Il Sudan nell'edizione 2015 di Expo, l'esposizione universale andata in scena a Milano, era tra i pochi, pochissimi, paesi africani ad avere un padiglione tutto suo. Un paese agricolo con una forte tradizione alimentare fin dai tempi dell'antico Regno di Meroe, una realtà che ha svolto e svolge un ruolo chiave nella produzione di cibo nell'area regionale alla quale appartiene e di cui è senza dubbio l'espressione più vitale. Non a caso è ritenuto, e si autodefinisce, la "culla del Nilo", una terra dalle grandi potenzialità agricole e di sicurezza alimentare.
Se l'importanza del settore agricolo nell'economia del Sudan è certificata dalla relativa percentuale del PIL interno, ben il 35%, e dalla forza lavoro impegnata in agricoltura, oltre il 70%, appare sempre più evidente che le aspirazioni del governo, guidato dall'ex generale Omar Hassan al Bashir, spazino dal business economico a quello commerciale. Nonostante sicurezza e stabilità non siano ancora condizioni acquisite sia dall'Europa che dall'Oriente, si guarda al paese africano come a una grande opportunità di cooperazione in cambio di risorse minerarie e di affari.
Che la situazione sia cambiata rispetto agli anni delle sanzioni più dure e dei conflitti tra governo e ribelli che hanno infiammato l'intera nazione, caratterizzati da crimini di guerra e crimini contro l'umanità perpetrati da entrambi i fronti e che hanno portato all'emissione di un mandato di arresto della Corte penale internazionale per il capo di Stato in carica, lo testimonia la recente relazione di Idriss Jazairy, inviato speciale del Segretario Generale Ban Ki-moon, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L'esperto Onu ha chiesto un alleggerimento delle misure restrittive unilaterali che gli Stati Uniti hanno imposto a Khartoum quasi venti anni fa sottolineando che le stesse "stanno danneggiando persone innocenti invece delle autorità responsabili delle decisioni politiche".
Jazairy ha anche evidenziato che il Sudan non è più da considerare un "paese canaglia" perché "non offre sostegno a gruppi terroristici". L'inviato del Palazzo di vetro ha così posto le basi per il ridimensionamento, se non la sospensione, delle sanzioni volute nel 1997 dal presidente USA dell'epoca Bill Clinton. La valutazione di Jazairy è giunta poche settimane dopo che l'amministrazione Obama aveva annunciato il rinnovo delle restrizioni economiche nei confronti del Sudan per un altro anno. Non è però escluso che la Casa Bianca possa raccogliere l'esortazione giunta da New York e pensare a un ampliamento delle deroghe alle misure punitive, già previste a metà del termine delle stesse.
Il Sudan, paese moderno, dinamico e in crescita, già ora appetibile per le innumerevoli opportunità di investimento che offre, con l'alleggerimento dell'embargo è destinato a diventare sempre più l'ombelico del mondo del business in Africa. In particolare, il giro di affari e di interventi di cooperazione di Cina, Russia e Arabia Saudita, che hanno da tempo puntato su Khartoum, saranno ulteriormente ampliati.
Ma cosa rende così "attraente" il Sudan? In primis, si tratta di un territorio relativamente "vergine" e con un grande potenziale. Il governo, retto saldamente dall'ex generale Omar Hassan al-Bashir, al potere dal 1989 e legittimato più volte da elezioni, l'ultima lo scorso aprile, ha dimostrato di essere desideroso di differenziare e far crescere la propria economia. Questo ha portato ad una più agevole fattibilità e conclusione di contratti in Sudan, che a sua volta ha determinato un aumento degli investimenti in una miriade di settori, dall'estrazione mineraria, all'agricoltura, dal turismo all'energia solare.
Gli analisti economici che hanno osservato le recenti iniziative governative, in combinazione con la minor diffidenza mostrata da parte di Khartoum nei confronti di possibili investitori, ritengono che quello attuale sia il momento ideale per impegnare risorse economiche nel paese. Analisi avvalorata anche da "fatti" recenti: la scorsa settimana Sudan e Russia hanno siglato quattordici accordi di cooperazione in diversi settori, tra cui quello energetico, minerario e bancario. Le intese, secondo l'agenzia d'informazione governativa Suna, sono state firmate a Khartoum nel corso della riunione del Comitato ministeriale economico, commerciale e culturale russo-sudanese, co-presieduta dal ministro sudanese per le Risorse minerarie, Ahmed Sadiq al Karouri, e dal ministro russo per le Risorse naturali, Sergej Donskoy.
Gli accordi includono il rafforzamento del settore elettrico sudanese, la tutela degli investimenti e la promozione dello sviluppo rurale nel paese africano. Tra i protocolli di intesa siglati spiccano un contratto firmato dal governo di Khartoum e dalla società russa Rus Geology per la ricerca di petrolio nel Blocco E57 e un accordo per la mappatura geologica nella zona di Jabal Moya, nello stato del Nord Kordofan. Il comitato ministeriale russo-sudanese, lanciato nel 2013, gode del sostegno delle rispettive presidenze e ha l'obiettivo di rafforzare la cooperazione nel settore minerario, energetico, infrastrutturale, bancario, agricolo e della sicurezza.
E l'asse tra i due paesi diventa sempre più forte e potrebbe estendersi alla Bielorussia, il cui presidente Alexander Lukashenko sarà in visita in Sudan all'inizio di gennaio. A renderlo noto il ministero degli Esteri sudanese. Il ministro Ibrahim Ghandour ha già discusso i dettagli della visita con l'ambasciatore bielorusso in Sudan, Serge Ratchcov. Oltre a discutere dell'andamento delle relazioni bilaterali tra Khartoum e Minsk, alla luce dei risultati delle riunioni del comitato di consultazione politica che si sono svolte in Bielorussia nel mese di agosto, l'attenzione è stata puntata sulle possibili collaborazioni economiche-commerciali.
Se appare ormai chiaro che il Sudan sia considerato una irrinunciabile opportunità d'investimento, anche sotto l'aspetto geopolitico sta assumendo sempre maggioranza rilevanza. Già un anno fa, quando i rappresentanti dei paesi africani e dell'Unione Europea si riunirono a Khartoum per partecipare alla Conferenza regionale sul traffico di esseri umani organizzata dall'Unione Africana, la Farnesina annunciò che si stava compiendo "un salto di qualità importantissimo" nelle relazioni con gli Stati dell'Africa sub-sahariana per "una cooperazione rafforzata e più efficace nella lotta contro l'emigrazione irregolare e la tratta di persone nel Mediterraneo".
Grazie al governo sudanese, in stretta connessione con quello italiano, si stavano gettando le basi per l'avvio di un dialogo rafforzato, il cosiddetto "Processo di Khartoum". L'iniziativa, formalizzata e finanziata il mese scorso a Malta nel corso di un summit a La Valletta, ha fornito il quadro di riferimento che mancava per una politica strutturata ed un dialogo operativo tra l'UE ed i paesi del Corno d'Africa e ha tracciato un percorso ambizioso per affrontare le cause profonde dell'immigrazione di massa, evidenziando lo stretto legame tra quest'ultima e l'assenza di prospettive di sviluppo.
Di fatto l' EU-Horn of Africa Migration Route Initiative si propone di controllare questi flussi attraverso intese che prevedono l'organizzazione di campi per filtrare chi ha diritto all'asilo, il rafforzamento delle polizie di confine e delle istituzioni locali che si occupano di migrazione, scambi di informazioni e supporti allo sviluppo con l'obiettivo di stabilizzare la regione. In funzione di ciò, il nostro Ministero degli Esteri ha potenziato la presenza diplomatica e la cooperazione con i paesi dell'area, in particolare Eritrea e Sudan. E a quest'ultimo è stata sostanzialmente affidata la regia dell'operazione, con il supporto della nostra ambasciata a Khartoum, guidata dal neo ambasciatore Fabrizio Lobasso. Il governo sudanese si è dunque conquistato un ruolo strategico che non solo aumenta esponenzialmente la capacità attrattiva di nuovi partner ma lo pone in Africa come una delle poche realtà stabili su cui investire e far fruttare le iniziative di cooperazione.