Il deserto come elemento comune.
Ringo, un evaso in cerca di vendetta; Ethan, reduce sconfitto della guerra di secessione, con un carico di azioni di cui non si dice, ma si lascia intuire; Tom, il rude cowboy che
contende la ragazza al senatore Stoddard. Nel cinema western di John Ford i personaggi interpretati da John Wayne rappresentano individui dalla personalità multiforme e complessa, nei quali il valore del radicamento alla famiglia e alla terra cede al compromesso con la violenza e la rabbia. Uomini rudi, talvolta sprezzanti e vendicativi posti al cospetto di sodali (siano essi soci o familiari) certamente più luminosi, ma deboli di carattere e di iniziativa. Per non parlare dei ruoli affidati a James Stewart, sottili e sfuggenti a tal punto da incarnare l’altra faccia dell’uomo: la doppiezza e il mistero. Da una parte il cuore e la rabbia, dall’altra la testa ed il calcolo. L’epopea del Far West è, agli occhi di John Ford, un rapporto tumultuoso ed irrisolto tra gli uomini sulla frontiera ad un passo dall’ignoto e un ambiente ostile, rude, che plasma le loro vite affinando e rafforzandone il naturale istinto di sopravvivenza. Il cinema western di Ford è narrazione ancestrale, antropologia delle origini, mitologia epica del legame uomo-terra.La cinematografia di Paul Thomas Anderson sta a quella di John Ford come il negativo di una pellicola all’originale. Anche Anderson ritrae individui ai margini, ma le loro sono storie di ossessioni interne portate all’estremo: non sappiamo nulla del loro passato, ma siamo al cospetto di un presente ormai compromesso. Anche qui domina il deserto. Il deserto de Il petroliere, nelle cui viscere si squaderna l’ossessione di Daniel Plainview (un mostruoso Daniel Day-Lewis) per l’oro nero. Il deserto di The Master, dove il povero Freddie (Joaquin Phoenix) trova forse la sua liberazione dall’oppressione ideologica del Maestro Lancaster (Philip Seymour Hoffman).
Anche il deserto di Anderson è severo, ma è in realtà indifferente, un palcoscenico sul quale gli uomini recitano una parte tutta loro, scritta dalle loro pulsioni, dagli istinti, dal loro smarrimento. Se Freddy e Lancaster di The Master cercano di galleggiare nel presente e di trovare quanto meno una boa cui aggrapparsi, il Plainview de Il petroliere è la quintessenza della malvagità e della disumanità, asservita alla mania del possesso. La sequenza in cui lo vediamo abbandonare il figlio divenuto sordo a causa di un incidente al pozzo di trivellazione è semplicemente offensiva per ogni osservatore, e non è ancora nulla al confronto della rivelazione che con odio atavico egli riserva al figlio nel momento della loro definitiva separazione. (pensiamo all’Ethan di Sentieri selvaggi, che getta anni della sua vita alla ricerca della nipote, forse solo per riservarle una pallottola in testa). Tuttavia, rispetto ai suoi competitori, Danielconserva un’assoluta capacità razionale e di calcolo, una perfetta coscienza di sé e dei suoi obiettivi. Per quanto sia assoluta la sua malvagità, egli risplende di lucidità al cospetto, ad esempio, del sedicente predicatore della chiesa locale: un finto moralista e un detestabile accumulatore sociale senza capacità alcuna.
Individui perduti nei deserti geografici e umani, in balia di fedi distorte ed integraliste.
Umanità perdute, prigioniere del passato o delle loro ossessioni.
O forse, semplicemente, uomini.