Cari amici oggi vi regalo questa bella intervista con
Angelo Jannone, ex tenente colonnello dei ROS, che ha fatto l’infiltrato, e che oggi è criminologo, tratto da
Cittanuove-Corleone.net, http://www.cittanuove-corleone.net/,
testata on line diretta da
Dino Paternostro.
Angelo Jannone ha molte storie da raccontare. Una parte di queste storie sono raccolte nel suo libro “Eroi silenziosi”. Una vita in prima linea, in
Sicilia a Corleone (
io l’ho conosciuto),
prima delle stragi del 1992. Poi la Calabria, e la
vita da infiltrato tra narcos, camorristi, ‘ndranghetisti. Il testo di Jannone è agile, non ha toni eroici (a dispetto del titolo) ma semplicemente osserva la sua vita spesa alla lotta al crimine organizzato e non solo.
Non è l’unico che ha scelto questa strada e infatti il titolo del libro riconquista il suo senso, perché
Jannone celebra sempre il lavoro di squadra, tra pochi mezzi, molte difficoltà burocratiche e mafie che invece non hanno carte, bolli e note spese da presentare. Ciò che veramente colpisce nella figura di Jannone è, sì, il suo essere narratore, ma anche il
saper osservare con distacco l’immane lotta tra Stato e Mafie, anche con una certa ironia, amara. Infatti il libro ha la l’amarezza di tante vite di servitori dello Stato che se non sono morti, sono stati logorati dal loro impegno, fino a perdere famiglie, affetti, equilibri personali. E non ci sono medaglie al merito per questi infortuni sul lavoro. La lettura di
Eroi Silenziosi è fondamentale, per conoscere la realtà dal fronte quotidiano, piuttosto che subire una (ri)lettura del reale da chi sta seduto comodamente a casa sua o in un salotto tivvù.
Una parte della sua carriera si è svolta in Sicilia, e soprattutto a Corleone. Domanda che può apparire banale, ma dal suo punto di vista che cosa è la mafia?
“La Mafia è prima
di tutto un fenomeno criminale proliferato sulla sottocultura di certe aree del territorio, sulla incapacità dello Stato e delle Istituzioni di essere realmente presenti e vicini ai bisogni della gente e forse su una impostazione, mai superata, di risoluzione per via giudiziaria e, direi, da Stato di polizia, di fenomeni criminali che sottendono complesse problematiche culturali e sociali”.
Si discute con toni accesi della Trattativa Mafia Stato, lei è stato un ufficiale in prima linea, crede che ci sia stato per davvero un patto?
“Per ciò che conosco più da vicino credo che si voglia forzatamente far rientrare in un concetto di “trattativa” illegale con Cosa Nostra, il normale tentativo del Ros ed in particolare di De Donno e di Mori di instaurare un rapporto “confidenziale” prima e di collaborazione con la Giustizia poi, con Vito Ciancimino, in una situazione di grave emergenza. E come pensare che i colloqui investigativi della Procura Nazionale Antimafia a cavallo del 2000, condotti dall’allora Procuratore Nazionale Antimafia, Pierluigi Vigna e dai suoi sostituti con i boss detenuti, tra cui Pippo Calò rappresentassero una “trattativa”. Eppure anche in quell’occasione i boss avanzarono delle proposte che sostanzialmente possono così essere sintetizzate: “Io non mi pento, non accuso altri, ma me stesso e ammetto le mie colpe dissociandomi e disconoscendo Cosa Nostra. In cambio chiedo un regime carcerario umano”. Proposte che possono suscitare sentimenti e pareri diversi, ma che non furono considerate del tutto strampalate. Per il resto leggo gli atti (oramai alla mercé di chiunque) con l’occhio di chi è abituato all’analisi e dico che di scontato c’è veramente ben poco anche sul fronte al di fuori della vicenda De Donno-Mori”.
Dal suo libro si evince una lotta serrata alla criminalità organizzata già in anni non sospetti, come mai solo oggi i mass media ne danno conto con grande rilevanza?
“Oggi è l’Era della comunicazione e dell’informazione, anche se la risonanza mediatica è solo ciclica. In passato vi era maggiormente il culto della riservatezza e della sobrietà dell’azione investigativa, soprattutto da parte dei magistrati. Oggi giocano un ruolo importante anche i movimenti che, se da un lato hanno il grande merito di assicurare un minor isolamento di investigatori e magistrati, e contribuire a diffondere la cultura della legalità, dall’altra rischiano di seguire acriticamente con un approccio, direi, da “tifo calcistico” questo o quell’altro personaggio, questa o quell’altra teoria, senza grande spirito critico e speculativo”.
Da carabiniere a scrittore, crede che il racconto della realtà criminale può appartenere anche a chi non ha mai indossato una divisa, o ci sarà sempre un pezzo mancante nel comprendere la realtà dei fatti?
“Come qualunque pezzo della realtà lo puoi “leggere” meglio se lo hai vissuto intensamente. Ma sicuramente la lettura e l’analisi di fenomeni complessi, come quelli criminali, può essere forviante se appiattita sugli atti processuali che, spesso, sono a loro volta una interpretazione della realtà. E persone e scrittori intelligenti possono fare questo sforzo ma devono possedere anche il dono del dubbio metodico di Cartesio, anziché seguire scie mediatiche e mode”.
Nella sua carriera ha agito anche come infiltrato, qual è il suo ricordo più vivido di quel periodo e i rischi maggiori che ha affrontato?
“Il ricordo più vivido è la sensazione di
stress. Come essere sempre al lavoro, 24 ore su 24. I rischi maggiori? La paura di trovarti in situazioni non previste e non volute, in cui sei solo a decidere ed in pochi secondi: se decidi in un modo, la copertura salta, se decidi nell’altro puoi commettere un reato ed essere ripagato con un procedimento penale.
Il suo libro Eroi Silenziosi non appare mai come una personale celebrazione della sua carriera, ma piuttosto un racconto corale di uomini dediti al proprio dovere e in fin dei conti al proprio lavoro, crede che oggi nella lotta alle mafie ci sia eccessiva personalizzazione?
“Direi proprio di sì. Ma mentre in passato la personalizzazione portava alla sovraesposizione fisica dell’investigatore e dell’inquirente, oggi la personalizzazione assume un significato diverso e molto spesso quasi politico. Crea personaggi che vorrebbero apparire come i paladini dell’Antimafia, dimenticandosi che il contrasto alle mafie, oggi più che mai coinvolge non solo strutture di contrasto complesse e dotate di mezzi e strumenti, anche normativi, ma l’intera società civile. Quindi, mai come oggi, nessuno è solo”.
Le voglio rivolgere un’altra domanda che può avere il sapore della banalità, ma secondo lei è possibile sconfiggere per davvero le mafie e cosa impedisce attualmente che questo possa essere una realtà?
“Ogni società moderna è caratterizzata dalla presenza di criminalità più o meno organizzata, più o meno raffinata, più o meno estesa geograficamente. Le dimensioni dei fenomeni, sono spesso direttamente proporzionali alle contraddizioni di un paese. Ed il nostro di contraddizioni ed incoerenze ne possiede troppe.
Giovanni Falcone diceva che Cosa Nostra è un fenomeno umano destinato, come tutti i fenomeni umani ad avere una fine. Ma finché ci sarà l’umanità ci sarà l’eterna lotta tra il bene ed il male. Il male cambierà pelle, spesso si infiltrerà nel bene, ma ci sarà. E’ piuttosto un problema di dimensioni. E le dimensioni dei fenomeni dipendono dalla capacità di una società di non essere essa stessa generatrice di atteggiamenti criminali. Ed in Italia siamo ancora lontani…
Quali sono i suoi prossimi progetti editoriali in cantiere, ci sarà un seguito di Eroi Silenziosi?
“Non so ancora se il nome sarà ancora Eroi Silenziosi, ma sicuramente di storie da raccontare ve ne sono tante e molto interessanti”.
Dino Paternostro
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