padroni di casa che puntano al possesso, gli ospiti che gestiscono e non accelerano, mentre qualche protagonista prova a mettersi in mostra, come l'ala Mike Brown che dribbla Cory Jane oppure Israel Dagg che non si fa mai trovare fuori posizione sui calci in profondità di Ben Youngs dalla base: il fratello del mediano, Tom, lancia sicuro in rimessa e macina metri quando va a contatto. Dan Carter tenta di scuotere con un cross kick indirizzato a Jane perfettamente raccolto dall'ala, ma l'arbitro George Clancy ferma tutto per un fuorigioco dell'ala. Tony Woodcock bussa nei 22 da un offload di Ma'a Nonu, ma nei raggruppamenti è giornata di grandi scontri e la trasmissione al largo degli ABs non è delle migliori, tanto che nell'occasione Brown per poco non parte in contropiede. Nel confronto diretto in ruck spuntano il caschetto di Tom Wood e la faccia del giovane Joe Launchbury, mentre il capitano Chris Robshaw è il primo a salire non appena ha inizio un'altra fase. Kieran Read si infila in una maul avversaria e la sradica da solo, mentre il pilone Alex Corbisiero manda Carter alla piazzola per rompere le scatole ad Aaron Smith che passa la palla, ma da buona posizione il numero 10 All Black non trova i pali. Allora Conrad Smith fugge via alla presa di Farrell e alimenta l'inerzia dei suoi, ma la trincea inglese regge.
Regge eccome, in qualche istante rifiatando forzatamente, ma gli ABs non passano e allora i padroni di casa passano alla fase 2: attacco. Geoff Parling porta a terra l'ovale da un lancio nei 22 neozelandesi, si forma la maul, Clancy assegna il turnover, si fa un giro in mischia e il calcio di A. Smith viene stoppato da Wood. La touche è ancora inglese per un tocco involontario di Dagg e stavolta è Ben Morgan a partire e ritrovarsi sulla linea dei 5 metri, arriva il vantaggio arbitrale, l'azione prosegue al largo con l'inserimento dell'estremo Alex Goode se serve Chris Ashton che pasticcia nell'angolo. Si torna indietro e Farrell apre finalmente le marcature. Carter replica in negativo alla mezz'ora, Farrell non sbaglia e completa al meglio il lavoro di Launchbury e Wood che braccano Dagg costringendolo ad un tenuto. Il pubblico apprezza e sostiene, l'Inghilterra non smarrisce l'abbrivio e se c'è bisogno di andare oltre il break, bastano tre punti, quelli che sempre Farrell infila con un drop al 38': maul, quindi dialogano Manu Tuilagi e Goode, andando oltre la linea del vantaggio, c'è un altro vantaggio nell'aria e a quel punto Farrell è libero di tentare la conclusione e firma il 9-0. Sta per arrivare l'intervallo con il volto perplesso di Steve Hansen, ma manca un altro tassello, l'ultimo penalty della prima frazione a tempo ormai scaduto.
12-0, nemmeno i più screditati dei bookmakers avrebbero potuto predirlo e invece è realtà e questa diventa ancora più solida quando Farrell marca per il 15-0 al 43' dopo che la mischia neozelandese cede dal lato di Owen Franks. La rimessa funziona, il piede come visto pure, la mischia fa il suo mestiere, l'Inghilterra dispone di possibilità alle quali aggrapparsi. Gli ABs forse si arrabbiano o semplicemente realizzano che si rischia grosso e accelerano per la prima volta in modo deciso e concreto e optano per lo scontro fisico con gli avanti, prima di affidarsi ai terminali, Jane o Julian Savea che marca nell'angolo al 48' (con il beneplacito del TMO Giulio De Santis) assistito da Dagg e con un'abile movimento del corpo per evitare il placcaggio di due avversari a pochi centimetri della linea laterale. Carter trasforma, la distanza si riduce e diventa minima al 51'. Non passano per i pali, decidono di calciare in touche dopo essersi infilati nuovamente nei 22, fanno il compito nel migliore dei modi e spediscono in fondo Read sull'altro lato del campo e Carter confeziona il -1.
Nota bene: la rimessa arriva dall'errore nella strategia al piede dei padroni di casa che non riescono a guadagnare spazio con Goode, consentendo agli ABs di non diminuire d'inerzia.
Pare un'altra storia, non è così. E' un'altra ancora, con la faccia allegra di Tuilagi che mette lo zampino (?) in ciò che accade nei minuti successivi, quando si decide effettivamente l'incontro. Dal +15 al meno uno e ritorno, con Farrell che passa a Brad Barritt al largo, il centro serve Tuilagi che resiste all'urto del placcatore, ma rischia di finire fuori dal campo e allora ricicla all'interno per lo stesso Barritt che marca. Farrell non converte un calcio cruciale, but the best is yet to come. Tuilagi fugge via a Carter in mezzo al campo, C. Smith sale con il timing sbagliato e il ragazzone serve Ashton che finalmente può librarsi nell'aria e festeggiare una meta. E tanto che ci siamo, stavolta è il trequarti di Leicester che intercetta un passaggio di Read e corre sorvegliato da Brown in meta. Dal 53' al 61', è 32-14 per l'Inghilterra.
Il resto viene da sé, con i primi punti in carriera internazionale di Freddie Burns, chiamato in corsa in gruppo e che quasi si regala l'emozione di marcare meta con un calcetto alto dalla linea dei 5 metri con l'Inghilterra sempre in fase offensiva. Gli ABs o non ne hanno più oppure si ritrovano a fare i conti con una dura sconfitta dopo un anno rugbistico senza macchia - eccetto un pareggio con i Wallabies prima di salire al Nord - e la seconda Coppa del Mondo in bacheca e una superiorità a tratti disarmante nei confronti dell'avversario di turno. Savea fa doppietta con gli inglesi in 14 per il giallo a Mako Vunipola, mentre altre due occasioni vengono gettate alle ortiche sulla fase di rifinitura, prima con Sam Whitelock, poi con Victor Vito, azioni che abbinano skills eccezionali alla stanchezza di fine stagione. Mentre Carter cede il posto ad Aaron Cruden.
Tutto era cominciato con la Kapa O Pango - gli annali dicono che con questa danza la Nuova Zelanda non aveva mai perso - zittita dal coro Swing Low Sweet Chariot del pubblico casalingo - e con la morosa di capitan Robshaw che cantava l'inno neozelandese. Ecco, a loro due belle giovani (la bionda per gli ospiti, la mora per i padroni di casa), a noi Katia Ricciarelli, ma è altra faccenda. Il tutto è proseguito con quel piglio britannico di ritrovarsi in luogo segreto, sorseggiando il tè della cinque e predisponendo il piano di guerra per respingere l'invasione. Attacco e contrattacco, asfissia nelle fasi di contesa, scontro fisico accettato e restituito al mittente (nella fase iniziale di gara gli inglesi placcano il doppio dei neozelandesi).
Mission accomplished.
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