All'inizio di "Austerlitz", di W.G. Sebald, quando il narratore incontra Jacques Austerlitz nel ristorante della stazione di Anversa, si legge di un "enorme orologio, che dominava la sala del buffet, in cui una lancetta di circa due metri compiva il suo giro intorno ad un quadrante che un tempo era stato dorato, ma che ora appariva nerastro per la fuliggine della stazione ed il fumo del tabacco". E qualche pagina dopo, Austerlitz dichiara: "Non ho mai posseduto alcun tipo di orologio, né un orologio a pendolo, né una sveglia o un orologio da taschino, per non parlare di un orologio da polso. Un orologio, mi è sempre parso come qualcosa di ridicolo, qualcosa di assolutamente mendace, forse perché ho sempre saputo resistere alla tirannia del tempo grazie ad un impulso interno che io stesso non ho mai capito, e che mi ha escluso dai cosiddetti avvenimenti di attualità, nella speranza, che ho ancora oggi, che il tempo non passi."
Il tempo come orologio e come calendario - un tema che Walter Benjamin elabora a partire da Marx e da Baudelaire. La sua XV Tesi sul concetto di storia parla del calendario della Rivoluzione francese e della distruzione degli orologi all'inizio della Rivoluzione (fallita) del 1830; nel suo Libro dei Passaggi, Benjamin include una serie di citazioni e di commenti sull'uniformizzazione del tempo, che avviene con il capitalismo, seguendo in particolare la traccia di una lettera ad Engels, nella quale Marx parla del fatto che "tutta la teoria della produzione su larga scala" venne sviluppata a partire dall'invenzione e dal perfezionamento dell'orologio; nella poesia di Baudelaire - scrive Benjamin, sempre nel Libro dei Passaggi - l'orologio grida di essere la vita, la vita implacabile. E inoltre, lo stesso Baudelaire aveva rimosso dal suo orologio le lancette, e sul quadrante aveva scritto: E' più tardi di quanto immagini!
Invece, andando a leggere un altro scritto di Sebald, possiamo trovare l'esempio opposto: un personaggio che collezionava orologi in maniera maniacale. Il personaggio è niente meno che Joseph Roth. In "Un kaddish in Austria", Sebald scrive: "Quadranti ed orologi di ogni tipo, hanno un significato particolare nell'opera di di Roth", e continua: "Ci sono troppi detti irrefutabili a proposito del tempo e della fine. L'ultima ora uccide, fra gli altri. Bronsen racconta che Roth collezionava orologi senza alcun criterio, e che nei suoi ultimi anni, prendersi cura degli orologi era diventata una mania."
Uno degli ultimi testi di Roth, fra quelli pubblicati in vita - nell'aprile del 1939, sul Pariser Tageszeitung - si intitolava proprio "L'Orologiaio".