Le vacanze con i figli – soprattutto se ancora piccoli – mal si sposano con le mie velleità da lettrice compulsiva e, pur se sono diventata oramai un’acrobata del “minuto rubato per una pagina ancora”, questo agosto non è stato sufficientemente generoso di tempi e spazi.
Ma fortunatamente la dea delle buone letture mi assiste e ho avuto la sorte di incappare in ben due libri del genere “indimenticabili”. Di quelli che si divorano rapiti e che, dopo averli richiusi sull’ultima riga, resta la voglia – talvolta un po’ molesta – di consigliarli al mondo intero.
Oggi comincio dal primo dei due, classificati semplicemente in ordine temporale di lettura.
Si tratta di “Ogni giorno” di David Levithan, edito da Rizzoli. Un romanzo originalissimo, affascinante, impossibile da inquadrare in un genere d’appartenenza tanto stupefacente – e anche un po’ folle – è l’idea ispiratrice che ne è alla base e tanto impeccabile, pulito e cristallino, privo di sbavature e armonioso, lo svolgimento.
Un libro che è allo stesso tempo lieve e profondo, romantico e spirituale, fantastico eppure colmo di spunti di riflessione e rimandi emotivi.
E che, soprattutto, è una splendida storia, frutto di una fantasia sensibile e audace, un racconto pensato con coraggio e sviluppato con un’ottima dose di maestria.
L’adolescente protagonista conduce un’esistenza assolutamente al di fuori del comune.
Non è infatti dotato di una sua identità fisica, non ha un corpo, un involucro che gli appartenga, ma è destinato – da chi o da cosa non si sa, come se ne ignora il motivo – ad occupare ogni giorno, e per un giorno soltanto, le fattezze di un coetaneo diverso, maschio o femmina che sia.
Si sveglia quindi, ogni sacrosanta mattina, ed ha l’aspetto di un differente ragazzo o ragazza.
Veste i suoi abiti, abita la sua stanza, è figlio dei suoi genitori e fratello dei suoi fratelli. Frequenta la scuola del suo “ospite”, svolge i suoi compiti, interagisce con i suoi amici, vive i suoi amori, senza che nessuno se ne accorga.
Ogni giorno una vita nuova cui adattarsi, con la particolarità ben precisa, però, di restare nell’anima sempre se stesso.
Non abbandona infatti i suoi pensieri, la sua sensibilità, il suo senso del giusto e dello sbagliato, il suo spirito critico. A – questo è il nome che il giovane si è attribuito, una semplice ed essenziale lettera “a” – conserva la sua interiorità, è consapevole della sua vita, tiene i suoi ricordi, tesse qualche minimo legame tra i suoi “prima” e i suoi “dopo”, prova le sue, ben precise, emozioni.
Si sforza, non avendo alternative, di ricominciare ogni giorno daccapo, tentando di non interferire troppo con l’esistenza di chi per ventiquattro ore gli cede, inconsapevolmente e involontariamente, la sua vita.
A è corretto, è delicato, è attento, rassegnato a non avere radici, a non avere futuro, a dover vivere a prescindere da un corpo, ad essere tutto spirito ma, allo stesso tempo, a restare comunque adolescente e, come tutti i giovani di quell’età, a non essere immune dai sentimenti.
Tutto cambia infatti quando A, all’improvviso, si innamora. Quando, nelle sembianze di un fidanzato superficiale ed egoista, incappa nella bella Rhiannon e decide, per una volta, di comportarsi secondo il suo cuore e non secondo i dettami del ragazzo di cui occupa il corpo, trascorrendo con lei un pomeriggio di intesa perfetta.
Dopo, però, lo scotto da pagare è amaro ed impossibile l’idea di separarsi da lei e non vederla più.
Ma la natura continua il suo corso: a lui non è dato di poter restare. Sarà la volontà quindi a dover intervenire e A si comporterà esattamente come ogni giovane innamorato, cercando ogni scusa e ogni pretesto per ritrovare l’amata.
Dovrà farlo però ogni giorno con un corpo diverso, essendo a volte un ragazzo e a volte una ragazza, deviando la vita dei suoi “ospiti”, innescando catene di eventi e, soprattutto, costringendo Rhiannon, e se stesso, ad un confronto profondo ed estremo tra il valore dell’aspetto fisico e del mondo interiore, coinvolgendo i temi dell’attrazione e della sessualità, fino ad arrivare ad una riflessione difficile e dolorosa su quanto sia scindibile il legame tra ciò che l’occhio vede e ciò che il cuore ama.
Un racconto allo stesso tempo avvincente e delicato, sfaccettato e complesso sapendo rimanere godibile, inverosimile nella trama ma allo stesso tempo così ben calato nella realtà adolescenziale da saper parlare efficacemente ai suoi lettori.
Un libro che arriva dritto all’anima, che sa suggerire spunti per pensieri e domande o che, più semplicemente ma incantevolmente, riesce a conquistare per la genialità con cui è stato immaginato e poi scritto. Non sempre infatti ad idee ardite si accompagnano buoni svolgimenti ed in questo, mi sento in dovere di sottolineare, David Levithan è stato davvero bravissimo riuscendo a chiudere e a far quadrare, sempre ottimamente, le tante questioni di congruenza che inevitabilmente si aprono a fronte di basi spiccatamente fantastiche.
Un’opera che ciascuno potrà prendere come più gli aggrada: come una splendida storia d’amore con un finale perfetto, come un racconto fantastico che apre scenari spirituali, come uno spunto filosofico sul tema del corpo e dell’anima…
Solo un aspetto tengo ad evidenziare: in un’epoca come la nostra dominata da un’attenzione estrema all’esteriorità, a tutto ciò che il fisico, e non la mente, comunica, a categorie che si fondano su attributi e non su sostanza, un romanzo come questo diventa un bene quanto mai prezioso, una piccola finestra spalancata su temi fondamentali e troppo spesso dimenticati, uno stimolo a spostare dei riferimenti sovente dati per scontati e fossilizzati.
Ed è importante che tale invito sia rivolto preferenzialmente ad un pubblico adolescente, perché in questa età si ricercano identità e sicurezza, basandole spesso su un aspetto che sia preciso e consolidato, certo ed accettato socialmente. Riuscire ad incontrare i lettori su un terreno così impervio e complesso, con un libro emozionante ed intenso, senza alcuna traccia didascalica o moraleggiante, è indubbiamente un grande merito e un enorme successo.
E’ meraviglioso, inoltre, immaginare un amore che trascenda aspetto e sesso, che punti diritto allo spirito, che si mantenga immutato a prescindere dall’involucro col quale viene presentato…
Bellissimo e utopico, sicuramente. Ma con le utopie – e tutto ciò che spalancano – i nostri ragazzi che crescono dovrebbero essere invitati, almeno ogni tanto, a confrontarsi.
(età consigliata: dai 13 anni)
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