di Giuseppe Consiglio
E l’Italia? A parte le timide e reiterate dichiarazioni, peraltro ampiamente condivise dall’opinione pubblica, in cui il governo ribadisce l’assoluta contrarietà ad un intervento militare se non sotto l’egida dell’ONU, non sembra aver svolto un ruolo politico all’altezza degli interessi economici in gioco nella regione. Tanto più se si pensa che l’Italia è, o meglio era, il secondo partner commerciale europeo della Siria dopo la Germania. Nel 2003 si è assistito ad un incremento del 4.6% dei flussi commerciali fra i due Stati il cui interscambio ha toccato i 900 milioni di euro nel 2004, e sempre da quell’anno l’Italia, secondo i dati ICE, diventa primo fornitore europeo della Siria. Ma nel 2012, quando il volume degli scambi tra i due paesi tocca i 2.3 miliardi di euro, con un aumento di 102.7 punti percentuali rispetto all’anno precedente, l’Italia [1] si allinea alle sanzioni imposte dall’Unione Europea al regime di Damasco, rinunciando al suo ruolo di principale partner economico europeo e di terzo partner mondiale dopo Cina ed Arabia Saudita.
Interscambio commerciale Italia-Siria – Fonte: ICE
Le importazioni italiane dalla Siria riguardavano principalmente il settore petrolifero (circa il 90% del totale). Ai 55 mila barili di greggio giornalieri destinati all’Italia, andavano aggiunti prodotti bituminosi e altri derivati, raffinati da Eni, Italiana Energia e Servizi Spa e Saras. L’Italia esportava in Siria derivati della raffinazione del petrolio (circa il 42% dell’export totale), attrezzature ed apparecchiature elettriche e meccaniche, prodotti chimici e metallurgici. Da segnalare che l’Italia è stato il primo fornitore di armi della Siria e dei 27 milioni e 700 mila euro di armamenti venduti dai paesi UE alla Siria dal 2001, ben 17 milioni erano forniture italiane, una percentuale irrisoria rispetto all’intero volume degli scambi e purtuttavia degna di nota vista la tipologia di merce.
Se alla fine l’opzione bellica venisse concretamente attuata, ipotesi al momento remota, un conflitto dagli esiti incerti e difficilmente prevedibili prospetterebbe per l’Italia e le sue imprese uno scenario tutt’altro che positivo. Gli scambi con il Libano, ad esempio, di cui l’Italia è il terzo partner commerciale e che rappresenta un ponte strategico per le nostre imprese verso il Levante, subirebbero un inevitabile rallentamento sulla scorta di quanto già avvenuto in Libia, Egitto e Siria. Un ulteriore allargamento del conflitto rischierebbe di compromettere le commesse con altri partner strategici fondamentali come Israele e Turchia. Perdere quote preziose in un mercato fondamentale come il Mediterraneo, infliggerebbe un colpo durissimo all’Italia e alle sue imprese. Francia e Regno Unito, con Total e Bp per gli idrocarburi, e moltissime altre società in vari settori, sembrano avere chiare ed articolate strategie per supportare la penetrazione delle proprie imprese in mercati di pertinenza italiana.
La Francia in Mali - Il conclamato attivismo francese sul fronte africano mostra i propri inequivocabili segni nell’intervento in Mali giustificato dal tentativo di impedire ai ribelli islamisti di rovesciare il governo. Con appena lo 0,002% [2] dell’import francese, il Mali è il 165° fornitore della Francia e il suo 87° cliente. Sono circa 50 le imprese francesi attive nello stato africano ad ulteriore riprova di relazioni commerciali, tra i due paesi, tutt’altro che rilevanti. Le ricchezza del sottosuolo maliano, non ancora sfruttate ne ben conosciute, in cui pare abbondare secondo le ultime rilevazioni geologiche l’uranio [3], ancorché rilevanti non sembrano esser state le ragioni principali dell’intervento francese riconducibile piuttosto alla necessità di stabilizzare l’area così da scongiurare l’estensione del conflitto al nord della Nigeria, dove Areva [4] sfrutta i giacimenti di uranio, fondamentale fonte di approvvigionamento francese. Ancora una volta l’Italia subisce gli eventi, offrendo senza troppa convinzione, e ancora senza una chiara strategia, supporto logistico ai francesi.
Un parallelismo con la Libia - Un parallelismo con la Libia diventa a questo punto inevitabile. Anche in quel frangente l’Italia ha subito gli eventi, spiazzata dalla strategia seguita dalla Francia che ha mal sopportato di dover lasciare la guida delle operazioni militari alla NATO. Era il 19 Marzo 2011 quando, autorizzati dalla risoluzione ONU n. 1973 del Consiglio di Sicurezza, caccia dell’aviazione militare francese inauguravano le operazioni belliche contro le forze terrestri di Gheddafi, attacco seguito dal lancio di missili Tomhawk da navi statunitensi e britanniche [5].
Esportazioni petrolio libico – Fonte: Global Trade Atlas e APEX Taker Data
Ciononostante, l’Italia continua a rimanere il primo partner della Libia, più per la pervicacia delle imprese che vi operano che per il sostegno dei governi che si sono succeduti. A parte l’Eni, il principale operatore straniero presente in Libia, è da segnalare la nascita di un Consorzio composto da 82 medie imprese del nordest Italiano operanti nei settori delle costruzioni, engineering, impiantistica, sistemi e logistica, progettazione, ma anche forniture ospedaliere e catering. Il paese nordafricano, che entro il 2022 dovrebbe investire per la ricostruzione e la diversificazione dell’economia 300 miliardi di euro, è stato il principale fornitore di petrolio dell’ Italia che importa anche gas attraverso il greenstream, il gasdotto sottomarino che collega dal 2004 la costa libica alla Sicilia. La battaglia per aggiudicarsi gli appalti sarà serrata e nuovi importanti competitors si stanno affacciando. A parte i francesi, che hanno avuto un ruolo fondamentale sul fronte dell’intelligence militare e che si stanno rafforzando grazie all’appoggio NATO, da segnalare anche Egitto, Quatar, Libano, Emirati Arabi e soprattutto la Turchia.
I settori in cui le imprese italiani sembrerebbero avere qualche chance sono l’edilizia di servizio, per la realizzazione di ospedali, impianti di trattamento delle acque, l’agroalimentare, la meccanica e i materiali da costruzione. Diverse sono le imprese italiane che sono già tornate in Libia.
Una chiara definizione degli obiettivi politico commerciali e la predisposizione di una strategia non solo di medio – lungo termine, ma che consenta di agire anche nell’immediato, sarà dunque di importanza vitale se l’Italia vorrà mantenere e rafforzare le proprie posizioni in un mercato fondamentale come il Mediterraneo e tornare ad incidere sugli scenari internazionali.
Concludendo - Bashar Al Assad, in una recentissima intervista, alla domanda su quale potesse essere il ruolo dell’Italia nella crisi Siriana e nello storico riavvicinamento tra Iran e Usa, rispondeva, certamente stizzito per l’adesione del nostro paese alle sanzioni volute da Bruxelles, che l’Italia avrebbe prima dovuto capire che ruolo gioca all’interno dell’Unione Europea e quale realmente sia la sua capacità di influenza. Una risposta piuttosto laconica se si considera l’importanza commerciale che l’Italia ha per la Siria, ma che al contempo mostra quanto poco incisiva sia la nostro politica estera nella regione.
* Giuseppe Consiglio è Dottore in Internazionalizzazione delle Relazioni Commerciali (Università di Catania)
[1] Il momento dell’approvazione delle sanzioni da parte dell’UE al regime di Damasco, mette ancora una volta in luce la grande ambiguità europea. Il governo italiano fece infatti delle pressioni al fine di ritardare di due mesi l’embargo provocando una spaccatura con i il Regno Unito, che optava per un intervento immediato.
[2] Le esportazioni del Mali verso la Francia riguardano oro ed altri metalli, bestiame e cotono. Non oltrepassano i 10 milioni di euro l’anno.
[3] È noto che la politica energetica francese, sia in larga parte fondata sullo sfruttamento dell’energia nucleare. Nel 2011 il 77% circa dell’energia elettrica francese è stata prodotta da centrali nucleari.
[4] Con il 90% del capitale azionario, il governo francese controlla la multinazionale francese dell’energia.
[5] Le operazioni militari sono state anticipate dall’istituzione di una zona di interdizione al volo o No – Fly Zone sui cieli libici, per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Gheddafi e le forze ribelli.
Photo credit: AP photo/Bertrand Langois/pool
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