Come pubblicare il primo romanzo?
Meglio i premi letterari, le agenzie, le scuole di scrittura, o le riviste?
Al tavolo con Loredana Lipperini cinque esordienti di successo
raccontano come fare.
Loredana Lipperini
In questo momento gli editori, soprattutto i grandi gruppi editoriali, vanno a caccia di esordienti. Fino agli anni Novanta, fino alla stagione dei Cannibali (Ammaniti and company), era piuttosto difficile esordire in Italia, ma man mano che si è andati avanti si è verificato quasi il discorso inverso. Gli editori vanno a monitorare le scuole di scrittura, vanno a monitorare i blog. Esordire apparentemente diventa più facile. Invece continuare, essere sostenuti dopo il primo libro, sembra diventato più difficile.
Ora chiederò ad ognuno di questi scrittori come è arrivato a scrivere un libro e come è arrivato a pubblicarlo. Le loro sono tutte scritture di valore pur essendo molto diverse.
Giovanni Cocco esordisce con Nutrimenti, casa editrice valorosa ma non di grandissime dimensioni, con La caduta, un libro che non fa concessioni al gusto mainstream e nel giro di pochi mesi finisce finalista al Campiello. Pubblica a quattro mani con Amenris Magella Ombre sul lago per Guanda e nel giro di pochi mesi il libro viene tradotto da Penguin, cosa che non succede proprio tutti i giorni. Infine è appena uscito il suo nuovo libro, Il bacio dell’Assunta presso Feltrinelli. Tutto questo da esordiente assoluto, nel giro di 12 mesi. Giovanni Cocco come ha cominciato a scrivere, come ha cominciato a pubblicare e come a vissuto questi 12 mesi?
Giovanni Cocco
Negli ultimi dieci anni ho fatto il cameriere, il lavapiatti, il letturista di contatori, ho lavorato nelle imprese di pulizia, ho fatto il barista, il littografo, insomma pensate a un lavoro brutto e io l’ho fatto. All’orizzonte c’era sempre il sogno della scrittura e soprattutto della lettura. Perché chi scrive è soprattutto un grande lettore. Nel mio caso un lettore che legge di tutto, dagli italiani agli americani, senza distinzione di genere. Nella scrittura mi mancava una guida, qualcuno che mi sapesse indicare la strada. L’ho trovata in due figure di r
Anche la storia di Simona Baldelli è particolarissima. Lei ha scritto Evelina e le fate per Giunti, anche questo un libro fuori canone. Non rientra in nessuna delle narrazione un po’ stereotipate e finisce finalista al Calvino 2012. Giovanni Cocco dice che prima di ogni altra cosa è un grande lettore, non è sempre così perché si trovano persone che vogliono esordire che dichiarano di non aver tempo per leggere. Nel racconto di come Simona Baldelli è riuscita a pubblicare Evelina e le fate c’entra anche l’esperienza di lettrice?
Simona Baldelli
C’entra moltissimo. Mia madre mi ha insegnato a leggere che avevo tre anni, quindi prima di arrivare in prima elementare avevo già fatto fuori tutta quella letteratura, le varie Piccole donne, Piccoli uomini, tutti quelli che crescono, I ragazzi di Joe.
Fra i tre e i sei anni?
Sì, sì, tutti i senza famiglia. Ero vorace, bulimica quasi. Da adolescente avevo già letto tutto Pavese… prima o poi dovrò riprenderli in mano quei libri perché ovviamente capisci un decimo di quello che leggi. Io ho sempre un libro in borsa. Se vado alla posta, non dico che sono felice, ma ci vado con piacere perché ho un libro e posso leggere senza sensi di colpa. Da un po’ d’anni ho fatto la scelta, qui a Roma, di spostarmi quasi esclusivamente con i mezzi pubblici e questo mi dà modo di leggere tantissimo. Riesco a leggere due, tre libri alla settimana. Quando ero adolescente e cominciavano a venire tutte quelle turbe esistenziali, la vita, la morte eccetera, il mio primo pensiero rispetto alla questione della morte era che era una gran bella rottura perché non avrei fatto in tempo a leggere tutto quello che volevo. Quindi io sono una lettrice e non riesco a considerare altro che il mio essere lettrice. Anche il passaggio dal leggere allo scrivere è arrivato attraverso la lettura. Evelina e le fate, oltre ad essere finalista al Premio Calvino 2012, è stato anche vincitore del Premio John Fante 2013. Daniela, che è una mia carissima amica, qualche anno fa fece arrivare in casa mia Aspetta primavera Bandini di John Fante. L’ho letto e ho provato un brivido così grande che ho detto: ci provo perché è troppo
Molti sono incuriositi dall’idea: come faccio a pubblicare? In un caso è stato l’incontro con un agente, nell’altro caso è stato arrivare in finale ad un premio. C’è un altro modo che molti editori stanno cominciando a sperimentare e lo chiedo a Marco Montemarano, fra i vincitori di Io scrittore, che vince anche il premio di narrativa Neri Pozza con cui pubblica La ricchezza.
Marco Montemarano
Non essendo un giovane esordiente devo partire da lontano. Io sono andato a vivere in Germania nel 1990 e sono 24 anni che vivo lì. Ho fatto anch’io mille mestieri. Non ho fatto l’idraulico perché non sono bravo con i tubi, ma ho fatto l’operaio, il cameriere in vari ristoranti, poi in Germania le cose sono cambiate. La Germania è un paese che ha interesse che l’individuo faccia quello che sa fare meglio e di cui è anche mediamente contento. Quindi mi sono trovato piano piano a fare traduzioni, poi sono entrato alla scuola interpreti, ho lavorato per anni alla radio. C’era un programma italiano alla radio nazionale dove io facevo lo speaker, facevo il traduttore di notizie, poi sono diventato redattore, poi il programma è stato chiuso. La scrittura è stata per me un po’ “la lingua salvata”. Io ho fatto della lingua tedesca, della traduzione, il mio mestiere, sono immerso nel fluido della lingua tedesca fin dall’inizio. Nel ‘90 avevo 28 anni e avevo fatto già dei tentativi di scrivere narrativa, ma il grosso l’ho scritto dopo il ‘90 e uno dei motivi era che non volevo dimenticare l’italiano, cosa che succede a tanti italiani che vivono in Germania. Questo fatto si trasforma in uno stile. Mi accorgo di cominciare a scrivere non proprio come scrivono gli italiani. L’esposizione quotidiana a un’altra lingua diventa fondante nel processo di scrittura. Per tanti anni io ho scritto per salvare la lingua, parafrasando il primo volume dell’autobiografia di Canetti. Ho scritto finora otto romanzi anche se ne sono stati pubblicati solo due. I primi erano dei romanzi storici, surreali, non mi ponevo il problema di accedere all’editoria italiana e di pubblicare. Questo problema me lo sono posto una decina di anni fa, quando il programma in cui lavoravo è stato chiuso e mi sono trovato semi-disoccupato, allora ho detto: adesso voglio fare un tentativo. Nel 2003 ho cominciato a pormi il problema di scrivere delle storie contemporanee che dicessero qualcosa sulla vita di oggi. Man mano che scrivevo questi romanzi li mandavo alle case editrici italiane. Nessuno mi ha mai risposto e ho prodotto carta da macero a tonnellate. Io intanto ero andato abbastanza avanti e cominciavo ad essere soddisfatto dei miei risultati letterari. A un certo punto il gruppo Mauri Spagnol indice Io scrittore che è un concorso online dove si mandano gli incipit e l’opera completa. Si partecipa con un nick-name, l’incipit viene valutato da