Il Carnevale diede la possibilità, a tutti, di celare completamente la propria identità sotto un costume e ciò portò inevitabilmente a qualche eccesso. Sfruttando i travestimenti, qualche malintenzionato ne approfittò per escogitare e compiere una serie di malefatte, più o meno gravi.
Per questo motivo le autorità dovettero introdurre a più riprese e per decreto delle limitazioni, dei divieti e delle pesantissime sanzioni contro l’abuso e l’utilizzo fraudolento o non ortodosso dei travestimenti.
In effetti, soprattutto durante le ore notturne, indossando un travestimento e con la complicità del buio, era più facile commettere reati di varia natura, come scippi, ruberie e molestie, senza la minima possibilità di essere riconosciuti. Già a partire dal 22 febbraio 1339 si decreta quindi il divieto notturno di circolare in maschera per la città.
Un altro abuso che si rese piuttosto comune riguardava la possibilità degli uomini, travestiti da donne o con indosso abiti religiosi, di approfittare delle loro mentite spoglie per entrare nei luoghi sacri, nelle chiese e nei monasteri, per compiere atti indecenti e libertini anche con le religiose. Con un apposito decreto del 24 gennaio 1458 si proibisce perciò l’ingresso in maschera nei luoghi sacri, al fine di evitare che fossero compiute multas inhonestates.
Un pericolo per la pubblica sicurezza poteva derivare dalla possibilità degli ampi mantelli come i tabarri, molto diffusi ed utilizzati in abbinamento a varie maschere, di poter nascondere facilmente armi e oggetti pericolosi, con l’intento di offendere. Vi furono pertanto numerosi atti ufficiali che stabilirono e ribadirono di continuo il divieto assoluto di portare con sé qualunque oggetto di natura pericolosa per l’incolumità altrui. Le pene per questi reati erano molto pesanti, sia pecuniarie, con sanzioni salate, che di reclusione, con la comminazione di diversi anni di galera.
La professione di prostituta fu da sempre contrastata e allo stesso tempo tollerata all’interno della Repubblica, talvolta addirittura incentivata e richiesta da molti veneziani e stranieri, ma considerata sempre fonte di perdizione e malcostume, nonché origine di pericolose malattie come la sifilide. Per questi motivi le meretrici dovevano sottostare a numerose limitazioni, rigidamente imposte. Anche le prostitute, però, potevano facilmente confondersi con le maschere ed esercitare la loro professione aggirando i limiti stabiliti. Si arrivò quindi a regolamentare ulteriormente la materia e a stabilire il divieto della prostituzione in maschera, con pene piuttosto severe: oltre ad una multa salata, erano bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica, dopo essere state sottoposte, lungo il tragitto da Piazza San Marco a Rialto, al supplizio delle frustate e messe alla berlina tra le due colonne della Piazzetta.
Con la diffusione delle case da gioco si registrarono episodi in cui alcuni giocatori d’azzardo, in maschera, sfruttavano l’anonimato per sfuggire ai creditori. Nel 1703 fu quindi totalmente proibito di recarsi in maschera presso questi luoghi.
Più tardi, nel 1776, venne invece proibito alle donne sposate di recarsi a teatro senza maschera, al fine di proteggerne l’onorabilità.
Dopo la caduta della Serenissima, avvenuta nel 1797, si arrivò infine alla proibizione definitiva dei mascheramenti, ad eccezione di quelli durante le feste private nei palazzi e del Ballo della Cavalchina al Teatro la Fenice. Come conseguenza, iniziò velocemente una fase di declino dello spirito che aveva animato per secoli questo storico Carnevale e le manifestazioni e feste si spensero gradualmente.