Secondo un’antica tradizione, le fave rappresentavano un mezzo di comunicazione diretto tra l’Ade e il mondo dei vivi ed erano considerate in grado di trasferire negli esseri viventi le anime dei morti.
Fiore della fava (immagine 1)
Probabilmente ciò era dovuto all’insolito colore, bianco maculato di nero, del loro fiore (immagine a sinistra): il nero è un colore molto raro tra i vegetali e questo conferiva al fiore un’aura di mistero; inoltre sembra che la disposizione delle macchie nere sulle ali del fiore, ricordi la lettera θ (theta), iniziale della parola θάνατος (thanatos) che significa morte. Per questi motivi le fave erano presenti nelle cerimonie funebri in Grecia, in Egitto, e a Roma.
La farina di fave era utilizzata per preparare la puls, una sorta di polenta, antenata del pane, ottenuta da una miscela di farine, soprattutto di fave, miglio e farro; con i ceci, invece, in Siria, Libano, Egitto e Grecia, si preparava l’hummus, una crema ricca di proteine, sali minerali e fibre, le cui eccezionali proprietà nutritive erano già note fin dall’antichità.
Tra i legumi erano conosciute anche le lenticchie e le cicerchie, originarie della Mesopotamia, e i piselli, coltivati in Asia centrale fin dal Neolitico.
E i fagioli? Quelli che mangiamo noi oggi sono quasi tutti di origine americana, giunti in Europa fra il XV e il XVI secolo.
Fagiolo indiano nero (immagine 2)Fagiolo indiano verde (immagine 3)Fagiolo dall’occhio (immagine 4)
Nell’antichità i fagioli conosciuti erano solo quelli del genere “vigna”, una leguminosa molto simile al “phaseolus vulgaris”, ma molto più difficile da coltivare e con una resa pari alla metà. Al genere “vigna” appartengono ad esempio il fagiolo indiano nero (immagine 2), il fagiolo indiano verde (immagine 3) e il fagiolo dòlico, detto anche fagiolo dall’occhio (immagine 4), originario dell’Africa sub sahariana, l’unico presente nell’alimentazione degli Etruschi e degli altri popoli italici.
Il fagiolo zolfino, invece, oggi il più nobile e ricercato tra i legumi, ha origini molto recenti ed è coltivato, esclusivamente in Valdarno, da circa quattrocento anni.