Gli altri nomi della "crisi"
E se fosse un’opportunità? Non dico: se la crisi fosse “anche” un’opportunità, perché questa interpretazione sembra quasi ovvia, per molti. No, dico invece: se la crisi fosse semplicemente e “nient’altro” che una opportunità? Certo, qui dovrebbero venirci in aiuto i cultori della classicità. Loro dovrebbero accompagnarci alle radici della nostra storia umana. Loro potrebbero guidarci verso le origini del nostro linguaggio e del nostro “sentire”; verso i primi vagiti delle parole che oggi usiamo in modo meccanico e inconsapevole. Potrebbero accompagnarci, per esempio, verso l’inizio del percorso linguistico e concettuale che ha generato la nostra parola “crisi”. Potrebbero aiutarci a immaginare cosa avevano in mente gli uomini che hanno cominciato a descrivere una loro particolare esperienza con il concetto di “crisi”. La nostra parola “crisi” è apparsa nel XIV secolo, in ambito medico, per significare qualcosa (la salute) che sta andando peggio, da cui il significato prevalente, attuale, di “crisi” come fase “difficile” e forse rovinosa. Ma il termine “crisi” deriva da “crisis”, prestito latino di origine greca. Il termine corrispondente greco è krìsis (scelta, separazione, giudizio, decisione), derivato dal verbo krinein (che significa: distinguere, scegliere, giudicare), da cui anche i termini kritiké (critica) e kriterion (criterio). E se risaliamo ancora più indietro troviamo le radici indoeuropee delle parole e il sanscrito che sembra associno al termine “crisi” l’idea di “tagliare”. Insomma mi pare che quelle antiche comunità umane che hanno introdotto per la prima volta il concetto di “crisi” e la parola corrispondente, avessero un atteggiamento diverso da quello che abbiamo, di solito, di fronte a ciò che chiamiamo “crisi”. Oggi la crisi sembra quasi una entità sovrumana, una specie di “fato”, che irrompe nella nostra tranquilla vita con tutto il suo fragore, distruggendola, e che occorre solo accettare. Per loro invece il senso di quella parola era determinato dall’esperienza di trovarsi piuttosto di fronte a ciò che potremmo chiamare un problema, e un problema è solo qualcosa che smonta le nostre aspettative, a volte in negativo, ma anche in positivo.. Un problema è ciò che deve essere risolto o superato. E la crisi consiste proprio in questo “passaggio”. Crisi designava, per quei nostri “saggi” antenati, qualcosa che c’era prima e che ha fatto il suo tempo, come succede in tanti momenti e situazioni della nostra vita. Nei quali abbiamo la consapevolezza che è giunto il momento di “tagliare”, di scegliere. La crisi, per loro, era perciò piuttosto un “compito”. Ma forse la vita, tutta la nostra vita, è qualcosa di diverso da una “crisi” continua? Da un decidere e da uno scegliere cosa fare? Da una continua trasformazione? Da un continuo “passaggio”? Forse qualcuno può immaginare un momento della vita in cui non occorra a volte tagliare, e comunque sempre distinguere, discriminare, discernere, scegliere e decidere cosa sia conveniente fare per passare a una nuova fase della vita, non necessariamente peggiore? Beh, forse questi momenti (ma non è così per tutti i momenti della nostra vita, sia che riguardino i nostri piccoli o grandi interessi, o i nostri progetti, o le nostre relazioni, o le nostre organizzazioni, ecc.?) ci richiedono talvolta una “metanoia” (un cambiamento di mentalità) come dicevano i greci. O forse richiedono l’audacia di “buttare all’aria tutto, una volta tanto”, come scriveva un Descartes in cerca di altri fondamenti per la sua esistenza, in un secolo di grandi trasformazioni. Forse chiederanno solo di rompere e abbandonare convenzioni e abitudini. Forse ci inviteranno a costruirci nuovi “spazi” personali, per conquistare o ricostruire la “propria vita”. Forse ci spingeranno alla ricerca e all’esplorazione dei nostri abissi, come fossimo investigatori che non cessano di pedinarsi e compilare resoconti. Forse ci costringeranno a perderci nella molteplicità ed estraneità che caratterizza a volte la nostra vita personale. Forse ci indurranno soltanto a chiuderci la porta alle spalle e rifugiarci finalmente in quella “stanza”soltanto nostra, di cui, secondo Virginia Wolf, occorre disporre se vogliamo riuscire a scrivere il romanzo della nostra vita….o delle nostre vite! Ma possiamo immaginare e desiderare una vita “altra” da quell’irrinunciabile viaggio verso una “nostra” Itaca, durante il quale succedono molte cose quasi mai prevedibili, che spesso privano molti anche della possibilità di confessare a qualcuno la propria stanchezza?