In aumento gli anglicismi nella nostra lingua: dal 1990 al 2003 gli anglicismi introdotti nella nostra lingua sono stati 1.400 e siamo in sostanziale crescita, 1.400 corrisponde al un terzo di quelli entrati nella storia dell’italiano. Ciò significa che la situazione è cambiata in modo radicale, anche perché in Italia non esiste un organo preposto al controllo della lingua, come in Francia e in Spagna, per cui, diversamente dal periodo fascista, gli esotismi hanno le frontiere aperte. Va comunque sottolineato che non tutti gli esotismi entrati vengono normalmente adottati nella lingua di fatto. Se gli esotismi non adattati sono circa il 4% dei lemmi registrati, la loro effettiva presenza nei testi è significativamente più bassa, come si desume dalla consultazione del Lessico dell’italiano parlato, in cui l’esoterismo statisticamente principe è okay, seguono bar e sport, mentre gli altri sono minimante usati.
La stragrande maggioranza degli anglicismi è afferente al vocabolario informatico a fronte di un assai basso livello di conoscenza delle lingue straniere, che, come ammoniva quel genio di Leopardi, sono fondamentali per un uso raffinato della lingua nativa. Sicché sballottati tra ignoranza degli idiomi stranieri e quella della propria lingua – denuncia il linguista Tullio de Mauro – il 90% delle persone sa usare l’italiano nel parlato, ma due terzi ha serie difficoltà nel leggere e scrivere e metà di questi è a rischio analfabetismo. Questi dati mi sembrano più preoccupanti di qualche esoterismo di troppo.
Stiamo perdendo il contatto con la nostre basi culturali, si sta verificando quanto preconizzato dal Leopardi: un linguaggio tecnico e povero si sta sostituendo al nostro ricchissimo patrimonio lessicale e non c’è nessuno in grado di ridare alla parola quella dimensione “vaga e indefinita” che solo il recanatese ha saputo ricreare. Il linguaggio parlato si sostituisce vistosamente a quello scritto e il congiuntivo diventa uno sconosciuto ospite della nostra lingua. Non si tratta quindi dunque di azzardare la fondazione di un organo preposto al controllo degli esoterismi, che, secondo Tullio de Mauro, non sono il vero problema, ma di ripotenziare il Liceo classico che solo può ridare alla lingua italiana il posto che le compete.L’italiano è infatti la quinta lingua più studiata nel mondo ed è una delle più ricche con i suoi 250.000 lemmi, gran parte dei quali di derivazione latina e greca. La conoscenza però di queste lingua è a rischio esaurimento se si pensa che la stessa facoltà di lettere classiche incontra serie difficoltà a far tradurre gli iscritti e opta spesso per testi in italiano, che già di per sé, come accennavo, creano problemi.
Sempre più di frequente laureandi presentano tesi costellate di errori/orrori linguistico-sintattici e pochi, davvero troppo pochi, sono in grado di affrontare con la dovuta acribia critica una tesi di laurea. Parlo per esperienza anche personale, oltre che con il supporto di statistiche alla mano. Originariamente la nostra lingua era altamente poetica, poche parole con ampio spettro di significati, con dilatazione del semantema, poi siamo passati ad una lingua ricca di lemmi , ma tendente al tecnicismo, siamo pervenuti ad una lingua usata in modo povero e arido, non più in grado di commuovere, laddove la scuola sta perdendo la sua funzione educativa di movère gli animi verso l’apprendimento ed è diventata una fabbrica di sufficienze che accontentino l’utenza, i cui genitori sono in maggioranza preoccupati della promozione fine a se stessa.Dove è finita la scuola di don Milani, per cui promuovere equivale a motivare e a far avanzare di livello culturale? La situazione in cui versa la scuola è penosa, di seguito l’università, il rischio dell’analfabetismo è alto, presso i nostri stessi politici, che notoriamente errano le citazioni, come Renzi che ultimamente ha mal citato il “carpe diem” oraziano fraintendendo, come ammonisce, Eva Cantarella, totalmente il senso. L’una tantum che significa una volta soltanto viene mediamente inteso per “ una volta tanto” e un politico l’ha modificato in “una pocum” (ho detto tutto!).
A fronte di tutto quanto osservato, non mi pare che la presenza di anglicismi pari al 4% di lemmi sia il dato preoccupante, quello che inquieta davvero è la mancanza di controllo sulla nostra lingua che sta impoverendo: si riduce il numero di neologismi e il dinamismo culturale è in netto ribasso, mentre cresce dismisura il rischio ormai realtà di un dilagante analfabetismo, in cui tutti scrivono (male!) e pochi leggono. In Meridione solo il 47 % si dichiara lettore di un libro l’anno, mentre, specie sui social network, molti si improvvisano poeti. Effetto del nichilismo strisciante dei nostri tempi.