Gli amici di Battisti oggi
Un tentativo di verità sul ferimento di Torreggiani
di Iannozzi Giuseppe
Per la loro attualità ripropongo qui due vecchi articoli sul caso Battisti. Il primo, Battisti dal carcere ribadisce la sua innocenza e accusa: “Torregiani colpito dal padre”, è datato 30 gennaio 2009; il secondo, Sebastiano Masala e Giuseppe Memeo ex compagni di Cesare Battisti rimettono al mittente le sue accuse, è invece datato 1 febbraio 2009.
iannozzi giuseppe
Cesare Battisti ed alcuni PAC nel carcere di Frosinone, 1981
Battisti dal carcere ribadisce la sua innocenza e accusa: “Torregiani colpito dal padre” – “Riaffermo la mia condizione di perseguitato politico”. Lo scrive Cesare Battisti in una lettera ai giornalisti diffusa in data odierna dai suoi avvocati. Nella lettera Battisti afferma che i responsabili degli omicidi per i quali è stato condannato, sarebbero quattro suoi ex compagni dei Pac. Spiega anche che il colpo che ferì e rese invalido il figlio del gioielliere Torregiani, secondo Battisti, sarebbe partito dall’arma del padre del ragazzo.
Nella lettera scritta in un portoghese approssimativo, Battisti ringrazia la stampa per l’attenzione che gli sta dedicando e si scusa per non poter concedere interviste a tutti.
“Sono certo – dice rivolto agli “amici giornalisti” – che tutti voi vogliate pubblicare la verità dei fatti. Ma adesso – aggiunge – non mi sento bene per ricevere tutti quelli che mi stanno cercando”.
“Questa storia non deve danneggiare gli eccellenti e amichevoli rapporti bilaterali in tutti i settori di reciproco interesse”. A sostenerlo in una nota è il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. “Berlusconi ha detto giusto”, ha subito commentato il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva. “C’è una decisione sovrana del ministro della Giustizia brasiliano e allo stesso tempo l’Italia ha tutto il diritto di fare ricorso alla giustizia. Quando il potere giudiziario brasiliano prenderà una decisione, qualunque essa sia, non discuteremo più e accetteremo la decisione”. Il caso Battisti, ahinoi, è diventato un caso di convenienze fra due paesi, Italia e Brasile. E il presidente del Consiglio, uomo sempre molto illuminato in politica e diplomazia, oggi afferma che i rapporti con il Brasile non sono mai stati così buoni. Secondo Berlusconi, “è necessario che la questione continui a svilupparsi nel suo alveo naturale, quello giuridico, dove l’Italia non lascerà nulla di intentato per ottenere l’estradizione di Battisti nel nostro Paese… è ben noto che in questi giorni il governo ha effettuato tutti i passi possibili e necessari a tale finalità, anche attraverso, da ultimo, la presentazione di un ricorso alla Corte Suprema brasiliana, di cui si attende con fiducia l’esito”. E Walter Veltroni fa eco alle parole di Berlusconi – eco a cui purtroppo ci siamo dovuti abituare: “I rapporti tra Italia e Brasile sono ottimi come sono ottimi quelli tra Italia e Francia ed è giusto chiedere ad un governo amico come quello francese se sono vere le cose che Battisti ha detto. Dobbiamo cercare di ottenere il fatto che Battisti venga a scontare in un grande paese democratico come l’Italia la pena che gli è stata comminata e quindi il governo italiano si deve adoperare in tutte le sedi perchè questo si realizzi. Ma basta con le battute. Dire che non si fa la partita Italia-Brasile è solo per andare sui giornali ma il governo la deve smettere di avere la preoccupazione di andare sui giornali.”
Gianluca Pini, vice presidente della commissione Politiche dell’Unione europea alla Camera, fa sapere che la Francia ha ribadito la sua totale estraneità alla vicenda Battisti: “Sono particolarmente soddisfatto dell’incontro con Raynaud, consigliere di Sarkozy, che ha assicurato che da parte francese non vi è nessun coinvolgimento dei servizi segreti nella fuga di Battisti e che Parigi abbandonerà definitivamente la dottrina Mitterrand”.
E il ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, bacchetta l’Italia: “l’Italia è chiusa ancora negli anni di piombo: la differenza è che qui in Brasile siamo più avanzati su questo argomento, tanto che stiamo discutendo sulla nostra legge di amnistia”. Gli risponde il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini: “Non mi faccio innervosire e non commento espressioni che appartengono alla demagogia e alla retorica del comizio. Sappiamo noi che cosa sono stati gli anni di piombo e saremo noi a decidere come chiudere quella stagione che ancora non conosce il pentimento, al contrario l’arroganza e la sfida di assassini che trovano ancora complici compiacenti”.
Sebastiano Masala e Giuseppe Memeo ex compagni di Cesare Battisti rimettono al mittente le sue accuse - “Per i drammatici fatti che ci videro coinvolti 30 anni fa venimmo condannati e abbiamo pagato, non barattando la nostra libertà con quella degli altri. Troviamo infamante che Cesare Battisti ci qualifichi come collaboratori di giustizia o pentiti”. Gli ex compagni di Battisti non ci stanno, definiscono le accuse loro rivolte infamanti. Per l’anagrafe sono gli ex Proletari armati per il comunismo Sebastiano Masala e Giuseppe Memeo, insieme alla moglie di Gabriele Grimaldi (morto nel 2006), Pia Ferrari. La dichiarazione non è però stata sottoscritta da Sante Fatone, che diventò collaboratore di giustizia.
“Pensiamo che l’atteggiamento complessivo di Cesare Battisti non aiuti, a distanza di anni, il dibattito per il superamento di quella tragica storia che tanti lutti e sofferenze ha provocato Il silenzio più delle parole si addice per il rispetto delle vittime e per chi non ha mai smesso di soffrire”. Così gli ex compagni di Battisti. Non meno dura la reazione dell’avvocato Giovanni Beretta che al tempo dei tragici fatti accaduti fu difensore di Giuseppe Memeo e Gabriele Grimaldi: “Battisti accusa gli altri, ma si dimentica delle persone che ha ucciso lui. A partire dall’omicidio dell’agente Campagna. Fu lui a impugnare la pistola e a sparagli, in un momento in cui il gruppo stava solo studiando le sue abitudini per decidere il da farsi”. Lapidaria Laura Grimaldi, madre di Gabriele: “Spero solo che il signor Cesare Battisti sia estradato”. Armando Spataro, procuratore aggiunto dei Milano e pm all’epoca del processo ai Pac, non ha dubbi: “E’ un assassino della peggiore specie”.
Con Cesare Battisti circa 500 brasiliani che puntano l’indice contro l’Italia: “revanscismo punitivo nei confronti degli anni Settanta”. In un manifesto sottoscritto dal gruppo di intellettuali si afferma che “con una decisione coraggiosa e coerente con i suoi principi democratici e progressisti, il governo brasiliano (…) ha concesso l’asilo politico a Battisti. Noi sosteniamo la decisione del governo brasiliano per il caso Battisti in quanto sosteniamo una soluzione politica e giuridica per le questioni attinenti agli anni Settanta in Italia. Il revanscismo punitivo verso gli anni Settanta rivoluzionari in Italia non è democratico e costituisce una marcia indietro politica”. Tra i firmatari del manifesto l’architetto Oscar Niemeyer e del drammaturgo Augusto Boal.
In Italia tra i difensori più accaniti di Battisti troviamo lo scrittore Valerio Evangelisti e il collettivo Wu Ming: oggi 1 febbraio 2009 sulle colonne di Carmilla online scrive, “Ci mancava solo questa. Cesare Battisti sarebbe una spia (per la “grande stampa”, a cui peraltro le spie piacciono tanto, al punto di averle come redattori e persino come direttori) perché avrebbe fatto, “dopo trent’anni”, i nomi dei suoi complici. Le solite cazzate, volte a denigrare il “mostro” in un modo o nell’altro. [...] Ora i chiamati in causa si ribellano, in parte giustamente. Battisti, intervistato in cella, li definisce “tutti collaboratori di giustizia, pentiti”. Non è vero, l’unico pentito del loro commando di quattro persone fu Sante Fatone. Però sono loro che sbagliano quando sostengono che l’ex compagno intende addossare agli amici (stando alla stampa) l’assieme dei delitti di cui è imputato. Battisti parla chiaro, si riferisce all’omicidio Torregiani. Gli autori dell’agguato avrebbero dovuto forse dire, già da tempo, che Battisti non era con loro. E spiegare chi ferì effettivamente Alberto Torregiani (il padre). Risulta un po’ ridicolo accusare Battisti di essersi sottratto alla condanna. Se gli assassini di Torregiani sr. non sono pentiti né dissociati, ma guerriglieri duri e puri, non avrebbero approfittato della stessa opportunità? Non c’è un’ombra di invidia, in questo stigmatizzare chi, potendo darsi alla fuga, lo ha fatto?” Per quelli della Redazione di Carmilla Battisti non sarebbe un “mostro”.
Il caso Battisti promette di trascinarsi ancora molto per le lunghe. E di questo passo piena luce su Battisti, su chi esso sia stato e chi oggi è, non verrà mai fatta. Si tenga però presente che la giustizia italiana ha già condannato Battisti.
Domenico Battisti parla di suo fratello Cesare – «Cesare è un ragazzo che ha sbagliato per seguire degli ideali e per questo si è rovinato la vita. In Italia a tutti è stata data un seconda possibilità, ma a lui mai. Ogni governo, di destra o sinistra, vuole una cosa sola: metterlo in galera e buttare via la chiave. Sono trent’anni che campa con i miei soldi ma tutto quello che mia moglie e io abbiamo fatto per lui lo rifaremmo perché mio fratello non è il sanguinario terrorista capo delle Brigate rosse. È un uomo senza patria che ha una moglie, due figlie e dopo vent’anni di silenzio ha deciso di parlare, di fare i nomi dei responsabili degli omicidi per cui è stato condannato. Ma, forse, per salvarsi, la lettera di ieri doveva scriverla vent’anni fa, come gli avevo detto.
A volte mi vergogno un po’ a uscire in paese. Tutti sanno chi sono: sono il fratello di Cesare Battisti, il terrorista che guidava i Pac, i proletari armati per il comunismo. Negli ultimi tempi, con tutta la confusione su tv e giornali, quando entro in un negozio i clienti si zittiscono. È normale, non gliene faccio una colpa, la bocca ce l’hanno per parlare. E comunque qui abita tutta brava gente. La mia famiglia è stata fortunata a trasferirsi qua.
È un anno che il suo avvocato Fabio Altinoro ha chiesto al governo brasiliano lo status di rifugiato politico: la prima volta la richiesta è stata rifiutata, adesso che l’hanno accettata il governo italiano si è ricordato, ancora una volta, di mio fratello. Ha chiesto l’estradizione pensando di avere a che fare con un Paese del Terzo mondo, invece Lula mi è piaciuto: ha preso una decisione e l’ha mantenuta, mentre il nostro governo non ha accettato lo schiaffo politico da un Paese che considera di secondo piano.
Mio fratello è figlio unico. Erano anni caldi c’erano i fascisti e i comunisti, ce le davamo. C’erano le contestazioni, la fabbrica. La nostra famiglia è sempre stata di sinistra. E a Littoria, come l’aveva battezzata il Duce, lo sapevano tutti. Cesare era il più piccolo di noi sei fratelli. È sempre stato un ragazzino sveglio, intelligente, appassionato. Uno che però non si è saputo fermare, purtroppo, quando era il momento. Ha superato il limite e le amicizie, nelle sue scelte, hanno sempre contato molto. Ecco perché a distanza di tanto tempo non ha mai fatto il nome del suo grande accusatore, Pietro Mutti, che lo ha associato ai 4 delitti per cui è stato condannato.
Delle vittime del terrorismo abbiamo il massimo rispetto e siamo vicini alle loro famiglie che dovrebbero essere risarcite per quello che hanno passato. Ma quel processo è passato così sotto silenzio che non abbiamo nemmeno avuto la possibilità di mettere un avvocato per difendere mio fratello. Abbiamo saputo della condanna a cose fatte.
In Italia era stato condannato nel 1979 a 14 anni per rapina. La pena era stata raddoppiata perché si trattava di un’azione di finanziamento del terrorismo.
Lo trovammo a Puerto Escondido. Era diventato una specie di barbone, viveva di elemosina: in Italia era descritto come il capo supremo della lotta armata. Gli chiesi di fare i nomi, di raccontare la verità, ma lui mi rispose che non si fa la spia e che quelli erano stati anni di guerra.
La cognata di Cesare Battisti parla dei libri scritti da suo fratello:
Quello che preferisco? Il primo: “Travestito da uomo”. Il protagonista è Claudio Raponi, che ha partecipato alla lotta armata prima di scappare in Sudamerica: non ha rimpianti, né rimorsi. Torna a Parigi per una donna ma viene arrestato. Quando esce dal carcere potrebbe vivere come rifugiato politico, ma la volontà di scoprire chi l’ha venduto non gli dà tregua finché, individuato il traditore, non viene ucciso in un bar in America Latina.»