Gli allevamenti intensivi sono sorti negli anni cinquanta/sessanta negli Stati Uniti e si sono ispirati al modello ideato negli anni trenta da Henry Ford con la “catena di montaggio” per la costruzione delle automobili. La differenza tra animali e prodotti industriali è così scomparsa e il perseguimento dei benefici economici sui costi pagati dagli animali è diventato prassi. Nei capannoni degli allevamenti possono venir rinchiusi anche 100.000 bovini, stipati in spazi estremamente angusti dove essi possono solo mangiare in continuazione per aumentare il loro peso e produrre “carne da reddito”. In questi ambienti manca l’aria, la luce del sole e la lettiera è costituita da deiezioni mai rimosse . Infine nei macelli gli animali “assemblati” montano su nastri trasportatori per venir uccisi con ordine e rapidità meccanica: la morte è forse l’unica salvezza dal tipo di vita fino ad allora vissuta.[1]
Nei primi allevamenti intensivi e secondo quanto riferito in rete[2], i vitelli tolti alle madri dopo 3 o 4 giorni di vita, venivano rinchiusi in box larghi 40 cm e lunghi un metro e mezzo, avevano una catena al collo per impedire qualsiasi movimento ed essa veniva tolta solo quando erano cresciuti tanto da occupare tutto lo spazio loro consentito. Non mangiavano mai paglia o fieno (in grado di rovinare il colorito roseo delle carni) bensì budini iperproteici che causavano un’inestinguibile arsura dato che l’acqua era loro assolutamente negata per indurli a ipernutrirsi; erano sottoposti a continui trattamenti antibiotici perché, per lo stress acuto indotto da queste condizioni di vita, erano immuno-deficienti e si ammalavano. Dopo tredici-quindici settimane erano portati al macello.
Oggigiorno sembra che almeno in Europa una “serie di regolamenti comunitari in materia di animal welfare (91/629 CEE e 97/2/EC)[3] abbia migliorato l’allevamento dei vitelli a carne. Le modifiche introdotte a partire dal 31/12/2003 riguardano essenzialmente: (A) l’eliminazione delle gabbie singole a favore di box di gruppo, e della costrizione alla catena con maggiori spazi di movimento, (B) la “distribuzione del latte con il secchio”, (C) la “somministrazione di alimenti solidi in aggiunta alla dieta lattea” e di “acqua di bevanda”, (D) la “relazione tra animale e operatore di stalla, la pulizia dei vitelli e la pavimentazione delle stalle.[4] Il decreto legislativo 7/7/2011, n. 126, in vigore dal 4 agosto 2011, perfeziona tutte queste modifiche, impone controlli e ispezioni e sancisce con pene pecuniarie i trasgressori. Ovviamente gli allevatori sono “avversi” a questi cambiamenti per le maggiori spese che devono sostenere per creare nuove strutture, impiegare maggiore manodopera e soprattutto detenere meno animali.
L’elenco degli allevamenti per maiali, cavalli, ovini potrebbe continuare ma qui si passa all’allevamento intensivo di polli per estendere il panorama ai non mammiferi. In un allevamento intensivo possono essere presenti anche decine di migliaia di individui tenuti al buio e senza finestre. Hanno a disposizione spazi che corrispondono a un foglio di dimensioni A4 per animale (ovvero circa 17 o 22 polli per metro quadrato). Le lettiere non vengono cambiate e si impregnano di ammoniaca degli escrementi provocando infiammazioni cutanee ai polli. La mancanza di spazio provoca “dolorose deformazioni delle zampe, a volte anche paralisi; non potendo spostarsi fino alle mangiatoie alcuni muoiono di fame e di sete. Altri muoiono a cause di problemi cardiaci. L’abbattimento avviene in 38-40 giorni dalla nascita, ovvero appena raggiunto il peso conveniente. Le condizioni di questi allevamenti producono intossicazioni alimentari dovute a batteri quali la salmonellosi e infezioni da Campylobacter; anche malattie come l’influenza aviaria sono dovute a questi sistemi intensivi di avicoltura.[5]
La descrizione potrebbe continuare con altri esempi e con il riferimento delle condizioni di trasporto ai macelli in camion sovraccarichi e con viaggi senza soste per risparmiare su tutti i costi medi variabili possibili. Anche sui costi sociali degli allevamenti intensivi, altamente inquinanti aria e acqua, molto sarebbe da scrivere. Di certo su tutti questi nefandi costi s’incrementano i benefici dei proprietari degli allevamenti intensivi.
(estratto dalle pp. 32-37 di Anna Pellanda, Dalla venerazione religiosa allo sfruttamento economico, in Noi e i diversi: gli animali, Atti del convegno, Università degli Studi di Padova, 12-2-2014, Padova University Press: 2014, pp. 11-43).
[1] Foer, J.S., Se niente importa. Perché mangiamo gli animali, Parma: Guanda, 2009.
[2] www.disinformazione.it, pagina alimentazione
[3] Cozzi, G. – Gottardo, F., “Il nuovo sistema di allevamento del vitello a carne bianca” in Atti della Società Italiana di Buiatria, vol. 37, 2005, p. 441.
[4] Ivi, pp. 441-54.
[5] http://www.ciwf.it/animali/polli-da-carne//allevamento-intensivo