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Un altro mostro dopo il Porcellum, di P. Ignazi I nostri legislatori stanno studiando tutti i possibili percorsi di ibridazione delle leggi elettorali per partorire un unicum, qualcosa di mai visto prima. Ma più che destare meraviglia o ammirazione questo unicum rischia di produrre repulsione perché si sta configurando come un vero e proprio mostriciattolo. Già il punto di partenza non era promettente: il Porcellum è pieno di difetti, dal premio di maggioranza alla sostanziale inesistenza di soglie minime di accesso. Dalle liste bloccate all’indicazione di un candidato premier. Tutte norme sbagliate in sé e, ancor peggio, in conflitto tra loro in quanto alcune si richiamano a logiche proporzionali (assicurare a tutte le componenti della società una possibilità di rappresentanza) e altre a logiche maggioritarie (favorire la concentrazione dei consensi su chi può formare un governo). Con il risultato di creare confusione.
Ora, invece di correggere questi difetti sono in arrivo ulteriori peggioramenti. Per contenere il danno devono essere evitati almeno tre passi falsi: il ritorno delle preferenze; il mantenimento del premio di maggioranza; l’introduzione del listino (candidati che vengono eletti “a prescindere”, come un bonus del vincitore, senza essere passati da alcun vaglio elettorale).
Incominciamo dall’ultima ipotesi. È l’adattamento a livello nazionale di una norma escogitata in un altro momento di follia istituzionale per le elezioni regionali. Il listino ha consentito l’ingresso nelle istituzioni di persone che avevano come principale merito quello di essere fedeli alla leadership del partito, o che comunque meritavano per qualche ragione questa corsia preferenziale e riservata — come illustra bene il caso dell’igienista dentale Nicole Minetti entrata nel Pirellone nel listino di Roberto Formigoni. Ora viene riproposto con la risibile motivazione che così si salvaguarda la presenza in parlamento di persone “competenti” che altrimenti non avrebbero il consenso popolare. Poiché il popolo è bue, e non sa bene chi eleggere, gli sottraiamo la facoltà di scelta. I cittadini possono sì votare, ma non troppo, non fino in fondo: ci vuole un regolatore sopra le loro teste che ne raddrizzi saggiamente le scelte. Questa impostazione evidenzia una concezione incredibilmente aristocratica della democrazia e della rappresentanza. Torniamo pure agli ottimati.
Poi c’è il premio di maggioranza che distorce qualsiasi regola di trasformazione di voti in seggi. Anche il sistema maggioritario uninominale a turno unico (caso inglese) o a doppio turno (caso francese) è molto dis-rappresentativo, e lo sono pure alcuni sistemi proporzionali come quello spagnolo, con collegi piccoli e di grandezza diversa: ma non ci sono premi ai vincitori che si aggiungono ai seggi ottenuti. Non sarà un caso che sistemi che prevedono i premi di maggioranza siano molto rari; e il fatto che sia stato adottato in Grecia non è un buon viatico.
Infine, le preferenze. Oggi vengono invocate per ridare la parola ai cittadini, dimenticando i guasti che hanno prodotto per decenni: corruzione, lotte a coltello tra le varie fazioni, costi iperbolici della politica, influenza delle lobby legali e non. Il referendum del 1991 sulla preferenza unica fu accettato dalla quasi totalità dei votanti sulla base di queste considerazioni.
È cambiato qualcosa per suggerire un ritorno al passato? Non ci sono più cordate interne? Le spese folli delle campagne elettorali si sono azzerate? La corruzione è scomparsa ? Andiamo… Il ritorno alle preferenze è una falsa soluzione al vero problema della definizione delle candidature. La questione è a monte: chi e come sceglie i candidati. Lo spazio di intervento dei cittadini o degli iscritti ai partiti nella definizione delle candidature è tuttora limitatissimo. Spetta ai partiti assicurare trasparenza e apertura nei confronti della società civile o della loro base invece di stilare nelle classiche smoking room le liste elettorali, con posti sicuri definiti in maniera opaca.
Il Presidente della Repubblica, l’opinione pubblica e gli stessi partiti sostengono la necessità di una riforma elettorale. Ma la vera innovazione non riguarda tanto le specificità di un sistema elettorale o di un altro, quanto l’incidenza dei cittadini nel processo di selezione del personale politico.
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