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Gli attentatori di Boston, perché lo hanno fatto?

Creato il 23 aprile 2013 da Eastjournal @EaSTJournal


di Matteo Zola

Maratona Boston Attentato

Molto si è scritto, frettolosamente, sull’attentato di Boston realizzato da due giovani di nazionalità cecena. Il fondamentalismo, il terrorismo internazionale, il razzismo, l’ideologia politica persino Al-Qaeda: ma non per questo hanno agito Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev. Nulla di quanto fin qui raccolto in merito alla vita dei due giovani, di venti e diciannove anni, lascia supporre che abbiano sofferto di discriminazioni razziste e che quindi abbiano agito per vendetta. Anzi loro, e la loro famiglia, sono stati accolti negli Stati Uniti piuttosto facilmente: dopo un visto turistico, le autorità americane hanno accordato loro la residenza e la cittadinanza anche a causa della provenienza: quella Cecenia martoriata dalla guerra di Putin.

Proprio contro la Russia, e non contro gli Stati Uniti, opera il terrorismo ceceno. Le ragioni politiche qui non c’entrano. Le cause vanno forse cercate nell’estremismo, per così dire, “di pensiero” che predica l’odio e la vendetta. Qui bisogna capire quanto la cultura e l’universo simbolico dei due fratelli sia stato influenzato dal radicalismo islamico. Sappiamo che almeno uno dei due, Tamerlan, è un musulmano osservante sposato con una cittadina americana di razza bianca convertita all’Islam. Ma non può certo bastare a motivare la costruzione di un universo morale e valoriale orientato all’odio soprattutto perché i due fratelli non hanno motivo di odiare essendo stati accolti bene, come si è visto, e facilmente integrati. Inoltre non risulta che siano venuti mai a contatto con ambienti del terrorismo islamico.

Gli Stati Uniti, poi, non accordano la cittadinanza al primo che passa: malgrado le facili retoriche sulla “terra dell’opportunità” l’accesso agli Stati Uniti è sempre più fortemente regolato specie dal 2001, l’anno dell’attentato alle Torri gemelle. Se la famiglia Tsarnav fosse stata in odore di islamismo sarebbe stata rispedita in cecenia con il primo volo.

E allora perché? Un movente forse emergerà dagli interrogatori e dalle indagini. Forse non emergerà: crimini senza movente non sono una novità. Non si dica però che è pazzia. Troppo facile: l’assenza di un motivo, nella vita come nella morte, è forse il risultato di un modello sociale che, prima negli Stati Uniti, oggi in Europa, va diffondendosi. Cesare Pavese, nel capolavoro La luna e i falò, scriveva: “Adesso sapevo perché ogni tanto sulle strade [degli Stati Uniti, ndr] si trovava una ragazza strangolata in un’automobile, o dentro una stanza o in fondo a un vicolo. Che anche loro, questa gente, avesse voglia di buttarsi sull’erba, di andare d’accordo coi rospi, di esser padrona di un pezzo di terra quant’è lunga una donna, e dormirci davvero, senza paura? Eppure il paese era grande, ce n’era per tutti. C’erano donne, c’era terra, c’era denari. Ma nessuno ne aveva abbastanza. [...] Non era un paese che uno potesse rassegnarsi, posare la testa e dire agli altri: «Per male che vada mi conoscete. Per male che vada lasciatemi vivere». Era questo che faceva paura. Neanche tra loro non si conoscevano. Veniva il giorno che uno per toccare qualcosa, per farsi conoscere, strozzava una donna, le sparava nel sonno, le rompeva la testa con una chiave inglese”. O metteva una bomba alla maratona di Boston.

 


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