di Beniamino Franceschini
Abbiate pazienza – e questo è un avvertimento per i prossimi giorni – io della storia di Juventus-Napoli non ne posso più, soprattutto delle alternanze di equilibrismi morali e giustificazioni di comportamenti inqualificabili. “I napoletani hanno distrutto lo stadio, ma gli juventini hanno assalito un pullman di tifosi, ma i napoletani si sono accoltellati, ma il giornalista ha offeso i napoletani”. Non esiste una scusa derivante dal nesso di causalità: i napoletani rovinano lo stadio? Innanzitutto non sono tutti i tifosi, perché si tratta di una componente definibile solo come “criminali”. Un gruppo di teppisti che portano i colori della Juventus picchiano la gente in un’area di servizio? Altri criminali. Accoltellamenti in tutta Italia? Si oscilla tra l’atto di violenza pura e il risultato del disagio sociale. Il “giornalista” della Rai? Una persona inadatta al servizio pubblico che intervista il tipico portatore di pregiudizi anti-italiani.
Non esistono giustificazioni alla violenza, soprattutto se legata allo sport. Questo deve essere chiaro. Lancio una provocazione. Sappiamo – non siamo ipocriti – che i controlli agli stadi sono facilmente eludibili o intimorendo steward impreparati, o nascondendo armi e bagagli negli scantinati dello stadio stesso. Sappiamo, inoltre, che in entrambi i casi ci sono responsabilità da parte delle società sportiva e delle amministrazioni locali, che preferiscono consentire l’accesso gratuito agli stadi e impegnare soldi pubblici nella sovvenzione di squadre, per evitare la guerriglia urbana.
In Italia la soluzione è stata come sempre individuata nella falsa repressione preventiva: tessera del tifoso, con tanto di soldi ai circuiti interbancari; tornelli, con appalti talvolta da verificare; schedatura di persone che semplicemente vogliono andare allo stadio con limitazione incostituzionale della libertà di circolazione anche per cittadini estranei ai fatti. Il livellamento, in poche parole, è verso il basso: non solo per il peccatore va a fondo la nave, ma nella mentalità dei nostri governanti è giusto che la nave affondi per il peccatore, a meno che non ci obblighiamo tutti ad arrivare a bordo mezzi affogati per il nostro bene. La soluzione invece, potrebbe essere la reale applicazione di un provvedimento che indichi, per esempio: steward e assistenti professionisti, non tirocinanti imbelli; processi rapidi per i conclamati autori di violenze; squalifica dello stadio della squadra alla quale si richiamano i gruppi riconosciuti responsabili delle violenze; penalizzazione della squadra i cui sostenitori abbiano commesso violenze, dalla sottrazione di punti in classifica, fino alla sospensione della partecipazione alle Coppe nazionali ed internazionali; rispetto dell’interruzione immediata dell’incontro in caso di violenze, cori razzisti o cori gravemente offensivi.
Un altro passo fondamentale dovrebbe essere la fine del rapporto tra politica e calcio, sia per quanto riguarda i movimenti economici più o meno evidenti tra amministrazioni pubbliche e forze partitiche, sia per quanto riguarda l’esposizione di croci uncinate, Stalin, Mussolini e Che Guevara vari. Lo so che mi si risponderà che esiste il diritto alla libertà d’espressione, ma, poiché per i livornesi Stalin è meglio di Mussolini, mentre per i veronesi Mussolini è meglio di Stalin, e dato che per decidere chi sia migliore tra i due si usano cori razzisti, spranghe e bastoni, allo stadio nessuno è meglio o peggio di nessuno. Ripeto: io sono per la libertà totale d’espressione, sempre, ovunque e comunque: qui, tuttavia, ce la siamo cercata. In certe città avere il negozio vicino allo stadio è una maledizione, quando invece, la vera maledizione è chi potrebbe andare allo stadio quella domenica.
Beniamino Franceschini