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Gli Dei e i Mondi: aspetti ciclici della teogonia mesopotamica
Creato il 09 ottobre 2013 da DariosumerLa situazione non ci pare sia cambiata sino a tutt'oggi. Il Kramer ne ha studiato la mitologia, altri studiosi come il Rinaldi hanno preso in considerazione solo la letteratura religiosa; rispetto a questo quadro frammentario si è differenziato soltanto il Jean (La religion sumérienne, Parigi 1931), che tuttavia ha sfruttato nella propria analisi soprattutto i testi storico-amministrativi, sfiorando solamente quelli letterario-religiosi e mitologici. Un'esposizione rapida ne ha dato anche il Jacobsen nel Vol. I dell' Enciclopedia Britannica , in cui viene espresso il punto di vista dei varî settori ed ambienti della regione mesopotamica.
Non essendo possibile ricostruire l'ambiente religioso dal vivo, trattandosi di una religione ormai scomparsa, si è trattato per gli studiosi moderni di pigliare in esame testi di provenienza archeologica: 1) di carattere sacrale (Inni agli Dei, scritti magici); 2) epico (Epopea di Gilgamesh, di Enmèrkar e di Lugalbànda); 3) sapienziale; 4) votivo; 5) lamentativo (dovuti a distruzioni urbane o calamitose); 6) epigrafico, in genere iscrizioni pre-sargoniche (Stele degli Avvoltoî, Coni di Entemena, scritti di Urukàgina, iscrizioni di Utuhegal); 7) formule di datazione (rifacentisi ad avveni-menti religiosi).
Si può immaginare che la popolazione sumerica avesse in comune fin dall'epoca della sua costituzione un pantheon formato da tre divinità principali, com'è avvenuto presso altre sacre tradizioni euro- asiatiche: fra Greci, Latini, Celti, Traci, Persiani ed Indiani, tanto per fare degli esempi.
Delle tre deità la prima e più importante era senza dubbio il dio supremo An. Cfr. con i corrispettivi I-n-us e Our-an-ós rispettivamente nella tradizione latina ed in quella greca, nonché con l' Y-m-irnorrenico, lo Y-am-al Var-un-a indiano e lo Y-im-al A-hur-a persiano. Ed, ancora, col palestinese Y-ame l'ebraico Y-ahw-eh .
Le analogie filologiche fra il nome primigenio del Dio Padre dei Sumeri e quello altrettanto vetusto del Signore delle Origini presso i Latini sono state postulate dal Semerano in un testo mirante a ricercare le parentele religiose nell'ambito del mondo eurasiatico, attraverso una comparazione etimologica fra il lessico europeo e quello sumerico e semitico.
Del resto altri autori hanno segnalato le affinità mitologiche e linguistiche tra An/ Anu ed Ouranós.intendendo entrambe le figure in qualità di Signori dell'Ordine Cosmico, in senso primevo. L'uno e l'altro sono infatti capostipiti delle ‘Generazioni' divine rispettive, in altre parole – per usare il linguaggio di Eliade – degli dei ôtiôsi.
Le altre due divinità, alle quali sopra accennavamo, sono En-lil ed En-ki/ Ea , per i quali è possibile rinvenire parimenti delle corrispondenze con la mitologia greco-latina ed indo-iranica. Si vedano i nomi di Crono e di Zeus fra i Greci e quelli di Saturno e di Giove fra i Latini; senza dubbio loro omologhi, nonostante certe reticenze in proposito da parte di alcuni studiosi.
In ambiente hindu abbiamo divinità analoghe sotto i nomi, rispettivamente, di Rudra-Çiva e di Vishnue susseguenti al ciclo – od ai cicli, tenendo presente lo schema quinario – di Yama e Varuna.
Attraverso una comparazione dell'area geografica mesopotamica con l'area geografica di lingua indoeuropea delle regioni adiacenti, ad est come ad ovest, è possibile dedurre che anche le sacre tradizioni sumero-accadiche – così come più tardi quelle assiro-babilonesi – concepiscano la natura del pantheon divino nei termini di una serie di divinità legate l'una all'altra attraverso un rapporto d'identità nella molteplicità ed insieme di figliolanza simbolica.
Non abbiamo alcuna ragione, infatti, per dire che trattavasi di una religione politeistica. Anzi è molto facile che il paese di Sumer concepisse le proprie deità al modo dell'India, secondo una visione cioè enoteistica; tanto per citare una nota espressione storico-religiosa applicata solitamente al mondo paleo- indiano ed adattarla, ci si permetta, ad un mondo a questo visibilmente apparentato. In siffatta visione è probabile che ciascun dio, così com'è avvenuto pressappoco anche fra gl'Indoeuropei, avesse una propria funzionalità cosmica in rapporto ad un determinato simbolo.
I popoli della Mesopotamia dovettero conoscere sin dai tempi preistorici la simbologia astrale, poiché essa appare già visibile ed in forma persino elaborata nelle stesse civiltà pre-sumeriche del VI e del V mill. a.C.; vedi le Culture di Tell Hassuna e Samarra nel centro della pianura mesopotamica, tra i villaggî, ovvero la Cultura di Tell Halaf al nord e di 'Obeid al sud.
D'altronde, non meno che nella mitologia greco-latina od in quella indo-iranica, nella mitologia sumerica il tema cosmologico di fondo è la concezione ciclica del Tempo; nel senso di una decadenza progressiva da un'età considerata paradisiaca, come attesta ilPoema di Enmerkar e il signore di Aratta .
In tale poema si fa menzione di un illud tempus in cui “non vi erano serpenti, né scorpioni”. Non vi era né paura né terrore e l'uomo non conosceva allora rivali. Era quello il tempo in cui“ l'Universo intero, i popoli all'unisono rendevano omaggio ad En-lil (il Saturno-Crono sumerico) in una sola lingua”. Non è difficile a tal proposito rifarsi all'Età Aurea cantata da Esiodo e celebrata da Platone, da Ovidio e da Virgilio.
Anche nella Genesi (xi. 1-9) si afferma d'altra parte che prima dell'avvento del gigante Nimrod (da confrontare col Nimurta assiro-babilonese), costruttore della Torre di Babele (ossia – fuor di metafora – delle prime civiltà protostoriche mesopotamiche), i popoli della terra parlassero un unico linguaggio.
Nella mitologia indiana, parallelamente al motivo prettamente camito-semitico della confusione delle lingue (vale a dire dell'individuazione delle culture nazionali – o meglio regionali – dopo il sorgere dei primi stati territoriali, con la conseguente dispersione dei simboli rispetto all'originaria unitarietà di tutte le tradizioni, secondo quanto ci provano archeologicamente i dati relativi all'epoca mesolitica e tardo-paleolitica), ricorre il tema tipicamente ario della confusione delle Caste. Il tema è messo in relazione col principiare dell'odiata Età del Ferro (il cd. Kaliyuga, secondo la denominazione locale). La primigenia unità culturale sottintende, tanto in Mesopotamia come altrove, sia una primeva conformità razziale sia il culto di un'unica Divinità.
Se è vero dunque che tutti un tempo adoravano En-lil , cioè Crono (il Signore del Tempo), ecco spiegato tautologicamente il favore particolare goduto presso gli antichi dalla conoscenza dei fenomeni e dei moti astrali, donde dipendono il calendario e gl'influssi cosmici. A questo proposito l'ammirazione nutrita nell'Antichità per i cd. ‘Caldei' è troppo nota per dover essere citata.
Vi è d'altronde chi si è rifatto direttamente alla Mesopotamia per spiegare la diffusione dei miti astrali, fatto che avrebbe condotto in tempi storici alla formulazione di dottrine quali lo Zurvanismo in Iran, il Klavda in India e la filosofia ionica del perpetuo Divenire in Grecia; da Eraclito a tutti i discepoli e gli oppositori del celebre filososo di Efeso, fino a Platone e gli Stoici.
Una visione tanto unilaterale è eccessiva. Tuttavia non possono essere negati dei contatti reciproci a livello speculativo, derivanti certamente da un fondo preistorico comune di carattere shamanico ed assai diffuso territorialmente, dall'Europa all'Asia.
Nel quadro delle influenze vicendevoli rientrano le idee fatalistiche del mondo anatolico e di quello arabo preislamico, i culti egizio-ellenistici di Aiôn e di Bes dalle Quattro Ali, figure queste entrambe equiparabili a Krónos.
Che la Mesopotamia abbia comunque svolto nell'intero ambiente vicino e medio orientale un ruolo di preminenza è indubbio. Basterà ricordare l'immensa influenza accreditata nel mondo greco-romano alle speculazioni astrali delle Babylôniaká di Berosso, sacerdote di Bêl-Enlil, alias El-Krónos secondo la denominazione di Filone (corrispondenti rispettivamente ad Apollo-Crono ed Elio-Crono).
Va notato inoltre che in India, a differenza che in Grecia, non è mai stata concepita una netta opposizione tra il principio dell'Essere e quello del Divenire; ed è così, probabilmente, che deve essere avvenuto parimenti nella Mesopotamia arcaica.
Oltre all'unitarietà delle tradizioni e delle fedi, il testo succitato dell'eroe Enmerkar accenna all'esistenza primordiale di un solo linguaggio umano, che potremmo definire in termini biblici la ‘lingua di Adamo'; tale asserzione trova conferma nell'arte paleolitica di tutti i continenti, rispondente a canoni e schemi raffigurativi assolutamente universali.
Come già rilevato, le leggende bibliche sui tempi pre-diluviani tracciano un quadro del tutto consimile.
Nella parte di testo successiva, quel che resta è così frammentario che non è possibile dedurre quale fu l'effetto dell'avvento di En-ki sugli uomini; ma il Kramer giustamente e coerentemente suggerisce che forse il nuovo dio – come avviene presso altre mitologie similari – abbia suscitato tra gli umani i primi conflitti, determinando la perdita della pace originaria. La storia biblica di Caino e Abele docet al riguardo.
Forse, suggerisce ancora il Kramer, è attribuita ivi ad En-ki la malvagia paternità degli atti che hanno condotto l'umanità alla confusione delle lingue (cfr. i vv. 10-2).
Come sottolinea il Kramer, vi è una differenza tuttavia fra i miti ebraici e quelli sumeri, differenza che da parte nostra sintetizzeremmo a questa maniera: i primi scorgono eticamente nelle vicende umane – dalle origini in poi – il prodotto di una decadenza provocata da una punizione divina; mentre i secondi teorizzano meno moralisticamente che il divenire della storia è in realtà un processo di decadenza cosmica provocato da conflitti e gelosie celesti od, in altre parole, da evenienze divine provvidenziali alle quali non è possibile sottrarsi da parte dell'umanità.
Per un verso troviamo così il susseguirsi di ‘Generazioni umane' sempre più orgogliose e prepotenti, per un altro il susseguirsi di ‘Generazioni divine' con analoghi caratteri.
Ma non è detto che gli stessi temi non possano trovarsi amalgamati, come avviene in Grecia, tanto in Esiodo quanto in Platone; od in India, ove vi un esatto parallelo tra le une e le altre.
La fine dell'Età Aurea è dunque concepita da parte dei Sumeri – fa ancora notare il Kramer – quale maleficio attuato dal dio En-ki, ciò collegandosi allegoricamente con la vicenda raccontata nel testo, in cui si tramanda che Enmerkar, signore di Uruk (sull'Eufrate), avendo deciso d'imporre la propria sovranità alla città iranica di Aratta, aveva inviato un nunzio al signore della città nemica (della quale invidiava la ricchezza) per spingerlo a consegnare oro, argento, lapislazzuli ed altre pietre preziose. Nonché a costruire l' Abzu, un tempio dedicato ad En-ki ; altrimenti, la città iranica sarebbe stata messa a ferro e a fuoco.
Quanto ci attestano i miti è inequivocabile e non può essere manipolato a nostro uso e consumo. Tanto più che anche il Poema della Creazione accadico narra di tempi primordiali, nei quali agli Dei non erano ancora stati assegnati dei nomi e neppure era stato fissato il loro shimtu; vale a dire la loro funzione, il loro compito divino.
Veniamo ora ad un'analisi delle singole figure divine di quella che erroneamente è stata definita una “Triade cosmica”. Mentre più propriamente dovrebbe essere considerata una rappresentazione triforme (scr. Trimûrti) della Divinità. Infatti, non essendovi alcuna figura femminile in essa che possa essere considerata – unitamente ad un termine maschile opponentesi alla stessa – una Diade, tanto meno la medesima rappresentazione potrebbe essere ritenuta una Triade; dato che è formata da tre elementi di natura maschile. Piuttosto dovremmo cercare una comparazione fra questa terna divina simbolica e quella indiana corrispondente, formata da Brahmâ-Visnu-Çiva. Si potrebbe obiettare che in questo caso la terna divina è rappresentata da tre figure le quali costituiscono in realtà una triplice allegoria del Principio metafisico da cui dipendono rispettivamente gli effetti cosmologici della Manifestazione, Preservazione e Trasformazione degli esseri senzienti e di tutto quanto l'Universo. Mentre nel caso delle tre deità sumere un'analoga relazione con i concetti indicati non è affatto provata; anzi, proprio quanto sopra riportato a proposito di En-lil , parrebbe a prima vista dimostrare il contrario di ciò che stiamo ora argomentando. Ma il problema vero, quando si pongono delle comparazioni di tal genere, è quello di collocare nell'esatto rapporto i termini del confronto; senza equivocare le rispettive funzioni, creando astratti e falsi parallelismi, sui quali eventualmente costruire delle false analogie sostanziali laddove non ne esistano affatto. Tuttavia è possibile anche l'atteggiamento opposto, cioè quello istintivo di difendere il proprio territorio di ricerca quasi come un inviolabile “territorio di caccia...”, ponendo delle differenze laddove esistano eventualmente delle analogie facilmente rilevabili.
Applicando dunque codesto principio alla nostra questione ne dedurremo necessariamente che, come accade pure per le tre figure indiane citate, la potenza creativa non è una prerogativa esclusiva di una singola divinità. Esattamente come Brahmâ, Çiva e Visnu sono nel contempo degli dèi creatori, sebbene la loro azione creativa si svolga in fasi e modalità differenti l'una dall'altra, alla stessa stregua in Mesopotamia Anu, En-lil ed En-ki ci appaiono quali dèi creatori in circostanze diverse, al fine di adempiere alla manifestazione dei molteplici aspetti dell'esistenza.
Così, abbiamo appena visto, En-lil secondo il racconto di Enmerkar ha determinato dapprima la pace; mentre En-ki ha, in seguito, generato i conflitti umani (se il senso del frammento mancante corrisponde all'interpretazione del Kramer, del resto assai logica a nostro avviso). Nel testo suddetto non si parla di Anu, ma sappiamo da altri scritti – vedi certi miti cosmogonici in traduzione assira, ma originale sumero – che Anu (il cui nome sempre precede nelle citazioni quello di coloro che nel contesto indicato sono definiti ‘Grandi Dei', cosa che potremmo interpretare da parte nostra quale riferimento ai capostipiti delle varie ‘Generazioni' divine) ha per primo edificato il Cielo, provando con ciò che il rapporto tra il suddetto nume ed En-lil è simile a quello tra Iânus eSâturnus (o l'omologo Cà elus , erroneamente considerato un dio del mondo tardoantico) nell'ambito della tradizione latina ovvero tra Brahmâ e Çiva all'interno della tradizione hindu.
Abbiamo cercato di dimostrare in un nostro studio che la natura di dio sacrificatore e civilizzatore propria di Sâturnus (denominato altresì Saviturnus), per quanto questi sia stato assunto a rappresentante dell'Età Aurea al pari di Krónos in Grecia e Kâla o Savitar in India, non può in alcun modo essere connessa con quanto viceversa viene ubiquitariamente attribuito alla stessa Età Aurea (pace sociale, anzi stato di sovrannatura e quindi di precivilizzazione, mancanza di qualsivoglia culto o sacrificio).
Per cui, sebbene pure Giano abbia subito un similare processo d'identificazione con Saturno (ma in senso inverso, cioè sostanzialmente una demonizzazione), in realtà le due figure andrebbero tenute distinte da un punto di vista antropologico e storico-religioso; attribuendo, più correttamente, il ciclo aureo a Giano e quello argenteo a Saturno.
La medesima cosa vale, rispettivamente, per Brahmâ e Çiva in India.
Se è vera l'analogia da noi supposta tra i due numi latini citati, le due deità indiane correlate e le due corrispondenti sumere, ne ricaveremo che la Creazione attuata da Anu ha preceduto quella ad opera di En-lil .
In altre parole Anu ha creato il Cielo, che possiamo intendere quale alter-ego in senso temporale di En-lil .
Si noterà del resto che il lat. Cà elus come omologo di Saturno (vide suprâ) rappresenta un concetto meno arcaico del gr. Ouranós, sinonimo dell'Ordine Cosmico primevo; ovvero equivale all'Artefice (Demiurgo) o Legislatore che dir si voglia, il quale presiede alla separazione degli enti universali, determinando la prima forma di Dualità.
E guardacaso è proprio ad En-lil che è attribuito, in alcuni versi, il possesso primordiale della ‘Tavola dei Destini'; per quanto in seguito gli sia stata sottratta da Zû, il mitico uccello, parallelo mesopotamico senza dubbio del Garuda indiano (veicolo nell'iconografia talora di Indra, talora diVishnu).
Tale Uccello potrebbe egualmente essere paragonato all'Aquila di Zeùs o di Iuppiter, che svolge difatti una funzione del tutto analoga.
Se noi arguiamo che fra En-ki e Zû vi possa esistere un nesso consimile a quello tra le parallele divinità indoeuropee sunnominate, sarà possibile tracciare un quadro generazionale nella successione vicendevole dei numi assai significativo.
Ovverosia, una volta avvenuta la Creazione del Mondo in quanto ‘Spazio cosmico' da parte di Anu, ecco che En-lil ne piglia possesso in veste di ‘Dio del Tempo' e ‘Signore del Destino'.
Successivamente En-ki od Ea, il Dio delle Acque (che in quanto tale è molto affine ad Indra, a Zeùs e a Iuppiter), subentra ad En-lil detronizzandolo come fa Zeus con Crono; in ciò si mostra analogo ad un dio pluviale, tenuto conto che le Piogge emblematizzano le influenze celesti. Da intendere come il flusso di Manifestazione cosmica di un Dio Creatore recente.
Il parallelismo tra queste ‘Tre Generazioni' di Dei della tradizione mesopotamica e le corrispettive ‘Generazioni' divine greco-romane, hittite ed indo-iraniche è troppo evidente e non può essere in alcun modo sottovalutato. Tanto più che fattori ciclici non dissimili ricorrono persino nella tradizione egizia ed in quella giudaico-cristiana.
E d'altra parte esso è già stato messo in luce in passato da numerosi studiosi, benché a nostro parere non ne siano state tratte le debite conseguenze in termini di cosmografia generale.(fonte:http://www.atopon.it)
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