Shelter
di Paul Bettany
con Jennifer Connelly, Anthony Mackie
Usa, 2014
genere, drammatico
durata, 105'
Il menage artistico tra Paul Bettany e Jennifer
Connelly ha poco da spartire con quello matrimoniale. Se il secondo
infatti procede a gonfie vele accompagnato da una prole numerosa e
felice, il primo si deve accontentare di circuiti laterali e di
apparizioni non proprio memorabili, come ben ricordano i pochi che hanno
visto il darwiniano "Creation" a cui entrambi hanno partecipato. Ed è
sinceramente un peccato perché qui non si discute tanto
dell’indispensabilità di un esordio, quello di Bettany, che almeno per
il momento non si distacca dalla media degli autori che affollano lo
scenario del cinema indipendente americano, quanto, e questo è invece
un’eccezione, alla possibilità di ammirare un’attrice come la Connelly
alle prese con un ruolo che ancora una volta rende merito alle sue doti
di interprete drammatica. La Connelly infatti, nonostante qualche
sparuto tentativo di mitigare la sua filmografia con parti se non
leggere almeno accomodanti da sempre da il meglio di se quando si tratta
di mettere in campo e sullo schermo le sfumature esistenziale di una
femminilità appassionata e dolente. Non a caso è stata la parte della
moglie del matematico John Nash nello struggente e melodrammatico “A
Beautiful Mind” a farle vincere un meritato Oscar, e parlando di
credibilità professionale, come dimenticare il peso specifico di un
ruolo come quello di Marion Jones, tossicodipendente costretta a
prostituirsi per pagarsi le dosi di eroina nello psicodramma di Darren
Aronofosky “Requiem for a Dream”.
Con la complicità del marito regista “Shelter” le offre la
possibilità di confermarsi grazie alla storia di ordinaria disperazione
di due homeless che si incontrano e si innamorano sulle strade di una New York
indifferente e rapace, a cui i due protagonisti regalano un segnale di
speranza attraverso il percorso di riabilitazione che li vede impegnati a
liberarsi dai fantasmi delle rispettive esistenze. Raccontando la
realtà attraverso gli occhi di due figure cristologiche come in effetti
sono sia Hannah che Tahir, “Shelter” soddisfa, e le necessità dello
spettatore di fare proprie le vicissitudini dei personaggi, e il bisogno
del film di legittimare la propria urgenza, collegando le sofferenza
individuali ad alcune delle guerre più sanguinose e pubblicizzate dei
nostri tempi, delle cui conseguenze Hannah e Tahir continuano a pagare
il prezzo.
Girato con un impressionismo che strizza l’occhio al cinema
del reale, “Shelter” nel corso del suo svolgimento prende strade
talvolta difficili da credere (come quella che a un certo punto vede la
coppia soggiornare per giorni in uno splendido attico lasciato
inopinatamente incustodito) e paga pegno soprattutto quando si tratta di
mettere il dito nella piaghe del sociale, spesso edulcorato da uno
sguardo troppo pulito per risultare vero e da una sceneggiatura poco
efficace nella logica che sottende ai diversi snodi della vicenda. A
riequilibrare le sorti del film ci pensano però le interpretazioni della
Connelly più anoressica che mai e di Anthony Mackie che, senza ali e
calzamaglia se la cava da par suo nel tenere testa alla naturalezza
della talentuosa collega.
(icinemaniaci.blogspot.com)