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Gli Ozi di Capua - secondo Polibio

Creato il 20 luglio 2015 da Marino Maiorino

La settimana scorsa abbiamo finito di raccogliere le idee sull'attendibilità di Tito Livio quando ci narra degli Ozi di Capua, e siamo giunti alla conclusione che possiamo probabilmente considerare l'episodio come inventato di sana pianta dalla propaganda romana.
Quello che manca per esser certi di una simile affermazione è magari una testimonianza dall'altro punto di vista, quello cartaginese, ma sappiamo come andò a finire...
Sul promontorio di Hera Lacinia, nei pressi di Kroton, anticamente esisteva un tempio dedicato per l'appunto a Giunone, e che era molto venerato da tutti i popoli dell'antichità. Lasciando l'Italia per correre in soccorso della sua Cartagine, ormai minacciata dall'esercito romano guidato da Scipione, Annibale lasciò nel tempio qualcosa di immensamente prezioso: il diario della sua avventura in Italia inciso su di una colonna.

Gli Ozi di Capua - secondo Polibio

Il tempo ha fatto brani di Hera Lacinia, non prima che uno storico greco potesse accedervi, leggere la colonna dedicata da Annibale, e da lì trarre le sue Storie. Quello storico era greco, e il suo nome era Polibio.

Nessuno deve sorprendersi per l'accuratezza delle informazioni che do qui sulla preparazione di Annibale in Spagna, un'accuratezza che persino lo stesso organizzatore dei dettagli ebbe difficoltà a raggiungere, e non c'è bisogno che io sia giudicato come quegli autori che cercano di rendere plausibili le loro sciocchezze.
Il fatto è che ho trovato sul promontorio Lacinio una tavoletta di bronzo sulla quale lo stesso Annibale aveva inciso queste liste durante il tempo che era stato in Italia, e credendo che questa sia un'autorità assolutamente di primo grado, ho deciso di seguire il documento.

[Polibio, Storie, 3.33, 17-18]

Una fonte di questo livello sarà dunque buona guida per farci valutare la reale capacità bellica di Annibale prima e dopo la sua permanenza a Capua.
Già prima di Canne abbiamo un episodio che rende Annibale quanto meno più umano, non un invincibile generale capace di vincere sempre e comunque uno scontro campale:

Terentius comandava il giorno seguente [...], lasciò il suo accampamento e avanzò con l'obiettivo di avvicinarsi al nemico nonostante le proteste e gli sforzi di Aemilius (l'altro console) per fermarlo. Annibale si scontrò con lui con le sue truppe leggere e la cavalleria e, sorprendendolo mentre era ancora in marcia, scompaginò molto i Romani. Questi affrontarono la prima carica facendo avanzare alcuni della loro fanteria pesante, e poi mandando avanti anche i lanciatori di giavellotto e la cavalleria cominciarono ad avere la meglio in tutto lo scontro, perché i Cartaginesi non avevano sufficiente forza di copertura, mentre essi stessi avevano alcune compagnie delle loro legioni che combattevano miste ai fanti leggeri.
La caduta della notte fece ritirare entrambi, e l'attacco dei Cartaginesi non aveva ottenuto il successo sperato.

[Polibio, Storie, 3.110]

Ecco qui uno scontro appena precedente Canne nel quale Annibale deve ancora prendere le misure, per così dire, dei suoi nemici, e possiamo credere che le cose siano andate così perché la fonte di Polibio è Annibale stesso!
Né il risultato di un tale scontro si fece attendere:

Annibale, vedendo che era imperativo per lui dar battaglia e attaccare il nemico, e attento a che i suoi soldati non si scoraggiassero per il recente rovescio [...]

[Polibio, Storie, 3.110]

Dunque, siamo all'immediata vigilia di Canne, e quell'esercito di uomini che secondo Livio non poteva essere piegato da nessun rovescio si sta scoraggiando! Sappiamo tutti come finì, e il merito va ovviamente alla sagacia del generale cartaginese.
Dopo Canne, per un certo tempo Polibio dirige il suo sguardo alle varie guerre che nel frattempo si svolgevano nel mondo. Sappiamo che molte città campane e italiche decidono finalmente di passare dalla parte di Annibale, ma non troviamo alcun dettaglio che sembri solo richiamare agli ozi di Capua. I frammenti che ci sono stati tramandati da Polibio ci parlano nuovamente di Annibale alla presa di Taranto, che come sappiamo fu un'opera di maestria tattica, di tradimento, e di controllo sugli uomini che solo un esercito ben addestrato e al massimo del rendimento poteva eseguire.
Ritroviamo finalmente Annibale che aggredisce i Romani durante l'assedio di Capua, quando

L'esercito Romano non aveva il coraggio di uscire (dalle fortificazioni) e dare battaglia perché aveva paura della cavalleria nemica, ma rimase nell'accampamento pienamente fiducioso, perché sapeva bene che lì la cavalleria alla quale essi dovevano le loro sconfitte non poteva arrecar loro alcun danno.

[Polibio, Storie, 9.4]

Ecco dunque mostrato in due righe cosa era davvero successo all'esercito di Annibale: Capua fu la dimostrazione pratica della validità delle strategie inaugurate da Fabio. Non era più tempo, per i Romani, di lanciarsi in avventate schermaglie contro un nemico tanto capace, dunque ogni generale romano cercava di sfruttare razionalmente i propri punti di forza e quelli di debolezza dell'esercito cartaginese. Non erano i Cartaginesi ad essersi rammolliti, tanto è vero che i Romani li temono ancora dopo i famigerati ozi, ma sono i Romani che non prestavano più appigli per scontrarsi.
Né, d'altro canto, la finta di Annibale di attaccare Roma avrebbe avuto senso se il generale cartaginese avesse saputo che i suoi uomini non venivano più ritenuti una seria minaccia, ma questa mossa del Punico, per quanto azzardata, viene riportata da tutti i commentatori.
L'ultima prova dell'estremo valore dell'esercito cartaginese lo abbiamo proprio quando Annibale capisce che il suo bluff di attaccare Roma è stato scoperto, e decide di ritirarsi:

Annibale marciò dapprima a gran velocità, ansioso di raggiungere il suo obiettivo, ma quando dopo cinque giorni ricevette la notizia che Appio stava continuando l'assedio, si fermò finché l'esercito che lo seguiva lo raggiunse, e attaccò l'esercito nemico di notte, uccidendo un gran numero e scacciando il resto dal loro accampamento. Quando però giunse il giorno e vide che i Romani si erano ritirati in una posizione fortificata su di una collina, abbandonò ogni pensiero di assalirli ulteriormente.

[Polibio, Storie, 9.7]

Ancora una volta, persino dinanzi alla sconfitta totale, il coraggio del generale e dei suoi uomini è tale da sfidare apertamente gli eserciti che gli danno la caccia.
Ma dobbiamo dunque abbandonare del tutto l'idea che quest'uomo, che per tanti anni tenne in scacco Roma, insieme al suo esercito di mercenari (certamente non i più responsabili tra i soldati) non ebbe mai un momento di cedimento in una terra ricca com'era l'Italia? Leggendo Appiano, abbiamo un commento a proposito della fuga di Annibale da Roma:

Quando il suo piano (di fingere l'assedio a Roma) fallì, Annibale spostò il suo esercito in Lucania e si acquartierò per l'inverno, e lì questo fiero guerriero si abbandonò a lussi non comuni e alle delizie dell'amore.

[Appiano, Bellum Hannibalicum, 7.43]

Ecco, se ozi vi furono, possiamo forse vederli da questo momento, quando il grande generale, ormai stanco di una guerra che aveva condotto praticamente in totale solitudine, persi i suoi alleati più forti, perso il fratello che doveva congiungersi a lui, e con quelli ogni speranza di compiere con successo l'impresa ideata, poté umanamente abbandonarsi ai vizi.


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