Un segno però c’è ed è spesso inequivocabile e si può cogliere negli occhi dell’altro. L’unico indizio evidente e riconoscibile di questa silenziosa passione è lo sguardo, uno sguardo obliquo, rancoroso, sofferente.
Non a caso lo sguardo ha molto a che fare con l’invidia, come si conferma nella stessa etimologia della parola: in-videre vuol dire appunto guardare male, guardare di traverso.
L’invidia si irradia e colpisce attraverso l’occhio, un “occhio malefico” che ha il potere più o meno intenzionale di gettare la malasorte sulle vittime di volta in volta prescelte. Tutto ciò si deposita nella tradizione popolare del “malocchio”.
Quanto più impercettibile è lo sguardo del malevolo, tanto più è potente e chi ne è l’oggetto diventa una vittima inerme.
Ma che cosa si cela nello sguardo dell’invidioso e che cosa rivela? In quello sguardo si esprime un dispiacere astioso, una sofferenza di fronte al bene, alle qualità, alla superiorità dell’altro, perché il bene dell’altro viene percepito come una minaccia alla propria identità.
Francesco Alberoni lo chiama il “morso” dell’invidia nel suo libro “Gli invidiosi”, quello spasmo doloroso che ci afferra nostro malgrado alla vista di qualcuno che possiede quello che non possediamo e che desideriamo.
E’ il prodotto della “vertigine della mancanza”, continua Alberoni: la bellezza dell’amica che colleziona conquiste, la casa del vicino, la maggiore notorietà, la promozione di un collega, la ricchezza di un parente.
Tutte cose che leggiamo come attacchi al nostro essere, di cui, sia pure per un momento, percepiamo il fallimento, la sconfitta.
Accade cioè che qualcuno interrompa il nostro desiderio di espanderci, di eccellere, un desiderio infinito, ontologicamente illimitato che a un tratto si scontra con un limite invalicabile, gettandoci nella abisso della nostra impotenza. Salvatore Natoli ha definito efficacemente l’invidia “Il tormento dell’impotenza” nel suo libro “Dizionario dei vizi e delle virtù”.
(Questi pensieri sono tratti dal libro: “Invidia, la passione triste” di Elena Pulcini (Ed. il Mulino)