Gli Dei di Pegana di Lord Dunsany: Alle origini del Pantheon Lovecraftiano
Da Alessandro Manzetti
@amanzetti
"Nel gennaio del 1896 la morte di mia nonna gettò la casa in un'atmosfera cupa, dalla quale non uscì mai più. Le vesti nere di mia madre e delle mie zie mi riuscivano paurose e ripugnanti...Fu allora che la mia vivacità naturale si spense. Cominciai ad avere gli incubi più odiosi, popolati di cose che chiamai Night Gaunts (Magri Notturni), con un'espressione inventata da me. I Night Gaunts erano cose nere, magre, rugose, con doce lunghe e pelose, ali di pipistrello, e nessuna traccia di un volto...Non avevano voce, e la loro unica forma di vera tortura era l'abitudine di solleticarmi lo stomaco prima di afferrarmi e portarmi via con loro...In sogno, mi trascinavano nello spazio a velocità paurosa, e mi tormentavano e trafiggevano con i loro detestabili tridenti (...) Ancora oggi, quando sono mezzo addormentato e mi capita di lasciarmi andare all'onda dei ricordi d'infanzia, sento un brivido di paura, e istintivamente lotto per tenermi sveglio. Questa era la mia sola preghiera, ogni notte: restare sveglio, e lontano dai Night Gaunts!" (H.P. Lovecraft - lettere)
Già nell'infanzia Lovecraft, a partire dai suoi Magri Notturni, rifiuta in qualche modo il suo mondo, rifugiandosi nella sfera della fantasia, razionalizzando col tempo il suo immaginario e i suoi incubi, creando mondi dove contenerli. Potremmo parlare di una sorta di originale terapia; le emozioni stesse e le pulsioni di Lovecraft, tramite le sue opere, si trasformeranno e sublimeranno in un "altrove" popolato da antiche creature e divinità, che esorcizzeranno i suoi incubi e frustrazioni. Andando ben oltre i facili stereotipi sull'autore, Lovecraft nei suoi racconti non materializza i suoi sogni (cosa che accade forse in due occasioni in tutta la sua produzione letteraria) ma se stesso e i suoi pensieri a un livello ben più elevato: è la sua angoscia la vera ispirazione, non immagini sfocate e deliri onirici.
H.P. Lovecraft by Juan Osborne
Questa angoscia disegna nel tempo il pantheon lovecraftiano; i pensieri si dividono e caratterizzandosi assumono arcane sembianze: Shub -Niggurath riesce a sublimare la sessualità repressa del'autore, sempre vissuta con grande disagio e tormento, Chtulhu non è altro che la frustrazione dell'autore, che non riesce ad affermarsi nella vita. Un sentimento che riposa negli abissi, pronto a prendersi il mondo, una volta per tutte. Come il grande Chtulhu. Nella sua epoca Lovecraft non conobbe certo il successo che immaginiamo, i suoi racconti furono pubblicati con compensi risibili (molte volte non fu nemmeno pagato) su riviste amatoriali stampate male, i suoi racconti completamente storpiati dagli editori per andare incontro al gusto (?) dei propri lettori. Anche parlando delle pubblicazioni "professionali" di Lovecraft, come quele sui magazines Amazing Stories e Weird Tales, non si trattava certo di riviste prestigiose o "mitiche" come noi oggi le percepiamo. Tutt'altro. La voce di Lovecraft era ben lontana da quella stampata su questi magazines, ancora oggi è possibile osservare le correzioni a mano dell'autore sulle sue pubblicazioni per Weird Tales. Frustrazione. Importante comprendere i sentimenti dell'autore per saggiare i materiali con cui ha costruito i suoi mondi immaginari e inaccessibili. Il pantheon lovecraftiano è lo specchio più fedele dell'autore, della sua intimità. Nyarlatothep rappresenta in questo senso il veicolo, l'irrazionale che prende il timone della vita di Lovecraft, il Caos Strisciante che imperversa nel destino dei suoi mondi, ma anche della sua vita e della sua solitudine. L'incoscio diviene la casa dei pensieri più profondi, ben più grande della sua piccola realtà fisica di Providence. Davanti al grande specchio dove Lovecraft è immerso e riflesso, nasce l'affermazione di un sè in una realtà parallela: sono queste le cellule di Yog Sothoth, paradosso dell'integrità del nostro Io, e Azatoth, il dio cieco perso nel suo infinito.
Artwork by Steve Somers
Ma se queste sono le tracce "umane" che portano Lovecraft verso il sentiero dell'irrazionale, ben poco oniriche ma saldate nella realtà, nell'esistenza dell'autore, come nasce l'idea di un proprio pantheon personale? Come ci racconta in più occasioni l'autore stesso (diffusamente nel saggio L'Orrore Soprannaturale in Letteratura e in lettere a Clark Ashton Smith), l'ispirazione nasce dalle opere di Edward John Moreton Drax Plunkett, XVIII barone Dunsany (1878 -1957), in particolare dal libro The Gods of Pegana (1905) dal quale molti studiosi ritengono che Lovecraft abbia trovato l'ispirazione per creare il suo Azathoth e i suoi mondi arcani. In The Gods of Pegana Lord Dunsany evoca Mana-Yood-Sushai, il dio supremo che ha creato l'universo e tutti gli altri dei. Mana-Yood-Sushai è descritto nell'opera come eternamente addormentato, cullato dalla musica delle altre divinità, poiché se si dovesse svegliare distruggerebbe tutto ciò che ha creato. Le similitudini con l'Azathoth lovecraftiano, oltre le riflessioni di molti studiosi, sono piuttosto evidenti per tutti, almeno per chi ha letto The Gods of Pegana. Il testo di quest'opera è a disposizione di tutti, scaricabile gratuitamente in Rete in vari formati. Il Dio sognante MANA-YOOD-SUSHAI di Lord Dunsany, creatore e ciclico distruttore del mondo, è la porta che si apre sull'idea del terrore cosmico che Lovecraft farà incarnare da Cthulhu. Dal velo onirico-esotico che caratterizza The Gods of Pegana Lovecraft trasferirà il terrore, con tutto il suo arcano pantheon, in un contesto più "realistico".
Lord Dunsany
The Gods of Pegana è una raccolta di brevi racconti che descrivono ciascuno degli dèi (e il racconto della creazione stessa) entità che si evolvono e mutano nei racconti dei profeti e dei re, tramite le loro oscure interazioni. Lord Dunsany costruisce parabole e miti nel suo mondo immaginario di Pegana, partorisce la creazione di un mondo diverso dal nostro, caratterizzato da una propria geografia; un bestiario fantastico, in cui compaiono creature mitologiche insieme ad esseri del tutto inventati; un pantheon immaginario composto da dèi assai poco imparentati con quelli terrestri. Questa è l'idea di base che Lovecraft farà propria per la costruzione del suo pantheon cosmico. In Gods of Pegana tutto ha inizio in un tempo fuori dal tempo, una non-genesi che parte da Mana-Yood-Sushai che a sua volta crea altri dei, tra i quali Skarl the Drummer, che col suono del suo tamburo veglia in eterno il sonno di Mana-Yood-Sushai. Quando il grande dio si addormenta, gli dèi minori creano i mondi, e per Lord Dunsany l'onirico gioco ha inizio, dove l'uomo diventa una pedina. Dunsany immagina molti altri dèi, come Kib, il portatore della vita in tutti i mondi, Sish, il distruttore delle Ore, Mung, Signore di tutte le morti, Limpang-Tung, il Dio della Gioia, Dorozhand, il Dio del Destino. Altri dèi minori saranno aggiunti nel secondo libro di Lord Dunsany, Time and the Gods (1906). Ma The Gods of Pegana è popolato anche da profeti umani, figure potenti nelle loro comunità grazie alla loro interazione e influenza sugli dei. Si assiste alla nascita di splendide città dalla mente degli dei, alla comparsa del mare, un universo fantastico nel quale l'uomo va alla ricerca dei suoi intimi segreti.
Artwork by Steve Somers
Ma le differenze tra il pantheon lovecraftiano e l'impostazione di Lord Dunsany e della sua Pegana sono molte, nonostante gli evidenti parallelismi di struttura. Gli dèi lovecraftiani, figli dell'angoscia dell'autore, minacciano di tornare sulla terra a danno dell'umanità, mentre gli dèi dunsaniani sono lontani, indifferenti verso l'uomo, rispecchiando un modello gnostico caratteristico della visione religiosa (forse definibile come vero e proprio ateismo) di Lord Dunsany. Per lui l'uomo diventa sempre più scollegato dal mondo naturale, se non dannoso per lo stesso, e non può che rischiare l'estinzione che merita. L'opera di Lord Dunsany, che non manca di ironia, si colloca in quel filone visionario-grottesco inaugurato dal Vathek (1786) di Beckford. La visione onirica a fantastica dell'autore è ben sintetizzata dalla sue parole: "Non scrivo mai di cose che ho visto - cento altri lo possono fare - ma solo di cose che ho sognato". Se Lovecraft usa il suo pantheon per evocare un profondo orrore, Lord Dunsany si lascia andare a momenti di bellezza malinconica, a una metafisica ironia, e diviene chiaro come il vissuto dei due autori si manifesti nelle loro opere, con tutte le differenze, caratteristiche e contraddizioni.
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